Читать книгу Libro della divina dottrina: Dialogo della divina provvidenza - Caterina da Siena - Страница 16
CAPITOLO XIII
ОглавлениеCome questa anima per la responsione divina crebbe insiememente e mancò in amaritudine; e come fa orazione a Dio per la Chiesa sancta sua e per lo popolo suo.
Alora l’anima anxietata e affocata di grandissimo desiderio, conceputo ineffabile amore nella grande bontá di Dio, cognoscendo e vedendo la larghezza della sua caritá che con tanta dolcezza aveva degnato di rispondere a la sua petizione, e di satisfare dandole speranza a l’amaritudine, la quale aveva conceputa per l’offesa di Dio e danno della sancta Chiesa e miseria sua propria (la quale vedeva per cognoscimento di sé), mitigava l’amaritudine, e cresceva l’amaritudine; perché avendole il sommo ed etterno Padre manifestata la via della perfeczione e nuovamente le mostrava l’offesa sua e il danno de l’anime, sí come di socto dirò piú distesamente.
Perché nel cognoscimento che l’anima fa di sé, cognosce meglio Dio, cognoscendo la bontá di Dio in sé; e nello specchio dolce di Dio cognosce la dignitá e la indegnitá sua medesima: cioè la dignitá della creazione, vedendo sé essere imagine di Dio e datole per grazia e non per debito. E nello specchio della bontá di Dio dico che cognosce l’anima la sua indegnitá nella quale è venuta per la colpa sua. Però che come nello specchio meglio si vede la macula della faccia de l’uomo specchiandosi dentro nello specchio, cosí l’anima che, con vero cognoscimento di sé, si leva per desiderio con l’occhio de l’intellecto a raguardarsi nello specchio dolce di Dio, per la puritá, che vede in lui, meglio cognosce la macula della faccia sua.
E perché el lume e il cognoscimento era maggiore in quella anima per lo modo decto, era cresciuta una dolce amaritudine, ed era scemata l’amaritudine. Era scemata per la speranza che le die’ la prima Veritá; e sí come il fuoco cresce quando gli è data la materia, cosí crebbe il fuoco in quella anima per sí facto modo che possibile non era a corpo umano a potere sostenere che l’anima non si partisse dal corpo. Unde, se non che era cerchiata di fortezza da Colui che è somma fortezza, non l’era possibile di camparne mai.
Purificata l’anima dal fuoco della divina caritá, la quale trovò nel cognoscimento di sé e di Dio, e cresciuta la fame con la speranza della salute di tucto quanto el mondo e della reformazione della sancta Chiesa, si levò con una sicurtá dinanzi al sommo Padre, avendole mostrato la lebbra della sancta Chiesa e la miseria del mondo, quasi con la parola di Moisé dicendo:
—Signore mio, vòlle l’occhio della tua misericordia sopra el popolo tuo e sopra el corpo mistico della sancta Chiesa; però che piú sarai tu gloriato di perdonare a tante creature e dar lo’ lume di cognoscimento (ché tucte ti rendarebbero laude vedendosi campare per la tua infinita bontá da la tenebre del peccato mortale e da l’etterna dampnazione) che tu non sarai solamente di me miserabile che tanto t’ho offeso e la quale so’ cagione e strumento d’ogni male. E però ti prego, divina etterna caritá, che tu facci vendecta di me e facci misericordia al popolo tuo. Mai dinanzi ala presenzia tua non mi partirò infino che io vedrò che tu lo’ facci misericordia.
E che sarebbe a me che io vedesse me avere vita e il popolo tuo la morte? e che la tenebre si levasse nella sposa tua, che è essa luce, principalmente per li miei difecti e de l’altre tue creature? Voglio dunque, e per grazia tel dimando, che abbi misericordia al popolo tuo per la caritá increata che mosse te medesimo a creare l’uomo a la imagine e similitudine tua dicendo: «Facciamo l’uomo a la imagine e similitudine nostra». E questo facesti volendo tu, Trinitá etterna, che l’uomo participasse tucto te, alta, etterna Trinitá. Unde gli desti la memoria perché ritenesse i benefizi tuoi, nella quale participa la potenzia di te, Padre etterno; e destili l’intellecto acciò che cognoscesse, vedendo, la tua bontá e participasse la sapienzia de l’unigenito tuo Figliuolo; e destili la volontá acciò che potesse amare quello che lo ’ntellecto vide e cognobbe de la tua veritá participando la clemenzia dello Spirito sancto.
Chi ne fu cagione che tu ponessi l’uomo in tanta dignitá? L’amore inextimabile col quale raguardasti in te medesimo la tua creatura e inamorastiti di lei, e però la creasti per amore e destile l’essere acciò che ella gustasse e godesse il tuo etterno bene. Vego che per lo peccato commesso perdecte la dignitá nella quale tu la ponesti; per la rebellione che fece a te cadde in guerra con la clemenzia tua, cioè che diventammo nemici tuoi. Tu, mosso da quel medesimo fuoco con che tu ci creasti, volesti ponere il mezzo a reconciliare l’umana generazione che era caduta nella grande guerra, acciò che della guerra si facesse la grande pace. E destici el Verbo de l’unigenito tuo Figliuolo, il quale fu tramezzatore fra noi e te.
Egli fu nostra giustizia che sopra di sé puní le nostre ingiustizie; e fece l’obbedienzia tua, Padre etterno, la quale gli ponesti quando el vestisti della nostra umanitá, pigliando la natura e imagine nostra umana. Oh abisso di caritá! qual cuore si può difendere che non scoppi a vedere l’altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanitá? Noi siamo imagine tua, e tu imagine nostra per l’unione che hai facta ne l’uomo, velando la Deitá etterna con la miserabile nuvila e massa corrocta d’Adam. Chi n’è cagione? L’amore. Tu, Dio, se’ facto uomo, e l’uomo è facto Dio. Per questo amore ineffabile ti costringo e prego che facci misericordia a le tue creature.