Читать книгу Alla finestra - Enrico Castelnuovo - Страница 12

VIII.

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Son passati sei mesi, sono entrate le truppe, è arrivato il Re, è arrivato Garibaldi, la città a poco a poco è tornata nel suo stato normale, e la Calle Lombarda ha ripreso un aspetto più calmo. Nondimeno le bandiere sventolano ancora dai balconi per qualunque pretesto, e gli organetti, che meriterebbero un po' d'indulgenza dai signori perchè sono l'orchestra del povero, vengono di tratto in tratto a suonare sotto la finestra della Gegia l'inno di Brofferio o quello di Garibaldi. È l'unica distrazione che le abbiano recato i tempi nuovi; ella non si è mossa neppur nei dì più solenni; non ha visto i bersaglieri, non ha visto il Re, non ha visto l'eroe di Marsala. Ha tutt'al più un'idea delle camicie rosse, perchè Maso, un ragazzo ch'era cresciuto sotto i suoi occhi ed era andato ad arruolarsi volontario nel maggio 1866, reduce in patria, volle farsi ammirare nella sua divisa dai vecchi suoi conoscenti e salì anche dalla Gegia. Del resto, ella non si occupa di politica, non legge nè il Rinnovamento, nè il Corriere di Venezia, quantunque li senta gridar dalla strada, non è informata nè delle tendenze radicali del fruttaiuolo il quale sparla volentieri del Governo, nè delle tendenze reazionarie di siora Veronica che comincia a vedere in pericolo la religione e teme si voglia assassinare il Papa. La solitudine si è rifatta intorno a lei; non ci sono più gli Austriaci, ma per essa il mondo è com'era prima. Aveva sperato senza saper precisamente nè per che ragioni sperava, nè che cosa sperava; ora che tutti quei bei sogni si sono risolti in nulla, la vince uno scoraggiamento infinito. Si prova spesso, tanto per ingannare il tempo, a cantar qualche aria che le ha insegnato la Pina, ma la sua voce esile, dolce, simpatica, muore nelle lagrime. Ed ella guarda la finestra chiusa del palazzo Dareni, e ripensa alla Lotte che con tanta sicurezza le aveva detto di tornare e ormai non sarebbe tornata più.

Non andò molto infatti che i proprietari del palazzo lo appigionarono ad altri. Una parte ne fu presa da certo dottor Galeni, avvocato di grido, il quale consacrò ad uso di studio due stanze sul rio e il gabinetto respiciente la calle. La Gegia, che seguiva con grande attenzione questi preparativi, vide una mattina l'avvocato, persona grave e dall'aria diplomatica, accompagnar nel gabinetto un giovine alto, macilento, e vestito di panni sgualciti.

— Si metterà qui, — disse l'avvocato accennando al suo interlocutore il tavolino appoggiato alla finestra. — Qui c'è penna, carta e calamaio. Adesso le porteranno un documento da copiare e vedremo la sua calligrafia.

Ciò detto, il dottor Galeni uscì.

L'altro sedette, si guardò intorno, rimboccò le maniche del vestito, mise nell'asticciuola una penna nuova, che premette prima sull'unghia del pollice sinistro, quindi lambì con la lingua e finalmente immerse nel calamaio. Dopo fatti questi preparativi, egli segnò alcune cifre sopra un foglio e parve soddisfatto dell'opera sua. Intanto un uomo di mezza età venne nel gabinetto con una carta in mano.

— Copii da qui sin qui, — egli disse posando la carta sul tavolino e ponendo il dito successivamente sul punto da cui doveva cominciare e su quello ove doveva finire la trascrizione. — Quando ha terminato passi dal cavaliere.

— Col manoscritto? — chiese il giovane timidamente.

— Già. Non si tratta appunto di questo?.... E badi che il cavaliere non vuole che ci siano pentimenti e scancellature.

Il cavaliere, com'è agevole intendere, non era altri che l'avvocato Galeni, insignito appunto in quei giorni dell'ordine de' SS. Maurizio e Lazzaro.

Rimasto solo, il candidato si accinse con grande impegno al lavoro che doveva decidere delle sue sorti. Tanta era la sua paura di distrarsi ch'egli non alzava mai gli occhi dal foglio, ma scriveva con la fronte increspata e morsicandosi il labbro inferiore.

