Читать книгу La plebe, parte I - Bersezio Vittorio - Страница 7

CAPITOLO VI

Оглавление

Dopo una brevissima pausa, Maurilio riprese:

– Ah! se alcuno mi avesse amato, ah! se alcuno mi amasse colà! Quando respiro quelle aure, io divento migliore. Anche colà, certo, sono e miserie e dolori, ma l'umanità vi è men trista e la fatalità meno crudele che non nei bassi fondi della cittadinanza, dove s'agglomera il marame della massa sociale; ma colà vi ha pure una specie di egloga in azione che la natura pietosa manda come una consolazione al diseredato della gleba. La campagna ha il sole, ha la primavera, ha le feste sane e moralizzatrici, del lavoro sotto la cappa del cielo, la fienatura, la messe, la vendemmia… Avessi potuto essere un coltivatore e maneggiare l'aratro! Presso la spica e presso il grappolo ad ogni modo si soffre meno. Qui in questa bolgia di fango, sotto una cappa di nebbia, la miseria è più crudele, senza pure il temperamento della dolce vista del paese… Io mi reco sempre al cimitero. Non ci ho nissuno di mio sangue che dorma là dentro; si consumano in quella terra le ossa di coloro che hanno tormentata la mia infanzia. Non un affetto che mi leghi alle ombre di quei morti. Eppure, io siedo con mesta e dolcissima tenerezza su quei tumuli e il vento che geme sommesso fra le alte erbe di quel campo solitario, mi canta in una grave armonia mille cose inesplicabili che mi scendono al cuore e mi accarezzano l'anima. Poscia vado alla chiesa parrocchiale, dove la mia voce di fanciullo suonava sotto la volta del coro nel canto degli inni sacri, dietro la guida della voce ancora robusta di don Venanzio. L'hai tu dimenticata la testa canuta e grave di quel buon vecchio, vero sacerdote del Vangelo? Ecco l'uomo che io ho amato di più nell'infanzia, che mi amò come amava tutti al mondo, ch'egli comprendeva sotto il nome di prossimo, che mi avrebbe forse amato anche di più, quasi come un figliuolo, se non avesse visto la mia ragione, forse il mio orgoglio ribellarsi a quella schiavitù ch'egli portava da tutto il tempo della sua vita e porta tuttora, ch'egli trovava dolce e che voleva impormi, la schiavitù della fede.

Gian-Luigi fece un sorriso di superba compassione.

– Quel povero vecchio! Diss'egli. Oh! se me lo ricordo. Fra tutti i bambini ch'egli pigliava ad istruire per carità, non aveva tardato ai accorgersi che noi due, tu ed io, avevamo nel cervello qualche cosa di più che gli altri. Si mise con più cura a svegliare in noi quell'ingegno che aveva travisto e voleva rivolgere a benefizio della Chiesa, a cui egli appartiene. Il buon uomo aveva sognato di fare di noi due difensori della fede; quando vide che quella non era la nostra strada, forse si pentì d'averci tolti all'ignoranza. Mi ricordo che l'ultima volta in cui lo vidi, mi disse con doloroso abbattimento: Credevo di guadagnarvi a Dio; aimè! vi ho guadagnato al Demonio.

– Io ho per lui la maggior gratitudine che possa avere anima d'uomo: ripigliò a dire Maurilio. Per lui ha incominciato a stenebrarsi la mia mente. Quando entro, come ti dissi, in quella chiesa, che da bambino mi pareva così vasta e solenne, ed ora trovo qual è, niente più che un'umile e piccola chiesuola di campagna, io vado a sedermi nel coro, sopra uno di quei banchi di legno rozzamente scolpito, dei quali un per uno ho contati e toccati ed accarezzati tante volte i fiorami nelle ore del catechismo e delle sacre funzioni, mi serro nelle mani la testa, e tutto il mio passato mi difila dinanzi, illuminato dal sorriso mesto e benigno di don Venanzio. E talvolta, alzando il capo, me lo vedo in faccia lui stesso, sempre colla sua aria serena, colla sua bella aureola di capelli bianchissimi, col mite e pietoso splendore de' suoi limpidi occhi azzurri, che nella silenziosa solitudine di quel povero tempio, mi appare come il buon genio del luogo. Ad ogni volta egli mi viene incontro con una speranza che gli rallegra il viso:

« – Ah! Siete voi Maurilio? Dic'egli. È la mano di Dio che qui vi ha scorto? È la grazia che vi ha tocco? Nei luoghi della vostra infanzia siete venuto a cercare ed avete trovato la fede?

