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CAPITOLO VII

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Come le virtú s’aoperano col mezzo del proximo, e perché le virtú sono poste tanto differenti ne le creature.

—Decto t’ho come tucti e’ peccati si fanno col mezzo del proximo per lo principio che ti posi, perché erano privati dell’affecto della caritá, la quale caritá dá vita a ogni virtú; e cosí l’amore proprio, il quale tolle la caritá e dileczione del proximo, è principio e fondamento d’ogni male. Tucti gli scandali, e odio e crudeltá e ogni inconveniente procede da questa perversa radice de l’amore proprio. Egli ha avelenato tucto quanto el mondo e infermato el corpo mistico della sancta Chiesa e l’universale corpo della religione cristiana, perché Io ti dixi che nel proximo si fondavano tucte le virtú, e cosí è la veritá.

Io sí ti dixi che la caritá dava vita a tucte le virtú, e cosí è: che veruna virtú si può avere senza la caritá, cioè che la virtú s’acquisti per puro amore di me. Ché poi che l’anima ha cognosciuta sé, come di sopra dicemmo, ha trovata umilitá e odio della propria passione sensitiva, cognoscendo la legge perversa che è legata nelle membra sue che sempre impugna contra lo spirito. E però s’è levata con odio e dispiacimento d’essa sensualitá, conculcandola socto la ragione con grande sollicitudine; e in sé ha trovata la larghezza della mia bontá per molti benefizi che ha ricevuti da me, e’ quali tucti ritruova in se medesima. E il cognoscimento che ha trovato di sé il retribuisce a me per umilitá, cognoscendo che per grazia Io l’abbi tracto della tenebre e recato a lume di vero cognoscimento.

E poi che ha cognosciuta la mia bontá, l’ama senza mezzo ed amala con mezzo: cioè senza mezzo di sé e di sua propria utilitá; e amala col mezzo della virtú (la quale virtú ha conceputa per amor di me), perché vede che in altro modo non sarebbe grato né accepto a me se non concepesse l’odio del peccato e amore delle virtú. E poi che l’ha conceputa per affecto d’amore, subbito la parturisce al proximo suo, ché in altro modo non sarebbe veritá che egli l’avesse conceputa in sé. Ma come in veritá m’ama, cosí fa utilitá al proximo suo; e non può essere altrementi, perché l’amore di me e del proximo è una medesima cosa, e tanto quanto l’anima ama me, tanto ama lui, perché l’amore verso di lui esce di me.

Questo è quel mezzo che io v’ho posto acciò che exercitiate e proviate la virtú in voi: che, non potendo fare utilitá a me, dovetela fare al proximo. Questo manifesta che voi aviate me per grazia ne l’anima vostra; facendo fructo in lui di molte e sancte orazioni con dolce e amoroso desiderio, cercando l’onore di me e la salute de l’anime. Non si ristá mai l’anima inamorata della mia veritá di fare utilitá a tucto el mondo, in comune e in particulare, poco e assai, secondo la disposizione di colui che riceve e de l’ardente desiderio di colui che dá, sí come di sopra fu manifestato quando ti dichiarai che pura la pena, senza il desiderio, non era sufficiente a punire la colpa.

Poi che egli ha facto utilitá per l’amore unitivo che ha facto in me, per lo quale ama lui, disteso l’affecto alla salute di tucto quanto il mondo, sovenendo alla sua necessitá, ingegnasi (poi che ha facto bene a sé per lo concipere la virtú, unde ha tracta la vita della grazia) di ponere l’occhio a la necessitá del proximo in particulare. Poi che mostrato l’ha generalmente a ogni creatura che ha in sé ragione, per affecto di caritá, come decto è, ed egli soviene quelli da presso, secondo diverse grazie che Io gli ho date a ministrare: chi di doctrina, cioè con la parola consigliando schiectamente senza alcuno rispecto; chi con exemplo di vita. E questo debba fare ogniuno, e dare edificazione al proximo di sancta e onesta vita.

Queste sonno le virtú, e molte altre, le quali non potresti narrare, che si parturiscono nella dileczione del proximo. Perché l’ho poste tanto differenti che Io non ho dato tucto a uno, anco a cui ne do una, e a cui ne do un’altra particulare? poniamo che una non ne possa avere che tucte non l’abbi, perché tucte le virtú sono legate insieme. Ma dolle molte, quasi come per capo di tucte l’altre virtú; cioè che a cui darò principalmente la caritá, e a cui la giustizia, e a cui l’umilitá, e a cui una fede viva; ad altri una prudenzia, una temperanzia, una pazienzia; ad altri una fortezza. Queste e molte altre darò ne l’anima differentemente a molte creature: poniamo che l’una di queste sia posta per uno principale obiecto di virtú ne l’anima, disponendosi piú a conversazione principale con essa che con l’altre; e per questo affecto di questa virtú trae a sé tucte l’altre virtú, ché (come decto è) elle sono tucte legate insieme ne l’affecto della caritá.

E cosí molti doni e grazie di virtú e d’altro, spiritualmente e corporalmente (corporalmente dico per le cose necessarie per la vita de l’uomo), tucte l’ho date in tanta differenzia che non l’ho poste tucte in uno, perché abbi materia, per forza, d’usare la caritá l’uno con l’altro. Ché ben potevo fare gli uomini dotati di ciò che bisogna e secondo il corpo e secondo l’anima; ma Io volsi che l’uno avesse bisogno de l’altro, e fussero miei ministri a ministrare le grazie e i doni che hanno ricevuti da me. Ché voglia l’uomo o no, non può fare che per forza non usi l’acto della caritá. È vero che, se ella non è facta e donata per amore di me, quello acto non gli vale quanto a grazia.

Sí che vedi che acciò che essi usassero la virtú della caritá, Io gli ho facti miei ministri e posti in diversi stati e variati gradi. Questo vi mostra che nella Casa mia ha molte mansioni, e che Io non voglio altro che amore. Però che ne l’amore di me compie l’amore del proximo; compíto l’amore del proximo, ha observata la legge: ciò che può fare d’utilitá, secondo lo stato suo, colui che è legato in questa dileczione, sí el fa.

Libro della divina dottrina: Dialogo della divina provvidenza

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