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IX. La signorina Emma e Carlo Borghetti mentre gli invitati si affollano nel «buffet.»

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Emma ha sentito dal Barbarani che suo cugino Carlo si è ferita una mano «abbastanza serissimament» col vetro di un bicchiere. Inquieta, corre a cercarlo dappertutto: lo trova, alla fine, solo soletto, seduto in un angolo della stanza più lontana, in fondo all'appartamento. È lo studio del cavalier Venceslao, denominato «lo studio del Maestro», perchè le pareti sono tappezzate colla raccolta completa di tutti i ritratti di Giuseppe Verdi, coi quadri allegorici di tutte le sue opere; coi ritratti degli interpreti più famosi. Sulle scansie, sulle mensole, statuette, figurine in bronzo, in terracotta: Aida, Ernani, Otello, il Trovatore, Falstaff, il gruppo dei tre congiurati del Ballo in maschera. Il calamaio, in argento russo, sempre pronto, con un quinterno di musica, vicino al pianoforte verticale, rappresenta una tomba colla iscrizione in oro: A Carlo Magno sia gloria e onor!

Emma (correndo appena lo vede, presso il cugino, che, sorpreso, si alza di colpo chinandosi per salutarla) Ti sei fatto male?...

Carlo. No, no.

Emma. Mi ha detto il Barbarani che ti sei tagliato una mano con un bicchiere?

— Non è niente!

— Che non sia rimasto nella ferita qualche pezzettino di vetro?... Lasciami vedere!

— Grazie, ma non ne val la pena! Mi son fatto lavare anche col sublimato.

— Emma (con stizza) Quel benedetto dottore! C'è sempre, tranne quando occorre! È appena andato via!

Carlo (sforzandosi per sorridere, per scherzare) Non è necessario amputarmi la mano, proprio stasera!... Il tuo dottore potrà aspettare fino a domani!

Emma (osservandolo) Ti sforzi per scherzare, ma devi soffrir molto. Sì, perchè sei pallidissimo. (Gli tocca la fronte) Dio mio, come bruci!... E hai gli occhi rossi, gonfi! Si direbbe persino che hai pianto! E poi ti sei nascosto quaggiù, solo solo, vuol dire che la tua mano ti fa soffrire. Forse avrai anche un po' di febbre...

Carlo. Ma no!

Emma. Lasciami vedere. Voglio vedere!... Almeno ti fascierò un po' meglio. Un po' più stretto. (Gli prendo la mano, gliela sfascia lentamente, e lentamente ricomincia a fasciarla di nuovo).

Carlo (Sta lì, proprio lì, sotto le sue labbra, quella testina cara e adorata... tanto cara e adorata e tanto bella! La fissa cogli occhi imbambolati, mentre quei due o tre bicchieri di vino bevuto, senza esserci avvezzo, gli ronzano nel cervello. Ad un tratto, barcollando, si china, quasi per baciarla, per toccarla colle labbra... ma non la tocca; si tira su: è ancora più stravolto: fra sè, confusamente, sentendo la vocetta del Barbarani ripetere ciò che aveva detto a pranzo: «Le ragazze oneste non amano altro che il matrimonio... La ragazza gli piace? Avanti!... La sua brava domanda e il suo bravo matrimonio...»: forte) Emma!

Emma (spaventata) Ti ho fatto male?

Carlo. No...

Emma. Allora, lasciami fare. (E colla ingenuità spensierata di una fanciulla semplice, sincera... innamorata di un altro, essa gli sfiora il naso, coi suoi bei capelli fini e odorosi, attortigliati in una massa pesante sulla nuca: gli si fa vicina vicina, quasi addosso, avvolgendolo col suo stesso profumo, col suo stesso calore, rivelandogli inconsapevolmente, coi suoi atti, colle sue movenze graziose e serpentine, l'incanto della sua bellezza giovane e fresca) Così... così... Ecco; così va bene!

Carlo (a un tratto: rauco) Emma... Vuoi... volete sposarmi?

Emma (lo guarda: scoppia in una risata) Sì! Altro!... Quando vuoi!

Carlo (di colpo, abbracciandola) Ti amo! Ti amo tanto!

Emma (sciogliendosi con un grido: poi, a mano a mano, fissando Carlo: l'espressione del suo volto diventa triste, dolorosa: i suoi occhi, ad un tratto, si riempiono di lacrime) Tu? Tu? (con maraviglia, quasi con disperazione) Tu? Carlo?

Carlo (supplichevole; come scusandosi, come domandandole perdono) Sì, ti amo tanto!... Sempre.

Emma. Sempre?... E non mi hai mai detto niente?... Non mi hai mai detto niente?

Carlo. Ho sempre pensato di parlare: cento volte sono stato sul punto di parlare. Non ho mai osato. Ero contento di vederti, mi bastava vederti: ecco la mia più grande felicità! Parlando, temevo di perderti, mentre invece non ho mai preso sul serio il tuo matrimonio col Sebastiani. (Con un'alzata di spalle) Tu? con Sebastiani? Non l'ho mai creduto! Certi giorni mi faceva dispetto, ero geloso anche di lui, per la sua sfacciataggine, per le sue arie di intimità, quasi di padronanza; lo avrei strozzato! Ma poi vedevo te così indifferente... mi calmavo, ridevo del Sebastiani, e, dopo averlo trovato ridicolo, pensavo che anche lui, forse, ti amava davvero, e allora mi faceva compassione.

