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I. La Conferenza.

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A Milano: nella «gran sala» del Circolo artistico-letterario.

Un salone qualunque, abbastanza armonico, ornato di bandiere nazionali e di fantasia.

Giordano Mari, illustre pensatore e storico elegante: parla molto e scrive poco, per cui la sua fama è in continuo aumento. Bell'uomo: barba bionda, corta; capelli bruni, lucenti, ondulati; ciuffo alla moderna. Età, forse, quarantacinque anni, che all'occhio superficiale, e dopo le cure e la cura della toeletta, possono anche sembrare, forse, trentacinque. Diritto in piedi, sul palco elevato, accanto al tavolino, colla solita bottiglia e il solito bicchier d'acqua dal fondo arrugginito, parla da tre quarti d'ora sui Precursori della Rivoluzione.

Quando il conferenziere china lo sguardo per rivolgere il discorso alle signore — tutto un parterre fitto fitto di bei visetti intenti, rallegrato dalla vivezza dei papaveri, per la gran moda dei cappellini rossi — egli sorride sfoggiando la lucentezza candida dei denti, e modula la voce penetrante con inflessioni morbide, quasi tenere. Poi, quando rivolge il capo, e un apposito periodo, ai giovani letterati, agli artisti del pensiero che spiccano qua e là, infissi alle pareti, colla testolina ben pettinata, i solini alti, marmorei e l'uggia classica spirante sui labbruzzi anemici, votati alla sigaretta, la sua parola si fa più lenta, la voce più fredda, la frase più acuta; mentre tuona come un poderoso baritono dell'eloquenza quando scaglia un nome, un'apostrofe o dedica una volatina agli artisti della forma, agli scultori ed ai pittori che lo stanno a sentire raggruppati sull'uscio in fondo alla sala, con le facce sudate — con più o meno barba — spiranti un'attonita maraviglia:

— Cribbio, che polmoni!... Che Tamagno!

Giordano Mari (continuando)... Ecco dunque, o signori, sopra la pleiade dei pensatori che apersero la via ai tempi nuovi e abbatterono l'antico edificio della tirannide, ecco elevarsi quattro grandi figure d'uomini e di scrittori, i maestri dell'idea nuova, i critici della storia universale: Montesquieu, Voltaire, Diderot, Rousseau...

Donna Fanny (uno dei cappellini rossi, il più straordinario, il più bizzarro e il più parigino, sottovoce ad Emma, indicandole, s'intende, il conferenziere) Guarda che bella mano! In un uomo, dopo i denti, io guardo subito la mano. Molte fanno un gran caso anche dei capelli; per me niente! Basta che non siano rossi!

La signorina Emma: (un visino sentimentale: non si muove, non risponde, forse non ha nemmeno udito quel che ha detto Fanny: ha tutta l'anima negli occhi e gli occhi nel conferenziere).

Giordano Mari (continuando e fissando Emma che egli non ha mai visto, ma i cui occhi neri, intenti, ha subito notato fin dalle prime parole, e se ne serve, come fanno tutti gli oratori, per dirigere ed appoggiare il discorso)... Giganti della ragione i due primi, del sentimento i secondi: tutti egualmente degni della nostra ammirazione riconoscente, poichè, per dirla col nostro immortale Alighieri:

... ad un fine fur l'opere loro.

Fanny (sempre ad Emma e sempre riferendosi al conferenziere) Gli uomini, i biondi, specialmente, stanno benissimo col gilet bianco e la cravatta nera.

La signorina Emma (pallida, quasi smunta per la grande attenzione. Non è mai stata ad una conferenza, non ha mai sentito un uomo parlar tanto e così bene. Quando gli occhi di Giordano Mari si fermano nei suoi, prova un senso strano, quasi penoso, di soggezione, di oppressione, di timidezza vereconda... e quando Giordano Mari non la guarda più, le sembra d'essere rimasta al buio, d'un tratto).

Giordano (appunto: lasciando Emma al buio, per illuminare co' suoi sguardi i giovani letterati)... Montesquieu è il gran signore dello stile e della dialettica; il gentiluomo squisito che con gli eleganti periodi sbaraglia il vecchio esercito dei teologi: Voltaire è lo spirito diffuso, il re delle moltitudini, a cui con la frase limpida e facile rivela quanto di falso e di ridicolo sia nelle più venerate dottrine. Egli che, come fu detto, disinventa Dio, richiama l'uomo al buon senso...

Guido Bardi (un giovane e già illustre poeta che ha scritto delle novelle in prosa, una delle quali sta per essere pubblicata, tradotta in francese, nella Revue Parisienne, a Nino Sebastiani, ma senza voltarsi, senza muoversi, sempre cogli occhi rivolti a donna Fanny, che occhieggia a sua volta, frequentemente) Taine!... Tutta roba del Taine!

Nino Sebastiani (autore drammatico molto applaudito, che non ha mai letto il Taine: contentissimo di averlo imparato a conoscere, risponde a Guido Bardi, anche lui rimanendo immobile e cogli occhi sempre rivolti alla signorina Emma, che non lo guarda mai) Tutta roba del Taine! Tutta la conferenza non è altro che un mosaico di furti... qualificati.

