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IX.

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Era stato per una settimana un tempo diabolico. Quantunque fosse d'aprile era caduta un'acqua gelata, accompagnata da un vento di tramontana che metteva i brividi e trasportava in pieno gennaio. S'eran dovute tener chiuse le imposte, e la Gegia e il signor Carletto si erano appena salutati con un cenno del capo.

Il primo giorno in cui ricomparve il sole, la Gegia si trovava come il solito per tempissimo alla sua finestra. Ella aveva una certa impazienza di ricominciare gl'interrotti colloquii e aspettava le nove. Ma le nove suonarono e Carletto non venne.... Nè alle dieci, nè alle undici, nè a mezzodì. La pianta d'erbarosa beveva allegramente i raggi del sole e una bianca farfalla, venuta non si sa di dove e smarrita in quel vicolo solitario svolazzava contenta intorno alle sue foglie.

Sul mezzogiorno venne la serva dell'avvocato a tirar le cortine. La Gegia si fece coraggio e chiese: — Non s'è visto stamane il signor Carletto!

— Mi pare — rispose l'altra ch'era sgarbata e aveva una grande antipatia per la zoppa chiacchierona, com'ella chiamava la Gegia — mi pare che se ci fosse l'avrebbe visto prima di me.

La ragazza non rilevò il tuono scortese della risposta, ma soggiunse: — È malato forse?

— Che vuol ch'io sappia? — replicò la fantesca stringendosi nelle spalle.

— Non mangi oggi? — chiese a ora di pranzo la zia Marianna alla Gegia quando vide che non toccava nemmeno le vivande.

— No, non ho fame.

— Come? — fece la zia accostando l'orecchio.

— Non ho fame.

— Se non ti piace, non so che farci.... Che vorresti ch'io ti preparassi? Un piatto di fegatini?.... Povera scema!

— No, zia, non ho detto che non mi piace, ho detto che non ho fame.

— Pollame? Oh sì, proprio.

La zia Marianna era più sorda del solito e la Gegia dovette rinunziare a farsi intendere.

Nella sera venne per pochi istanti anche il barcaiuolo Filippo, le cui visite si facevano sempre meno frequenti. Quando s'accorse dell'umor nero della Gegia, invece di confortarla, corrugò la fronte, prese da un cassetto due o tre oggetti che gli occorrevano e se ne andò brontolando: — C'è un bel gusto a venire a casa. Una è sorda come una campana e quell'altra ha sempre la cera scura e contrita.... Vorrei sapere che cosa le manca....

Povera Gegia! Che cosa le manca? L'aria, la luce, il movimento, la vita, tutto.

La ragazza passò una notte angustiatissima. Ella non poteva scacciare il pensiero di Carletto. Se fosse malato assai? Era così pallido! E faceva una vita!

Ma il sentimento di lei non era che un sentimento di pietà o vi si mesceva un altro più soave, più dolce, un altro di cui ella non osava render conto a sè stessa? Sarebbe possibile ch'ella, la povera rattratta, si cullasse in vaghe fantasie d'amore? E a che pro, infelice ch'ell'era? Chi avrebbe chiesto un sorriso dalle sue labbra, una stretta dalle sue braccia?

La Gegia lo sapeva anche troppo, ma nondimeno appena alzata ella non istette dieci secondi senza volger gli occhi verso la finestra di faccia, e quando vide comparire Carletto non potè a meno di farsi rossa, di lasciar cader l'ago e le perle e di batter festosamente le mani gridando: — Oh! è qua, signor Carletto.

— Buon giorno, signora Gegia.

— Fu malato!

— Ebbi un po' di febbre.... Sfido io! Con questi tempi. — E tossì.

— Le è rimasta la tosse?

— Oh passerà.

Indi, svolgendo le carte che aveva sul tavolino, — Oggi c'è razione doppia, — egli disse.

— Povero signor Carletto.... Invece per ristabilirsi le occorrerebbe l'aria, il sole....

— I discorsi che faceva la mamma ieri.... Ma io le rispondevo: Abbiamo torto a lagnarci.... C è dirimpetto al mio studio una ragazza che non può muoversi mai.... E alla sua finestra non ci arriva un raggio di sole....

— Ha pensato a me?

— Sicuro. E la mamma pronta: Hai ragione, Carletto.... Quella povera ragazza è a peggior partito di te.... E dille ch'io pregherò la Madonna che la faccia guarire....

— Oh benedetta!...

— E dille, continuò la mia vecchia, che non si scoraggi e che la Madonna ha fatto ben altri miracoli che questi....

— Grazie, grazie di queste parole, — replicò la Gegia con le lagrime agli occhi.