Dopo una mezz'ora, egli diede un'occhiata complessiva al suo compito e con qualche trepidazione uscì dal gabinetto per sottoporre la sua scrittura all'esame del principale. Quand'egli tornò, era un altr'uomo. Il saggio era riuscito soddisfacente e Carletto Miglioli era stato assunto all'altissimo ufficio di giovine di studio presso l'avvocato cavaliere Galeni collo stipendio cospicuo di trenta lire al mese e con l'obbligo di lavorare soltanto sette ore al giorno, dalle nove alle quattro.

Bisogna riconoscere che il buon Carletto era uomo di facile contentatura. Il giovine d'avvocato, almeno in Venezia, è il paria della società, da' cui non riceve altro compenso che quello di esser chiamato giovine tutta la sua vita fino ai cent'anni inclusivi, se ha la poco invidiabile fortuna di arrivarvi. Egli può scegliere due strade, una dritta, ed una tortuosa. Seguendo la prima, egli adempie coscienziosamente a' suoi doveri, copia con meccanica esattezza le scritture forensi, porta ai clienti le lettere, del principale, si mantiene un perfetto galantuomo, e nel termine di un lustro al più perviene allo stato di piena indigenza e di compiuto idiotismo. Seguendo la seconda egli aggiunge alle sue mansioni altri piccoli uffici, assume certe cause minuscole che l'avvocato disdegna, si fa consigliere dei negozianti che vogliono fallire senza inciampare negli articoli del Codice penale, e aguzza così il poco ingegno e campa alla meno peggio, ma diventa in pari tempo un tipo esoso di azzeccagarbugli, uno degli esseri più sfuggiti dai galantuomini.

In media il giovine d'avvocato guadagna meno del più modesto artigiano, ma ha d'altra parte l'inestimabile vantaggio di dover vestire con una certa cura affine di non esser preso in isbaglio per un facchino quando si reca nelle aule tribunalizie, e di non offendere con una toilette troppo democratica i nervi della moglie dell'avvocato quando ella viene nello studio del consorte. È vero che qualche volta all'abbigliamento del subalterno provvede la liberalità del principale, che cede al giovine la roba usata. Allora il giovine, secondo la sua statura, ha corte o lunghe le maniche, lunghi o corti i calzoni, e secondo il suo diametro acquista nel suo vestito l'aspetto di un naufrago che non riesce ad emerger dall'onda, o quello di un fiume che non può più stare fra le sue rive.

Tra il signor Carletto e la Gegia non si tardò a scambiarsi ogni mattina il saluto. E al saluto tenne presto dietro qualche parola.

— Gran bella giornata — disse una volta il giovine alzando gli occhi dalla carta e guardando il cielo ch'era tinto del più limpido azzurro.

— Beato lei che può passeggiare — rispose la Gegia.

— Passeggiare! Passeggiare!... Il troppo moto fa appetito.

— Tanto meglio.

— Eh signora Gegia, tanto meglio per chi può soddisfarlo. Ma chi ne ha pochi del mese....

Rituffò la penna nel calamaio e si rimise a scrivere.

La Gegia ricominciò anch'ella a infilare le sue perle. Di lì a poco ella chiese: — Ha famiglia?

Carletto mise un punto su un i, forbì la penna sulla manica, e poi rispose: — La mia vecchia mamma.... Povera mamma!... Magari vivesse sempre.... Non so rassegnarmi all'idea di star solo.

— Via, signor Carletto — disse la ragazza — loro uomini hanno sempre qualcheduno che gli vuol bene. Se non ci fosse la mamma ci sarebbe la sposa.

— Oh sì, con un franco al giorno.

— È poco, assai poco, ma una brava massaia risparmia più che non costi.... Veda, per esempio, una moglie la divezzerebbe da quel brutto vizio....

— Che vizio?

— Quello di forbirsi la penna nel vestito.... Sa, gli abiti non si conservano mica a quel modo....

— Ha ragione, lo dice anche la mamma, povera vecchia.... Ma per quanto faccia ci ricasco sempre.... Oh dove siamo? — egli ripigliò come fra sè. — Sicuro, sicuro.... Ecco il punto. — E lesse per meglio raccapezzarsi: Non è vero e si nega essere l'istromento dotale fatto in modo da ingenerare equivoci. L'istromento dotale della sullodata nobil donzella, in data 8 giugno 1850 rogito Paolucci, dice chiaro: sono assegnati alla sposa di dote sessanta mila fiorini austriaci.... Corbezzoli. Sessanta mila fiorini! Ha inteso, signora Gegia?

— Altro che inteso! Ma, così va il mondo! Chi troppo, chi troppo poco.

— A chi un milione di capitale, a chi una lira al giorno di stipendio.

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