Guido Bardi (riferendosi a Giordano Mari, con una crollatina del capo) Non è che un falso erudito... un assimilatore.

Nino Sebastiani (sempre fissando Emma che fissa sempre il conferenziere: diventando geloso) Bel merito l'erudizione!... Tutta roba presa dagli altri! Mai niente di originale!...

Giordano Mari (il braccio proteso verso i pittori e gli scultori in fondo alla sala)... Il Diderot, vulcano erompente di eloquenza, lo richiama ai provvidi istinti della natura. Ma se questi hanno distrutta la vecchia società iniqua e artificiosa (nota di petto), Gian Giacomo Rousseau ha posto i fondamenti della società nuova, nella quale gli uomini non devono essere soltanto liberi, ma anche buoni! (Un momento di pausa: un sorriso: ritrova gli occhi fissi, incantati di Emma, vi si ferma coi suoi e ripiglia con sentimento, con voce amorosa, carezzevole)... Egli restaurò con le sue pagine il culto di tutte le cose sane, la solitudine, la campagna, il popolo, il lavoro; e pose in cima del suo ideale sociale la donna, ben sapendo che senza la donna nulla di buono s'è fatto al mondo...

Nino Sebastiani (facendosi sentire dai più vicini) Nemmeno i conferenzieri.

Giordano Mari... Ben sapendo che l'amore (Emma trasalisce, pallida, palpitante, ma non batte palpebra)... Ben sapendo che l'amore è la forza sovrana nella fisica dell'umanità, che la passione, la quale trae le sue radici dalla natura, eguaglia veramente tutti gli uomini, innanzi al compito della vita! (Guarda l'orologio, così per dare ad intendere che parla improvvisando, a ora).

I pittori e gli scultori (approfittando della pausa per applaudire) Maraviglioso! Straordinario! Che forza di polmoni!

La più autorevole tra le barbe più incolte. I polmoni! Va benissimo, ma non è tutto! E l'ingegno? E il ragionamento? E la prospettiva? E il colore? Perchè è sempre — quel che si dice — un'impressione — più o meno — che noi vogliamo ottenere sul nostro pubblico. E dunque, appena il pubblico, sicuro, comincia a sospettare che l'artista possa mai sottintendere una qualche... intenzionetta, oltre alla tecnica della fattura ed alla tonalità dell'effetto, allora guai, si impunta da vera bestia, a non capir niente! E la logica dell'artista sta appunto nel raggiungere una chiarezza tale di... di... procedimento, che il pubblico abbia sempre da capir tutto, anche quando... el capiss no!

Il cavalier Venceslao Dionisy (il padre della signorina Emma: si tiene l'ultimo, scostato d'un passo dalla coda del pubblico stipato fin nella seconda sala, che serve d'anticamera. Le mani incrociate sul dorso, il capo chino, egli non applaude il conferenziere, ma lo segue attento, dignitoso, approvandolo con un buon sorriso di autorevole compiacimento, che gli corre fra mezzo i peli della barba alla Verdi. È appunto questa somiglianza con Giuseppe Verdi che forma l'orgoglio, la soddisfazione, e il quotidiano «perchè» dell'impeccabile vita del cavalier Venceslao, che gl'impone negli atti, nelle parole, nel contegno, sopra tutto nelle approvazioni, quel riserbo calmo e sereno, dovuto alla coscienza della propria autorità personale. È tale la rassomiglianza, che egli stesso ne rimane ingannato, tanto che qualche volta gli accade di prendersi anche lui... per il Maestro).

Giordano Mari (avvicinandosi alla conclusione)... Così la filosofia s'alleava al cuore; così si ponevano da lungi le basi di quella società futura che noi tutti, o signori, vagheggiamo come una superba certezza, e nella quale tutti, sciolti da ogni vincolo favoloso col cielo, possiederemo la piena signoria della terra su cui siam nati e godremo piena la libertà dell'amore e del pensiero!

Nino Sebastiani (con sprezzo) Ancora del Taine...

Guido Bardi (che ha letto tutto) No; questa è di Giorgio Sand.

Nino Sebastiani (che non ha letto niente) Vecchiume romantico!

Giordano Mari (concludendo con arte, con calma, mentre prende i guanti dal tavolino e li tiene in mano)... Noi possiamo veramente dire che sta per aprirsi il nuovo «millennio» della giustizia e della ragione, alla cui salutare autorità noi andremo debitori di tutto, così della fondazione degli ordini nuovi, come della distruzione degli ordini antichi.

Guido Bardi ha appena il tempo di esclamare:

— Ancora il Taine! Accidenti che saccheggio! — e già scrosciano gli applausi. Le smanacciate degli uomini s'alleano ai battimani in sordina delle dame inguantate. Tutti si muovono: il conferenziere s'asciuga dignitosamente la fronte e ridiscende tra i mortali.

L'idolo

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