«Io crollo tristamente la testa; egli china con doloroso atto la sua, lascia cader la mano che mi tendeva, ed esclama: – Siate il benvenuto, nulla meno nella casa di Dio ed in quella del suo servo. Un giorno verrà, io spero, in cui l'anima vostra sarà riacquistata a quella divina, che lega la miseria della creatura alla grandezza del creatore; e mi conceda Iddio che in quel dì io sia ancora sulla terra e possa accogliervi nelle mie braccia.

– Eh! Fole! Esclamò Gian-Luigi sprezzosamente. Quel giorno saresti rimbambito al par di lui: e non è dei caratteri e degli ingegni come i nostri che si lasciano pigliare a ragne da femminette.

Maurilio aspettò un istante, e poi soggiunse:

– Ad ogni volta don Venanzio mi parla pure di te.

– Sì? Benone! Gli è desso dunque che mi accusa, ci scommetto. Che cosa ti dice?

– La sera, rispose Maurilio, quando le ombre invadono quella chiesa deserta, quando non un passo turba più il silenzio sepolcrale di quelle volte, quando non un bisbiglio di preghiera s'innalza più innanzi all'altare, una forma di donna che lentamente ed a fatica si strascina, viene a gettarsi ai piedi della statua della Vergine. Il debole lumicino che pende dall'arco della nicchia, colla sua fioca luce illumina il corpo curvo, affranto, miseramente vestito, d'una vecchia inferma. Tutto bianchi i capelli, tutto rughe la faccia il pallore del bisogno e della malattia sulle guancie, il rossore delle lagrime negli occhi mezzo ciechi, gli strappi della miseria intorno alla persona, i segni della fame nella magrezza dolorosa delle membra che tremano. Se tu fossi colà, udresti delle preci mormorate con quella passione che dinota il trasporto dell'anima, tutta tutta intesa in un pensiero, poi sospiri profondi, poi singulti di pianto che straziano l'anima.

« – Sai tu chi è quella infelice? Mi disse, con voce commossa don Venanzio, allorchè me l'ebbe mostrata fra le appena rotte tenebre della chiesa. È una povera derelitta cui Dio ha concesso le più fiere prove di purgatorio in questa vita terrena. Non ha che cinquant'anni, ma la sciagura glie ne dà sessanta: fu povera sempre, oggi è poverissima. Quando era giovane aveva le forze del suo corpo robusto per lottare colla miseria; ora attempata e malaticcia soffre il freddo, soffre la fame, soffre l'abbandono di tutti, e vive d'elemosina, e razzola nelle spazzature i rifiuti degli alimenti altrui. Odi la sua storia…»

Gian-Luigi si agitò sulla sua seggiola.

– Odila anche tu, soggiunse Maurilio con un accento di autorevolezza che parve imporne al suo compagno. «Era moglie d'un onesto taglialegna; campavano allegramente contentandosi di poco, procurandosi il tozzo di pane inferigno con un lavoro indefesso d'ogni giorno. Ella restò madre. Era un sopraccarico alla loro povertà; ma essi lo accolsero come una ventura, come un regalo di Dio. Però il suo figliuolo non visse e le più amare lagrime sparse la buona donna sul corpicino estinto di quella creatura che era venuta a farle conoscere le sublimi gioie della maternità, e poi erasi tostamente da lei dipartita. Alcuno consigliò al taglialegna di trar profitto della circostanza ed accrescere con qualche baliatico le loro misere fortune. Ma erano così poveri! Chi avrebbe consegnato suo figlio agli abitatori di quella capanna che pareva il soggiorno del bisogno? Non ne trovarono di genitori a cui bastasse la fama dell'onestà loro. «Dirigetevi all'ospizio dei trovatelli; loro disse ancora qualcheduno; colà troverete di sicuro uno di quei poveretti ad allevare.» Così fecero, e riuscirono. La buona donna ritornò alla sua casipola trionfante, stringendo amorosamente al suo seno il più bel fanciullo che possa veder occhio d'uomo. Le pareva che il cielo pietoso, commossosi alle sue lagrime, le avesse restituito suo figlio. Tutto l'amore che aveva sentito per quell'angioletto morto, lo raccolse sopra questo nuovo bambino mandatole dal cielo, a cui dava col suo latte la vita. Sì, ella sentiva di farlo suo ogni giorno più, ella sentiva un legame indissolubile, come quello del sangue, congiungere le intime sue fibre alla esistenza della creaturina che viveva, che cresceva, che ogni dì facevasi più bella per lei. Prima lavoravano indefessamente, i due poveri villani, solo per guadagnarsi il pane; ora si posero a lavorare con più accanimento per avere oltre il pane anche un po' di agio da circondarne la culla del bambino loro mandato dalla sorte.

