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CAPITOLO VII

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Maddalena era appena uscita da quella stanza per andare ad eseguire i cenni del nuovo venuto, che colà entrava l'oste con una cert'aria da can che teme il bastone, che era la più ridevol cosa a vedersi.

– Ah sei qui galantuomo: gli disse l'avventore con ironia e con una famigliarità insolente. Vieni un po' qui che la discorriamo. C'è sempre da imparare, conversando con un uomo della tua fatta.

Mastro Pelone s'avvicinava lentamente all'interpellante, col suo passo riguardoso, sbirciandolo di sottecchi dal fondo delle sue occhiaie incavate, con molto sospetto e diffidenza.

– Uhm! Uhm! Rispos'egli tossendo, voi credete? La vostra opinione è molto lusinghiera per me, signor Barnaba, ma…

Era giunto presso al desco e, secondo suo costume, ci puntava le mani su, curvando il suo lungo corpo verso l'uomo seduto.

Questi levò sul volto dell'oste uno sguardo acuto che penetrava fin nelle midolle, e disse bruscamente:

– Siedi lì, vecchio peccatore, e parlami come devi parlare. Che cosa c'è di nuovo? Tu hai di sicuro qualche cosa d'interessante da raccontarmi.

Pelone aveva schivato lo sguardo di Barnaba; sedette e tossendo più disperatamente che mai, rispose:

– Di nuovo?.. Uhm!.. C'è proprio niente… Uhm! Uhm! Che cosa volete che ci sia?

– Tu non hai dunque proprio nulla da dirmi?

– Proprio nulla.

Barnaba allungò il braccio sopra la tavola ed impugnò colla mano il polso dell'oste.

– Ebbene, sta attento, che te ne dirò io di nuovo.

– Ah sì?.. Mi farete piacere… È vostro mestiere saper delle novità.

– Stanotte hanno scassinato la porta che mette negli uffizi del signor Bancone; sono entrati nella stanza della cassa, hanno potuto romper questa ed hanno portato via venti mila lire.

– Che bel colpo! sclamò Pelone i cui occhi in fondo alla loro cavità brillarono un momento e tornarono spegnersi di botto.

– Tu non lo sapevi? Domandò Barnaba colla ironia di prima.

– Sì… oh sì… L'ho udito a contare… Tutt'oggi non si è parlato d'altro che di questo furto a quel ricco banchiere.

– Il commissario, soggiunse Barnaba abbassando ancora la voce, pretende che tu non l'hai saputo solamente dopo… ma lo sapevi prima.

– Io? Esclamò Pelone elevando le braccia e gli occhi al cielo. Dio buono! Si può egli pensare una cosa simile?

– Che tu, continuava Barnaba, conosci gli autori di questo «bel colpo» come tu lo chiami…

– Io ho detto così… così per dire… ma voglio che il corno del diavolo mi colga se…

– Che, inoltre, questo «bel colpo» è stato combinato nella tua osteria, qui stesso, in questa camera, forse a questo medesimo desco a cui siamo seduti tu ed io.

Mastro Pelone mandò un oh d'indignazione che si convertì in uno sbruffo di tosse.

– Il signor commissario mi fa torto, diss'egli poi, un gran torto, un grandissimo torto. A quest'ora dovrebbe già conoscermi, e dopo i servigi che gli ho resi, e che non domando meglio che di rendergli ancora…

– Gli è appunto perchè ti conosce che la pensa di questo modo sul conto tuo.

L'oste protestò con un'altra esclamazione e con una pantomima analoga.

– Or ben, vediamo. Ai fatti, signor mio. Sai tu dirmi qualche cosa del furto di questa notte?

Pelone pose la sua scarna e grossa mano destra sul petto incavato e rispose con enfasi:

– Parola da Pelone!.. Non so nulla.

