Читать книгу Alla finestra - Enrico Castelnuovo - Страница 16
XI.
ОглавлениеQuando venne la buona stagione e le due finestre tornarono ad essere aperte, la Gegia notò che Carletto era immensamente deperito. E invero egli aveva una tosse ostinata.
— L'inverno mi fa sempre male — egli disse alla sua vicina — e non istò ancora perfettamente.
— Non vuol curarsi.
— Ho preso tanti pasticci, più che altro per far piacere alla mamma.... Ma il meglio sarà ch'io resti in casa un paio di giorni.... Ne ho chiesto licenza all'avvocato.
La Gegia sentì una trafittura al cuore. Le parve che una voce le dicesse ch'ella non avrebbe più rivisto Carletto.
— E quali giorni ha scelto per istare a casa? — ella domandò.
— Comincierò domani ch'è domenica; spero così martedì o mercoledì al più tardi di rimettermi al lavoro.... A ogni modo, senta, se per mercoledì non vengo allo studio farò di tutto per passare un momento da lei.
Era, dopo la visita dell'anno addietro, la prima volta ch'egli si proponeva di venirla a trovare a casa.
— Oh signor Carletto, è troppo buono — ella disse — non vorrei che queste cattive scale l'affaticassero.
— Non si dia pensiero, le farò adagio.... Se sapesse quante volte la mamma mi ha detto ch'io ho mancato con lei.
— Con me! — sclamò la ragazza arrossendo. — O come mai?
— Sì; perchè non son venuto di persona a ringraziarla dei fiori.
— Lo sa che non deve far complimenti.... Verrà quando potrà.
Il mercoledì la Gegia passò una giornata agitatissima. Era forse tornato a brillare un raggio di speranza nel suo povero cuore? Pensava ella davvero a un ricambio della sua infelice passione? O piuttosto la sua inquietudine era dovuta soltanto al timore che la malattia di Carletto fosse più grave di quello ch'egli non credeva o non fingeva di credere, tantochè egli non fosse in grado d'uscir di casa nè quel giorno nè il giorno appresso, nè mai forse, mai più?
Se il pensiero che angustiava la sventurata ragazza era questo, ella non si apponeva certo a torto. Non solo Carletto non comparve nel mercoledì, ma il giovedì mattina la Gegia vide la serva dell'avvocato che consegnava a un uomo maturo il vaso d'erbarosa.
Ella ebbe appena la forza di chiedere: — O non viene oggi il signor Carletto?
La donna, sgarbata secondo il suo costume, scrollò le spalle senza rispondere, ma l'incognito prese egli la parola. — No sicuro, non viene oggi e non sa quando verrà.... Per questo ha mandato a prendere il vaso d'erbarosa.
— Ma che cos'ha?
— Febbre e tosse.... Un affar lungo.
— Ma non mica serio?
— E chi può dir nulla? È attaccato al petto.
E, salutata la Gegia, si allontanò.
Ella, sopraffatta dal dolore, colse appena un frammento di dialogo tra la fantesca e il messaggero di Carletto.
— Chi è quella ragazza?
— Oh un bel feudo!... Ha perdute le gambe.
La Gegia non aveva tempo di sentirsi mortificata da queste parole; il suo pensiero era corso alla camera ove languiva il solo uomo che per un istante aveva mostrato di provar per lei qualche cosa di più che un sentimento di sterile compassione... Oh così avesse potuto volare ella stessa a soccorrerlo, a vegliarlo! Così avesse potuto morire in vece sua, morire sotto i suoi occhi, ridonandogli la vita e la sanità! Che faceva ella nel mondo? A chi era necessaria? Non al padre, non alla zia; egli invece aveva una vecchia genitrice di cui era il solo conforto, egli poteva ancora trovare qualcheduno che lo amasse!
La tormentava inoltre l'idea delle strettezze in cui Carletto si trovava sicuramente. Poveretto! Se la sua malattia era lunga, come ne avrebbe sopportato le spese? Ed ella ripensò alla moneta donatale dalla Lotte; a che opera buona l'avrebbe destinata se non a questa di soccorrere Carletto e la sua mamma?
Il sabato, quando il vecchio Menico venne da lei come il solito, ella lo supplicò di ascoltarla con pazienza e di prepararsi a darle una prova del suo affetto per essa. Gli raccontò la storia del napoleone d'oro, il voto ch'ella aveva fatto d'impiegarlo un dì o l'altro in tal cosa che le facesse perdonare a sè medesima il modo in cui lo aveva ricevuto; gli parlò di Carletto, della sua malattia, dei suoi imbarazzi economici e del bisogno ch'ella sentiva di essergli utile. Finchè era sano, ella non aveva avuto il coraggio di offrirgli nulla, ma adesso ch'era infermo, ogni esitanza le sarebbe parsa colpevole, ed era certa che Carletto non avrebbe rifiutato un aiuto da lei. Perciò, s'era vero ch'egli le voleva bene, egli stesso, il signor Menico, doveva assumersi quest'ufficio delicato, doveva andare da Carletto, informarsi della sua salute, vederlo e fargli accettare quel po' di denaro. No, s'egli stava in forse di compiacerla, ella non avrebbe più creduto nemmeno a lui, avrebbe detto, povera disgraziata, che nessuno, nessuno aveva pietà di lei sulla terra, Menico, ch'era di cuor tenero, finì col cedere e adempiette così bene all'incarico che la Gegia gli sarebbe saltata al collo se il saltare fosse stato cosa da lei. Quand'egli le disse che a parer suo Carletto non istava poi tanto male come si voleva far credere, quando le soggiunse che il suo napoleone era stato accolto con lagrime di riconoscenza e aveva risparmiato alla madre del giovine la necessità d'impegnare un filo d'oro ereditato da suo marito, la Gegia si sentì quasi felice. È pur vero che noi non possiamo sbarazzarci affatto dell'amor di noi stessi nemmeno negli slanci più generosi dell'animo, e la soddisfazione di lenire un dolore altrui ci fa sovente dimenticare che sarebbe assai meglio che questo non ci fosse.
Di lì ad alcune settimane il signor Menico tornò a visitare l'infermo. Aveva ancora la tosse e un filo di febbre, ma era pieno di speranze. La finestra della sua cameretta era spalancata, e il sole veniva a lambire il suo letticciolo, e le dolci aure di primavera accarezzavano la sua fronte.
— Che cosa le mandi a dire alla Gegia? — chiese a Carletto la vecchia madre che gli sedeva vicino e lo guardava teneramente.
— Che sto meglio, e che mi alzerò domani e uscirò presto di casa giacchè ormai siamo in aprile e non ho più paura.
— Oh sì — soggiungeva la madre. — La primavera è un gran balsamo per te.
— Chi sa, domenica forse — ripigliò il malato appoggiandosi su un gomito — potrò andare a messa... E chi sa che non mi spinga fino dalla Gegia...
— Bada — interruppe la vecchia — non troppe cose in una volta. Ci andrai lunedì dalla Gegia... E bisogna che tu vada anche dall'avvocato...
— Sicuro; perchè egli mi passa sempre lo stipendio e mi conserva l'impiego... Insomma, o domenica o lunedì, se dura questo bel tempo la signora Gegia mi vedrà senza fallo.
Il buon Menico, nel riferire questi discorsi alla ragazza, tentennava un po' la testa, come a significare ch'egli non credeva a questa rapida guarigione; ma la Gegia gli diceva che egli era sempre stato un pessimista ed ella aspettava senza fallo Carletto per lunedì. Non isperava nulla per sè, non s'illudeva più nel bel sogno d'essere amata: le bastava rivederlo.