«Ma un giorno fatale una orrenda disgrazia percosse quella povera famiglia. Il marito di quella donna sradicando un albero restò sotto al tronco di esso che precipitò troppo presto. Portarono alla sua casipola il misero taglialegna fatto cadavere. Non parliamo del dolore dell'infelice donna; essa era sola oramai al mondo per guadagnare il pane a sè ed alla creatura che aveva fatta sua; e quanto poco si paga il lavoro d'una donna nelle campagne! Dopo aver pianto tutte le sue lagrime, la buona Margherita non si smarrì di coraggio; affrontò fermamente le maggiori prove del suo nuovo stadio di vita. Il bambino era svezzato da tempo dal latte e l'ospizio non pagava più il baliatico.

« – Restituitelo alla pia casa: consigliarono i prudenti alla brava donna. Non ne avete abbastanza per mantenervi voi, e volete stracciarvi le cuoia a tirar su un figliuolo che in fin dei conti non vi è nulla di nulla?

« – Non mi è nulla? Esclamava essa quasi con isdegno. E' mi è tutto. Ho lui solo al mondo. E poichè l'amo tanto ed avrò tenuto cura della sua infanzia, egli mi amerà anche un poco, e consolerà la mia vecchiaia.

«Alcuno più previdente soggiungeva:

« – Eh! prima che quel bambino sia cresciuto di tanto da potervi rendere in alcun modo i sacrifizi che fate per lui, voi avete tempo a crepar di miseria; e ancora chi vi dice che non vi alleviate in seno la serpe d'un ingrato?..»

A questa parola Gian-Luigi si riscosse, ma non parlò, non interruppe nemmeno con una voce. Si curvò verso il fuoco, prese le molle e si pose a battere con esse sui tizzoni che ardevano.

Maurilio continuava:

« – Voi siete ancora di buona età. Margherita, le dicevano inoltre, e siete conosciuta da tutto il paese per una donna onestissima e la più tenace e forte al lavoro. Quel mezzaiuolo che vi sposasse farebbe un buon affare, e ne troverete di sicuro di quelli che vi cercheranno. Avrete una nuova famiglia e più agiate condizioni di prima; ma per ciò vi farà danno l'imbarazzo di quel figliuolo che non è vostro.

«La buona Margherita scrollava le spalle,

« – Ed io vi dico, soleva rispondere, che se c'è qualche galantuomo che mi voglia, avrà da prendermi col mio Giannino, o lasciarmi stare: ecco! Che io non cerco più altro, e se il far da padre a questo poveretto spaventa la gente, bene, tirino diritto, che io non ho bisogno di nessuno e il mio piccino mi basta.

«Coloro che facevano queste osservazioni alla donna ebbero ragione. Alcuni l'avrebbero sposata volentieri, ed ella stessa fra questi avrebbe trascelto uno volentieri assai: ma anche questo preferito non volle sopracaricarsi d'un trovatello, maggiore e non dovuto aggravio alla famiglia. Margherita non esitò neppure un momento. Sacrificò la sua propensione, mandò a spasso tutti i pretendenti; si tenne il ragazzo.

«La storia di costui non occorre dirla. Egli parve tale da dover compensare d'ogni cosa la madre adottiva. Lui bello, lui forte, lui primo a tutti in tutto. Il parroco prima lo istrusse; poi il vecchio medico del villaggio, innamorato dell'ingegno e della grazia nativa del trovatello, il prese con sè, lo fece studiare, lo mandò all'università; volle preparare in esso il suo successore. Ma questa sorte, che tutti dicevano fin troppo bella pel giovane senza nome, sembrò a lui meno degna ed inferiore ai suoi meriti, all'audacia de' suoi desiderii. Il medico morì ad un tratto prima che il giovane avesse finito i suoi studi professionali; e d'allora in poi questo giovane mai più non fu visto al villaggio. Qual vita fu la sua? Che fece? che fa? quali sono i suoi mezzi di sussistenza e i suoi guadagni? Questo è un mistero che io non voglio, nè posso penetrare; ma si buccinò che fosse visto in ricchi panni nelle case dei ricchi, che la sua vita corresse splendida nelle più splendide sfere della società torinese; ma lo vidi io stesso un tempo vestito da elegante far l'elemosina d'una raccomandazione alla mia povertà assoluta. Se egli trovò mezzo col suo onesto lavoro di riscattarsi dalla miseria, ben sia di lui; ma che dirà ogni uomo di cuore quando sappia quella povera donna che piange e prega la sera nel tempio, lasciata sola sulla terra, nella più dolorosa miseria cui non può vincere più il lavoro, quella povera donna essere la raccoglitrice, la benefattrice, la madre di questo giovane che ora vive colle apparenze della ricchezza?»