Barnaba lo guardò un istante con espressione che significava chiaramente qual poca fiducia avesse nella parola dell'oste; poi fece un sorriso e riprese scrollando le spalle:

– Bene! Non parliamone più. Guarda soltanto, vecchia gatta maliziosa, di non lasciarti cogliere lo zampino nel graffiare il lardo. Passiamo ad altro… Chi era quel cotale che usciva di qua allorchè io ci entrai?

– Non so affatto, affatto, e voi, messer Barnaba, credo possiate saperlo più presto e meglio di me. Vi fu un momento che l'ho creduto uno dei vostri.

– Era egli solo qui dentro?

– Credo bene… Ah! C'era Maddalena che lo serviva.

Pelone teneva gli occhi a terra per evitare quelli di Barnaba, che non cessavano di fissarlo con iscrutatrice insistenza.

Barnaba crollò la testa.

– No, diss'egli, Maddalena non c'era. Tu sai che al mio occhio non isfugge nulla. Entrando nel tuo sucido antro ho visto di là Maddalena, la quale, appena m'ebbe scorto, si slanciò in questa stanza ratta come il baleno.

– Quell'avventore l'avrà chiamata: susurrò con voce insinuante Pelone.

– Non vorrei che fosse venuta ad avvertire qualcheduno del mio arrivo.

– E chi mai, buon Dio?.. Che il diavolo mi porti!

– Quella ragazza sarebbe mai per caso istrutta del vero esser mio?

– Oh! Che cosa dite?.. Uhm! Uhm!.. Manco per sogno!

– Meglio per voi mille volte, che non sia; sapete?

– Se lo so!.. Diavolo!..

– Da alcun tempo mi pare che qui, questi galantuomini mi accolgono con una diffidenza che non avevan prima.

– Vi assicuro, esclamò vivamente Pelone, che se mai per caso hanno dei sospetti, io non ci entro per nulla.

– Ma li hanno questi sospetti?

– Non credo… Anzi no di sicuro.

Barnaba tacque un istante.

– Caro mastro Pelone, riprese egli di poi, fra i frequentatori della tua osteria c'è un personaggio di cui tu non mi hai ancora parlato mai, e che, per una combinazione veramente strana, non mi è ancora mai avvenuto di vedere.

– Ci siamo! Pensò l'oste cercando di prendere il meglio possibile un'aria da nesci. Qui conviene stare in gamba.

– Chi è che volete dire? Domandò egli. Ce ne vien tanta della gente alla mia povera osteria, con l'aiuto di Dio… Che il diavolo mi porti!

– Intendo dire colui che chiamano col soprannome di medichino.

Pelone tossì per cinque minuti prima di rispondere.

– Ah sì, disse poi, l'ho udito nominare ancor io… Forse è venuto qualche volta egli pure qui dentro, ma non l'ho osservato, o non me l'hanno additato, o non me lo ricordo… Del resto, che uomo è egli costui?.. È forse tale che possa interessarvi?.. Volete che guardi d'informarmene?.. Sapete che non ci ha il mio pari in codesto; e se vi piace, saprò dirvi chi egli è, che cosa fa ed altro ancora…

Barnaba fece un gesto di minaccia verso Pelone col dito indice della mano destra.

– Oste mio, ho paura che tu faccia male i tuoi conti. Sai che a me non la si dà così facilmente ad intendere.

– Vi assicuro…

– Che tu tieni il piede in due staffe, gli è un pezzo che lo sappiamo, e siamo disposti a perdonarti fino ad un certo punto, quando tu ci compensi del nostro chiuder gli occhi sui tuoi malestri con importanti effetti d'altra parte; ma se invece tu credi poterti servire delle attinenze che hai con noi per aiutare i birboni e favorire le opere loro, alla croce di Dio che sapremo fartene pentire e mettere al passo anche te.

– Credete, messer Barnaba… Vi giuro…

– Basta! Pensa ai casi tuoi e fa senno. Persisti intanto a non aver nulla da dirmi intorno al furto Bancone ed al medichino?

