Читать книгу Alla finestra - Enrico Castelnuovo - Страница 11

VII.

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Di questo moto, di questa vita un'eco giungeva sino alla buia ed angusta viuzza abitata dalla nostra Gegia e interrompeva la triste e monotona esistenza della poveretta.

I grandi avvenimenti rendono espansivi e loquaci, e le vicine, perdonatole nella loro infinita clemenza lo scandalo del biglietto, salivano adesso più sovente da lei a chiacchierar delle cose del giorno. Inoltre una sua amica d'infanzia che aveva la commissione di parecchie bandiere tricolori per l'ingresso degli italiani, sentì che non poteva fare a meno di un aiuto e richiese la Gegia s'ella volesse lavorare con lei e spartire i guadagni. L'offerta fu accettata con entusiasmo, chè in quel tempo l'arte delle conterie dava alla Gegia ben poco da fare ed ella aveva supplicato invano suo padre di crescerle la mesata. Siccom'ella non si poteva muovere, l'altra trasportò da lei il proprio laboratorio, e le due ragazze stavano insieme dall'alba al crepuscolo a tagliare, a cucire quelle enormi pezze di lana, che coi loro vivi colori parevano illuminare la malinconica cameretta. L'amica della Gegia era una giovine vispa ed allegra e si divertiva un mondo a ridere a spese della zia Marianna, la quale non sapeva raccapezzarsi in mezzo a quelle novità. Si aveva un bel gridarle nell'orecchio che i Tedeschi andavano via d'amore e d'accordo; ella ripeteva sempre che li aveva visti per la strada con la loro brava baionetta al fianco e che bisognava aver perduto il senno a far le bandiere tricolori mentr'essi erano qui.

— Ne ho conosciuti di quelli che andarono sulla forca per meno, — ella soggiungeva, ed era vero. Ma non c'era caso di farle intendere che i tempi erano cambiati. Ella scrollava le spalle e si ritirava nel campo trincerato della sua cucina ove la si sentiva brontolare: — Che il Signore ce la mandi buona! Sono impazziti tutti!

Il signor Menico invece, dacchè non v'era più dubbio sulla prossima partenza degli Austriaci, era diventato un eroe, e non era contento della soluzione pacifica delle cose. — Credete pure, tose mie, — egli diceva alla Gegia e alla sua compagna, — che ci voleva un altro poco di sangue.

— Com'è cattivo, signor Menico! — osservavano le ragazze tra il serio e il faceto.

— Cattivo! Cattivo! — egli rispondeva, prendendo tabacco. — Non è cattiveria.... È che noi altri uomini del 48 siamo fatti così. Quando si son vedute le bombe a due passi.... capite.... eh!... Non racconto frottole.... vi sono testimoni.

Anche il padre della Gegia, Filippo, faceva in quei giorni men rare apparizioni nella camera della figliuola. I maligni susurravano che non gli dispiacesse fare il galante alla Pina, l'amica della Gegia, la quale era piuttosto belloccia ed appetitosa.

— Quel Filippo, — soggiungevano le donnicciuole con un sorriso indulgente, — benchè non sia lontano dai cinquanta, sta sempre dietro alle gonnelle. È vero ch'è un uomo da poter piacere ancora meglio di tanti zerbinotti.

Una volta egli magnificava alle due ragazze la nuova livrea che avrebbe indossato il giorno dell'arrivo del Re.

— Oh come pagherei a vederlo in gran gala, — esclamò la Pina.

— Paghereste a vedermi, fia mia? — egli replicò chinandosi verso di lei tutto ingalluzzito. — Ebbene, volete venir quel giorno a palazzo? Dirò ai padroni che siete una mia parente e vi troverò un posticino sulla riva o a una finestra perchè possiate assistere allo spettacolo e veder davvicino anche me.

— No, no, questi sotterfugi non mi vanno a genio.

— Eh che scrupoli.... Via!

— No, no e no.

— Andiamo, bella ragazza, non pigliate il caldo. Fatemi piuttosto sapere per quel giorno dove sarete, a che finestra, a che traghetto, e io farò il possibile perchè la gondola passi da quella parte, e quando sarò presso vi farò un segno, che, capite, coi padroni in barca, non posso mica chiamarvi....

— Diamine, s'intende. Ma, quando sarà?

— Il giorno preciso non è ancora stabilito. Bisogna prima che entrino le truppe.

— E queste entreranno?...

— Il 19 del mese. — S'era già in ottobre.

— Che spettacolo sarà anche quello! — esclamò la Gegia.

C'era un tal fondo di mestizia nella sua voce, che la Pina ne fu commossa, e soggiunse:

— Poverina! Che peccato che tu non possa veder nulla! — Indi battendosi il fronte con la palma, continuò: — A proposito; dicono che lasceranno andar la gente nell'entrata del palazzo di fronte che guarda sul Canal grande. Sapete, Filippo, che bella cosa dovreste fare? Un po' prima di andare in gondola coi padroni, venir qui, trasportar la Gegia abbasso, trovarle un buon posto, e poi, più tardi, passare a prenderla e riportarla su.

Mentr'ella parlava, la Gegia la guardava prima con maraviglia, poi con commozione e con riconoscenza. Dopo tanti anni avrebbe potuto davvero uscire dal suo tugurio, risalutare il sole, riveder l'azzurro del cielo? Avrebbe potuto mescolarsi alla gioia degli altri, vivere un giorno nel mondo, ella, la sepolta viva? Ma quando i suoi occhi s'incontrarono in quelli del padre, ella capì che aveva sognato.

— Ma, Pina, che idee vi saltano in capo? — proruppe Filippo con aria infastidita. — Come volete che la Gegia, nello stato in cui si trova, vada in mezzo a quella calca? Sono momenti in cui rischiano di rompersi le gambe anche i sani, e lasceremo schiacciar lei ch'è malata?... Un bel servizio che fareste alla vostra amica!... Quanto a me poi avrò proprio tempo di portare in collo la gente....

La Pina stava per replicare, ma l'altra le accennò che tacesse.

— Basta, — ripigliò Filippo in tuono più dolce, — quasi quasi andavo in collera con voi, e io con le belle tose voglio esser sempre in buoni termini.

Ma la Pina non gli diede retta e si voltò da un'altra parte. Alla Gegia intanto colavano due grosse lagrime per le gote, e Filippo che non voleva veder musi lunghi uscì dalla stanza, dicendo: — Ecco ciò che si guadagna a tener discorsi senza sugo.

Alla finestra

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