Gian-Luigi, che era sempre stato curvo sul fuoco a percuotere i tizzi, si drizzò della persona, gettò via le molle e proruppe con impeto:

– Dove le vedi, tu ora codeste apparenze? Guarda quali panni mi vestono! E che sai tu altro di me? Non ti dice questo povero abbigliamento che io forse mi guadagno con istentato lavoro la vita?

– Forse! esclamò Maurilio con una strana espressione nell'accento.

Gian-Luigi volse vivamente il capo verso il suo compagno, e i suoi occhi neri e brillanti si piantarono in quelli di Maurilio.

– Insomma, diss'egli, che conto debbo io renderti dei fatti miei?

– Nessuno: rispose freddamente Maurilio.

– E se qualcuno, e se tu stesso mi hai visto in mostre signorili, tu hai detto giusto, erano apparenze, apparenze e non altro. Dovresti ricordare quel che ti dissi un dì in casa l'usuraio Nariccia. Sotto i panni da ricco, nelle sale eleganti della società, tu non sai quanta miseria si possa molto volte nascondere! Tu non sai come chi piglia delicatamente coi guanti color di burro un pasticcino ed un sorbetto in una festa di danza possa avere lo stomaco incavato da due giorni di digiuno… Non ti dico neanche che questo sia il mio caso: soggiunse vivamente; ma pure che sai tu s'io possa o non possa mandar soccorsi a quella donna? forse tu pensi che io doveva tutto sacrificare l'avvenire della mia vita, a tutti rinunziare de' miei desiderii, delle mie aspirazioni, per morire a lento fuoco nel misero lezzo di quella capanna dov'essa mi aveva accolto? Lo poteva io? Lo doveva fors'anche? No, no, no. L'acqua può, deve cessar di scorrere alla china? La fiamma di innalzarsi al cielo? È un'assurda impossibilità. La mia natura mi chiamava, mi spingeva, mi voleva ad ogni costo in questo mondo: non potevo resistere, sarei morto, facendolo. E d'altronde quella donna è forse mio sangue?..

– E qualche cosa di più: proruppe con forza Maurilio; e disgraziato te, se non lo comprendi.

Gian-Luigi accennava voler rispondere alcun che: ma in quella entrò precipitosamente la Maddalena, la quale pronunciò sommessamente alcune parole all'orecchio del giovane. Questi mandò un'imprecazione e si levò sollecito.

– Addio Maurilio: disse in tutta fretta. Va di là, ti prego… Ma il nostro colloquio non è finito, e verrò io a cercare di te per parlare con più agio. Dammi il tuo indirizzo.

Maurilio trasse fuori una cartolina su cui era scritto il suo nome e il luogo della sua dimora, e glie la diede.

– Sta bene.. Non parlare di me, non dire che qui mi hai veduto, nè alcuna cosa mai con nessuno al mondo del mio passato, te ne prego… Se mi vedrai in altri luoghi sotto ben diverso aspetto, non riconoscermi neppure, se non son io a parlarti per primo… e non far troppo tristi giudizi di me. – Ora va.

Maurilio ubbidì. Sul passo dell'uscio a vetri, si imbattè in un uomo a faccia volpina che entrava.

Era vestito da povero operaio ancor esso, ma aveva alcun che di losco e di dissimulato nella fisionomia e nello sguardo. Il suo occhio scrutatore corse ratto per tutta la stanza in cui entrava.

– Che? Diss'egli. Non c'è nessuno. Credevo di trovar qui tutti i posti occupati.

Lo sguardo di quest'uomo esaminò per bene, ma in guisa coperta, Maurilio che usciva. Questi sentì una specie di freddo all'incontrare coi suoi gli occhi che sbirciavan di soppiatto del nuovo venuto. Nel partire Maurilio si volse indietro a guardare e fu tutto stupito vedendo che Gian-Luigi era scomparso, senza ch'egli potesse dire da che parte, non essendoci altro uscio visibile fuor quello per cui era entrato l'uomo dall'aspetto volpino.

Costui sedette ad un desco, e Maurilio l'udì che diceva alla fante:

– Dite a Meo di grazia di portarmi la mia solita porzione ed a Pelone di venirmi a parlare; da brava, Maddalenuccia bella.

Maurilio andò a raggiungere il ragazzo a cagione del quale soltanto egli era entrato in quella bettola.

La plebe, parte I

Подняться наверх