– Non posso che ripetervi le stesse parole: nulla affatto.

– Ancora una cosa. Bada che questa è la più importante e intorno a questa non ti si vorrebbe tollerare neppur l'ombra d'uno scarto.

– Che cosa mai? Domandò Pelone con interesse.

Barnaba si curvò verso il suo interlocutore, abbassò ancora di più la voce, e disse:

– I nemici della società non sono solamente quelli che attentano alla proprietà ed alla vita degl'individui; ve ne hanno di più pericolosi e di più scellerati, e son quelli che cercano sovvertire le basi stesse su cui si pianta la fabbrica sociale, lo altare ed il trono, la monarchia e la religione. Sappiamo che in questi brutti tempi la perfida razza di costoro s'è accresciuta grandemente; sappiamo che essi si agitano e non si peritano innanzi a nessun eccesso per potere arrivare ai loro empi fini. L'iniqua setta va diffondendo le sue scellerate dottrine e la sua influenza per mezzo di società segrete che serpeggiano negli strati inferiori della società come la gramigna nei campi. Anche nella infima plebaglia ha gettate ora le sue radici e tenta abbarbicarvisi giovandosi dell'ignoranza di quella misera gente. Conviene vegliare più che mai e colpire più ratto e più severamente che sia possibile… Pelone, rispondete la verità, perchè si tratta proprio della vostra sorte. Nella vostra osteria avete voi udito che dai componenti della cocca si tenessero discorsi contro il Re ed il suo Governo, contro la religione e i suoi ministri? o che qualcheduno forse d'una classe superiore, qualche apostolo della borghesia s'insinuasse fra di loro a fare di cotali parlate?

La faccia di Pelone esprimeva la meraviglia e l'orrore che possano essere maggiori.

– E che? Esclamò egli con profonda indignazione. Voi potete pensare che io avrei sentito non fosse pure che una mezza parola di cotante scelleraggini, senza dirvi di subito qual fosse e chi l'avesse detta perchè ne ottenesse il premio che si meriterebbe?

– Dunque contro S. M. niente?

Pelone si levò di capo il berretto unto e bisunto e in un profondo inchino fece lucicchiare al lume della lampada il suo cranio pelato, giallo come l'avorio antico.

– Niente contro la sacra persona di S. M., ve lo giuro.

– E contro le LL. EE. i ministri?

L'oste aveva rimesso la berretta in capo, fece un inchino meno profondo, senza più levarsela, e rispose:

– Niente.

– Contro la polizia?

L'inchino di Pelone fu rivolto specialmente all'interrogatore.

– Niente affatto.

– Contro i preti? E sopratutto contro i Gesuiti?

– Meno che mai.

– Va bene. Ma state in guardia. Il marcio vi è, ne siamo sicuri, e conviene vegliare attentamente per apportarci subito il rimedio colà dove si manifesti.

– Per le corna del diavolo!.. Ferro e fuoco senza tardare… Oh state tranquillo che non son io che in queste cose andrei rimessamente… Per un povero diavolo che graffia via una borsa o che dà una coltellata perchè ha un bicchiere di vino nella testa, peuh! chiuderei qualche volta anche un occhio; ma per chi volesse dir male del nostro amatissimo sovrano… uhm! uhm!.. per la testa di S. Giovanni decollato!.. o per chi sparlasse delle autorità o dei buoni padri del Carmine… sarei senza misericordia, che il diavolo mi porti!

– Siamo dunque intesi?

– Intesissimi.

– E bada a farti onore.

– Vedrete, messer Barnaba.

– E va bene. Vedremo… Intanto guarda un po' che cosa fa questo Meo che non comparisce colla porzione che ho domandato.

– Subito: disse Pelone, levandosi con una vivacità che poteva dimostrare o la premura che metteva nel servire quell'avventore, oppure la gran voglia che aveva di terminare quel colloquio; e in due passi delle sue lunghe gambe fu fuori della stanza.

