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DELLE ODI BARBARE. LIBRO I
IN UNA CHIESA GOTICA

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Sorgono e in agili file dilungano

gl’immani ed ardui steli marmorei,

e ne la tenebra sacra somigliano

di giganti un esercito


che guerra mediti con l’invisibile:

le arcate salgono chete, si slanciano

quindi a vol rapide, poi si rabbracciano

prone per l’alto e pendule.


Ne la discordia cosí de gli uomini

di fra i barbarici tumuli salgono

a Dio gli aneliti di solinghe anime

che in lui si ricongiungono.


Io non Dio chieggovi, steli marmorei,

arcate aeree: tremo, ma vigile

al suon d’un cognito passo che piccolo

i solenni echi suscita.


È Lidia, e volgesi: lente nel volgersi

le chiome lucide mi si disegnano,

e amore e il pallido viso fuggevoli

tra il nero velo arridono.


Anch’ei, tra ‘l dubbio giorno d’un gotico

tempio avvolgendosi, l’Alighier, trepido

cercò l’imagine di Dio nel gemmeo

pallore d’una femina.


Sott’esso il candido vel, de la vergine

la fronte limpida fulgea ne l’estasi,

mentre fra nuvoli d’incenso fervide

le litanie salíano;


salian co’ murmuri molli, co’ fremiti

lieti saliano d’un vol di tortore,

e poi con l’ululo di turbe misere

che al ciel le braccia tendono.


Mandava l’organo pe’ cupi spazii

sospiri e strepiti: da l’arche candide

parea che l’anime de’ consanguinei

sotterra rispondessero.


Ma da le mitiche vette di Fiesole

tra le pie storie pe’ vetri roseo

guardava Apolline: su l’altar massimo

impallidiano i cerei.


E Dante ascendere tra inni d’angeli

la tosca vergine transfigurantesi

vedea, sentiasi sotto i piè ruggere

rossi d’inferno i baratri.


Non io le angeliche glorie né i démoni,

io veggo un fievole baglior che tremola

per l’umid’aere: freddo crepuscolo

fascia di tedio l’anima.


Addio, semitico nume! Continua

ne’ tuoi misterii la morte domina.

O inaccessibile re de gli spiriti,

tuoi templi il sole escludono.


Cruciato martire tu cruci gli uomini,

tu di tristizia l’aër contamini:


Odi barbare

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