— Oh come volentieri la ci verrebbe ella stessa a ripetergliele se non fossero ormai due anni che non fa le scale.

— Ma si figuri.... Speriamo che i pronostici della sua mamma si avverino, e se Dio vuole ch'io mi possa muovere da questa sedia, il primo luogo ove andrò, dopo la chiesa, sarà a casa sua....

— E che festa le si farebbe!

Carletto aveva tanto da lavorare che non fu detta quasi più una parola in tutto quel giorno; ma la Gegia provava in cuore una dolcezza ineffabile e nuova. Carletto aveva pensato a lei, aveva parlato di lei con sua madre. Ella non voleva guardar più in là, non osava chiedere a sè medesima se le sue belle fantasie fossero mai destinate a prender forma; perchè guardare il domani, se l'idea del domani non poteva che amareggiare le gioie dell'oggi?

Oh se le fosse dato guarire! Era giovine tanto! Aveva tempo ancora di amare, di godere!

Nel dopo pranzo sentì nella calle la voce di Maso, quel giovine ch'era stato con Garibaldi, e ch'ella aveva riveduto, dopo il suo ritorno, tre o quattro volte.

— Maso! Maso! — ella gridò.

— O che mi chiama, Gegia?

— Sì, potreste venire un momento da me?

Il giovinetto fece in quattro salti le scale.

— Mi fareste un gran piacere senza dirlo a nessuno?

— Dica liberamente.

— Conoscete la Filomena, Maso?

— La conciaossi, quella che anni fa veniva a curarla?

— Sì, quella appunto.... Se poteste cercarla e mandarmela?

— Anche subito.

— Grazie, Maso.... Basterà che venga domani sulle dieci, all'ora che non c'è la zia.

— A proposito, e dov'è adesso la signora Marianna?

— Dorme col gatto in grembo.... di là in cucina.

Il giovine sorrise e poi domandò peritoso: — Vuol riprendere la sua cura?

— Sì, Maso, vorrei tentare. Mi pare impossibile ch'io non debba guarir mai.

— Ha ragione, — rispose l'altro con la baldanza della sua età. — Provi, provi, abbia pazienza a curarsi e vedrà che tornerà anche lei come le altre. Oh la Filomena ne ha fatte delle cure, più assai dei dottori con tutto il loro latino. Coraggio, Gegia, se lo ricorda di quando si correva insieme?

— Se me lo ricordo! E la nostra gita al Lido.... quell'estate?...

— Ah sicuro.... Quanti anni sono?

— L'anno prima ch'io m'infermassi.... d'estate.... Mi par ieri, c'era il babbo che aveva una giornata di libertà, c'era tuo padre buon'anima e la tua mamma, oh guarda che adesso ti do del tu come allora....

— Si figuri.... Ma è quello che deve fare....

— Purchè tu faccia lo stesso....

— Eh mi ci proverò.

— E c'era anche la Pina, — continuò la ragazza, — eravamo insomma una brigata d'otto o dieci. Ci dirigemmo a San Nicolò del Lido, tirava un venticello fresco ch'era una delizia e la barca andava su e giù, su e giù.... Mi par di vedere ancora una dozzina di barche di pescatori che, in fila, si dirigevano al porto.... Avevano il vento in poppa, le vele spiegate, certe vele a rattoppi, giallastre, rossiccie, con un emblema per ciascuna, o la Madonna, o un Santo, o un cuore, o un mostro marino.... Le ci sfilarono davanti una dopo l'altra queste barche, e noi si gridava «Buona pesca!»

— Che memoria ha! — esclamò Maso.

— Oh Maso, — replicò la Gegia, — tu hai visto tante cose nel mondo, io ne ho viste così poche.... È naturale che me ne rammenti. — Indi riprese animandosi sempre più: — A un punto il babbo perdette la pazienza e disse: Come si va adagio! E afferrò il remo d'uno dei barcaiuoli e si mise a vogar lui.... Allora sì ci parve di volare sull'acqua.... E il desinare sotto il gran platano, lo hai presente?

— Un poco....

— Soltanto il principio, siamo intesi.... Perchè ho una gran paura che noi ragazzi fossimo brilli dopo il primo bicchiere....

— Lo credo anch'io, — proruppe Maso ridendo, — perchè ho una vaga reminiscenza che quel famoso albero mi volesse cascare ogni momento sulla testa.

— Ma! Per me le son cose finite.... E intanto ti trattengo qui con queste chiacchiere, e chi sa quante belle tose ti aspettano.

— Oh mi canzoni — disse Maso. E soggiunse:

— Dunque andrò per la Filomena.

— Sì, grazie.... E scusa, sai.

Il giovine sgusciò via.

Alla finestra

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