Eravi in realtà un gran bisogno che mastro Pelone intervenisse perchè quell'avventore fosse servito, mentrecchè una contesa era nata nella cucina sotterranea fra Meo e Maddalena, per la quale il giovinastro stava là piantato col piatto della vivanda in una mano e un fiasco di vino nell'altra a sopportare le bordate di parole e di improperii che gli gettava contro lo scilinguagnolo troppo svelto di Maddalena, eccitando imprudentemente tratto tratto la bile e il fuoco delle ciarle della ragazza con qualche atto del capo che dimostravano la non vinta ed invincibile ostinazione della mulaggine del bravo Meo, imbecille ma testardo sino alla perfezione.

Ecco di che modo era nata la lite.

Maddalena era corsa giù a trasmettere al garzone gli ordini di Barnaba, e Meo, con aspetto torvo che pareva accrescere ancora la sua melensaggine, aveva accolto quegli ordini con un brontolio che pareva un grugnito, ma senza pronunziare una parola, e si era posto con tutta lentezza ad eseguirli.

– Un po' più lesto, marmotta: aveva detto Maddalena vedendolo muoversi così di malavoglia.

Meo aveva volto i suoi occhi grigi e a fior di pelle verso la ragazza, nei quali, se avessero potuto manifestar lo stato della sua anima, ci sarebbe dovuto essere collera e rimprovero, e che invece non avevano altra apparenza fuor quella di due pallottole di vetro incassate in una zucca; aveva sospirato, soffiato, grugnito, ma non aveva risposto. E tutto sarebbe rimasto lì se la Maddalena, per un eccesso di prudenza, non avesse commesso un fallo imprudentissimo.

Senza conoscerne bene la ragione, ella sapeva, perchè Gian-Luigi medesimo glie l'aveva detto, e il padrone pure della bettola le aveva fatte a questo riguardo le più calde raccomandazioni, ella sapeva essere cosa sommamente importante che quel cotal messer Barnaba non venisse mai a scoprire che fra i misteriosi frequentatori della riposta camera eravi il medichino, e tanto meno poi che vedesse costui; quindi, secondo l'usato, visto appena spuntare la faccia arguta e maliziosa di Barnaba, ella s'era precipitata ad avvertirne il medichino, al quale, come avete potuto accorgervi, la Maddalena portava il più vivo ed il maggior interesse del mondo; mentre alcuni di quelli che erano compagni a Gian-Luigi in quella stanza dall'uscio a vetri, prima che ne uscissero chiamati dal rumore della contesa fra Maurilio e Marcaccio, fosse caso od intenzione dietro ricevute istruzioni, arrestavano Barnaba nel cammino e lo tenevano un istante in novelle, fatto che giovava ad accrescere i sospetti di questo agente segreto e importante della polizia.

Ora, dovendo Meo presentarsi innanzi a Barnaba colla vivanda e col vino, Maddalena temette che quell'imbecille di garzone, benchè severissimamente proibito ancor egli di far motto alcuno di Gian-Luigi, dalle accorte domande di Barnaba si lasciasse mettere in mezzo e alcuna cosa dicesse di quanto non si doveva dir mai.

Il miglior partito a prendersi sarebbe stato quello di incaricarsi essa stessa di servire il sig. Barnaba; ma codesto non venne neppure in mente alla Maddalena, come quello che per nulla s'accordava colla sua gran voglia di fare il meno possibile. Laonde, pur conoscendo l'impero che le sue attrattive avevano sulla grossa natura di quel giovane soro, e sicura che una sua parola bastasse a farne quanto ella volesse, Maddalena, quando già aveva messo il piede sul primo scalino per risalire nell'osteria, si volse indietro verso Meo e gli disse:

– Bada sopratutto, per qualunque cosa ti possa dire ser Barnaba, a non lasciarti sfuggir di bocca parola intorno al medichino.