Emma. Ma perchè non me lo hai detto subito? Perchè? Mi volevi bene? Tu? Tu? Ma... io non ci ho mai pensato. Tu?... A me?... Se siamo sempre stati insieme! Mi hai vista sempre!... Anch'io ti voglio bene, molto, molto... (si ferma come interrogando sè stessa, si passa una mano sui capelli, sospirando, stralunando gli occhi) Sì, molto: come a un fratello; ancora di più! Se tu me lo avessi detto prima, forse... Chissà? Chissà? Chissà?

Carlo (fissandola, le prende una mano).

Emma (guardandolo timidamente) Io non sapevo nulla. Ti ho fatto dispiacere? Ti ho fatto del male?

Carlo (tenendole sempre stretta la mano) Sì, molto; adesso. Ma non importa per me. Dimmi soltanto, francamente, lo voglio; adesso è troppo tardi? Ho parlato troppo tardi?

Emma (lo guarda ancora fisso fisso: ad un tratto, si lascia cadere sul canapè, scoppiando in lacrime. Sono quelle lacrime stesse che durante il suo colloquio con Giordano Mari le erano corse tante volte alla gola, e che adesso soltanto trovano libera la via di prorompere, per quel gran dolore del suo povero amico).

Carlo, immobile, muto, l'osserva attentamente: le lacrime e i singhiozzi di Emma sembrano calmare il suo turbamento, il suo sconvolgimento. Egli non trema più; non è più barcollante. I suoi occhi sono più incavati, ma vivi; lo sguardo è risoluto. La sua voce è mutata; è un'altra; ma pure è ferma, chiara. — Le lacrime di Emma son la risposta della fanciulla: egli non ha più nulla da sperare: il suo destino è segnato. L'uomo — un uomo — a costo di morire, non deve nè imprecare, nè lagnarsi contro il proprio destino; deve accettarlo, subito: un uomo deve essere forte.

Carlo. Adesso è troppo tardi?... Giordano Mari, non è vero?... Lo ami?

Emma (col capo chino accenna di sì).

Carlo. Te lo ha detto?... Ve lo siete detto?

Emma (aspetta un istante, guarda Carlo, torna a chinare il capo e accenna un'altra volta di sì).

Carlo. Stasera?

Emma. Sì.

Carlo. E... hai fissato? Avete fissato? Vi sposerete?

Emma. Non so. Questo... non so.

Carlo. Non sai?

Emma (sottovoce, timidamente: sempre senza osare di guardarlo) Non me lo ha detto.

Carlo. E... (ancora un'ultima esitazione: forse coll'ultimo filo di speranza) e quando lo dirà?

Emma. Allora... sì.

Carlo. E la mamma? Ma la tua mamma?

Emma. Non so certo, avrò molto da lottare, da soffrire; ma pure... oramai è deciso; è così. Quel che lui mi dirà di fare, farò.

Carlo. Anche... anche contro tua madre?

Emma. Lui non mi potrà mai consigliare una cosa mal fatta.

Carlo. Ma... lo conosci? Sei sicura di lui? — Come ne sei sicura? Lo conosci bene?

Emma. Lo sento!

Carlo. E subito?... Ti sei innamorata subito? In così poco tempo? Come ha fatto? Come hai fatto?

Emma. Non so: appena l'ho visto; fin dalla prima volta. L'ho visto così grande! Tanto superiore a me! E la prima volta che mi ha parlato ho sentito... che era padrone lui di me. Mi pareva quasi di dovermi inginocchiare dinanzi a lui.

Carlo. E vi siete veduti... molte volte?

Emma. Due... tre soltanto.

Carlo. E... vi siete detto di volervi bene?

Emma. No, mai, stasera...

Carlo. Stasera sì?

Emma (balbettando). Non domandarmi più niente... più, più; te ne prego. Ora sai tutto (quasi con rassegnazione accorata: quasi col presentimento di dolori misteriosi, lontani) Non parlamene più. Mi fa male; tanto male. Per me... e anche per te.

Carlo (dandole la mano) Sei buona: hai sempre ragione. Ti prego; soltanto questo: dimentica quanto ti ho detto.

Emma. Dimenticare quanto mi hai detto? Ma, Carlo, ti par possibile? Potrei dimenticarlo?

Carlo. Ebbene, anche fra me e te dev'essere come se io non ti avessi parlato... non ti avessi detto niente.

Emma. Con lui, come con tutti gli altri, come fra me e te: sarà come se tu non mi avessi detto niente.

Carlo. E sarò... sono tuo fratello?.... Ancora?

Emma (con entusiasmo) Sì! Sì! Sempre! Sempre!

Carlo (dopo un momento di silenzio) Asciugati gli occhi. Cerca di ricomporti. (Più serio, quasi grave) Lui adesso dove sarà?

Emma (interrogandolo cogli occhi, meravigliata) Non so. Perchè?

Carlo. Poco fa, nervoso, irritato, gli ho risposto male. L'ho offeso; l'ho provocato. Voglio cercarlo, vederlo: gli domanderò scusa. Tu gli vuoi bene: gli domanderò scusa.

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