Meo divenne rosso più che un tacchino in bizza, e i suoi occhi di cristallo rotearono come usano quelli delle figure di cera dei gabinetti meccanici.

– Ah! Il medichino, rispos'egli a denti stretti; oh sì il medichino… Potessi vederlo impiccato quel cicisbeo della malora!

Queste parole avevano dato l'aire alla collera ed alle ciancie della Maddalena.

Allorchè mastro Pelone sopraggiunse, perchè non trovando nello stanzone di sopra nè la fante ne il garzone, era disceso nella canova; allorchè egli sopraggiunse, la ragazza diceva sfavillante d'ira gli occhi:

– Tu non parlerai, o guai a te!

– Parlerò: rispondeva coi denti serrati e colla sua aria e col suo accento da testardo, il giovane tenendo sempre fra le mani il piatto e la bottiglia.

– Che cosa è questo? Esclamò Pelone pigliando dal suo sdegno tanta forza da poter parlare ad alta voce e con accento concitato. Figlioli di male femmine che state qui a perdere il tempo a bisticciarvi invece di servir gli avventori!.. Non so chi mi tenga dal misurarvi un calcio dove so io… che il fistolo v'accoppi.

Maddalena che mostrava chiaro non esser per nulla intimorita alle parolaccie del padrone, si volse vivacemente a quest'esso e gli disse in tutta fretta:

– Questo martuffo di Meo vuol dire al signor Barnaba che il medichino era qui adess'adesso.

Pelone divenne pallido, se pur poteva dirsi che la sua pelle d'alluda impallidisse. Stette un momento senza parlare, quasi glie ne mancasse il fiato, poi con voce soffocata ma tremenda, disse al garzone:

– Disgraziato! Se una sola parola ti sfugge, hai finito di vivere.

Alle parole del padrone, Meo rimase il più sgomento uomo del mondo. Stava là piantato sulle sue gambaccie, cogli occhi sbarrati, colla bocca larga, e guardava mastro Pelone con un'attonitaggine spaventata che fece rompere la Maddalena in uno scoppio di risa.

Il bettoliere, rimessosi alquanto della emozione che lo aveva fatto uscire in quella minaccia, disse al garzone colla sua voce più affranta e più cavernosa di prima:

– Or va, sollecita, servi messer Barnaba, e bada di tenere la lingua a segno.

Meo balbettò qualche parola inintelligibile, roteò gli occhi ancora smarriti, fissando ora Pelone ora Maddalena, e salì la scala coi piatti e col fiasco in mano, seguito dalle risate beffarde della giovane.

– Sei qui finalmente, lumacone d'un addormentato? Disse Barnaba vedendo comparirsi dinanzi il povero Meo ancora tutto sconvolto. Eh! ci vuol egli un secolo a portar questa poca roba?

Il garzone non rispose e mise innanzi all'avventore. Ma questi s'accorse che nell'apparecchiargli in tavola, le mani di Meo tremavano, e guardatolo in faccia, gli vide i segni del turbamento, da cui non s'era ancora compiutamente riavuto.

– Che cos'hai. Meo, che la tua faccia par quella d'un mascherone da fontana?

Meo crollò la testa, soffiò forte, e rispose in fretta a parole mozzicate:

– Nulla, non ho nulla.

E fece per andarsene tosto: ma Barnaba lo trattenne.

– Sta qui meco un momento, che diavolo!.. Tu hai dei dispiaceri, povero tambellone, non è vero? Te lo leggo chiaro su quella luna piena che ti serve da faccia.

Meo sospirò a suo modo, ma non disse verbo.

– Vuoi che te lo dica il tuo segreto? Tu sei innamorato morto.

Il babbuino si torse della persona con mossa di vergognoso, divenne rosso in volto e fece nello stesso tempo il più scemo sorriso.

– Quella birbona di Maddalena, eh?

– Ah sì! Quella birbona! Non potè a meno di ripetere Meo con un grosso sospiro.

– La è una civettuola che si lascia amoreggiare dal terzo e dal quarto.

– Ah si! Tornò ad esclamare Meo con un altro sospiro.

– Ed inoltre fra tutti i suoi galanti ce ne avrà qualcheduno di preferito.

Altro sospirone ed altra esclamazione affermativa di Meo.

– E questo preferito non sei tu?

– Non son io: ripetè dolentemente il garzone chinando la testa, con un sospiro più desolato degli altri.

– Ma sai tu almeno questo fortunato mortale chi sia?

Il giovane alzò vivamente la testa, ed un lampo balenò nei suoi occhi da stupido.

– Oh! se lo so: diss'egli serrando i pugni.

Barnaba si sporse di più verso il garzone e soggiunse sotto voce:

– Si dice che sia un cotale che viene qui soltanto di soppiatto: un bel giovane che fa il signore…

Meo digrignava i denti e seguitava a far girare le pallottole di vetro dei suoi occhi, come fanno quelle certe figure dipinte su alcuni dei pendoli a contrappesi.

Il poliziotto s'accostò ancora maggiormente al giovane, e continuò con voce più sommessa ancora ma con accento autorevolmente affermativo, fissando bene in volto l'imbecille:

– E questo tale è conosciuto qui col nomignolo di medichino.

A questa parola il povero Meo tutto si riscosse e si trasse indietro vivamente spaventato, come alla vista improvvisa d'una voragine che gli si aprisse sotto i piedi.

– Non so nulla: esclamò egli; non ho detto nulla; non mi fate dir nulla.

Barnaba lo prese ad un braccio e lo tirò presso di sè.

– Ah, ah! Disse. Ho posto il dito sulla piaga io. Vien qui, tambellone; e non ti pentirai d'aver parlato meco; ne avrai anzi sotto ogni riguardo vantaggio. Quel tal medichino, adunque…

Ma in quella l'uscio a vetri s'aprì, e comparvero, prima il naso enorme, poi la faccia cadaverica di mastro Pelone.

– Eh! marmotta: disse questi parlando a Meo. Si ha bisogno di te, e tu pianti le radici dappertutto dove ti fermi.

Barnaba lasciò andare tostamente il braccio di Meo, il quale s'affrettò a partire. Il poliziotto mirava con una certa intentività acuta e maliziosa il bettoliere ed il garzone.

– Comandate qualche cosa? Chiese Pelone a Barnaba, avanzandosi verso il suo desco.

– No, non mi occorre più nulla: rispose Barnaba. Va pure alle tue faccende anche tu, che io mangerò tranquillamente questa roba senz'altro.

L'oste che pareva desiderar mediocremente soltanto di rimanere un'altra volta solo coll'agente della polizia, uscì sulle peste di Meo, e Barnaba rimase solo.

Allora questi si alzò, e con passo leggerissimo corse all'uscio a vetri a chiarirsi se di là ci fosse chi potesse vedere entro la stanza: tirò bene le tendoline ai cristalli, e poi si diede ad esaminare minutamente le pareti della camera, intorno alle quali correva ad altezza d'uomo una impiallacciatura di legno volgare di pioppo mal verniciato.

Guardò, toccò, battè riguardosamente qua e colà colla nocca delle dita, e ad un punto si fermò più lungamente che altrove. Gli parve poi udire l'appressarsi di qualcheduno, e più lesto ed agile che un gatto, fu al suo posto dove riprese a mangiare così tranquillo come se non si fosse mai mosso.

– Va bene: diceva egli intanto fra sè. I miei sospetti s'afforzano e spero diventeranno certezze. Andrò a far strabiliare il commissario… E ad ogni modo quell'imbecille di Meo sarà uno stromento che saputo maneggiare finirà per aprirci il segreto di ogni cosa.

La plebe, parte I

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