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LA FIORITA
L’USIGNOLO
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Su l’alba udì, ma piano, come fosse
un gran segreto, bisbigliar di bianche
ova e celesti con goccine rosse,
calde nel musco, sopra i pappi, ed anche
tra foglie secche… Prima ancor di giorno
volò ciascuno alle compagne stanche.
Ma tutto il giorno andava Rigo attorno
senza far nulla. Non guardò nell’orto
spighe di lilla e ciondoli d’avorno.
Violacciocche, e’ vi guardava torto
quando lo chiamavate con l’odore!
Ma verso sera egli là era, smorto…
E vide Rosa: aveva in grembo un fiore,
non facea nulla, ed era sola e muta.
S’udia lontano il sufolo di Dore.
Guardava in aria, a nulla. Era seduta.
II
Rigo le prese le due mani. «O Rosa,
ti voglio bene. Io t’amo e mi vergogno
di dirlo a te, di dirlo a te… mia sposa!
Non ho coraggio, Rosa, ed ho bisogno
che tu m’incuori. Il cuore trema: senti?
E non m’attento di parlar, che in sogno.
Anche tu sembra allora che ti attenti.
Se mostro un po’ di chiuder gli occhi e taccio,
tu entri in casa senza aprir battenti.
Tu vai, tu vieni… Oh! io non ti discaccio!»
Ecco e d’un braccio cinse a lei la vita,
ed essa gli si abbandonò sul braccio.
«Tu sei l’anima mia, sei la mia vita.
Battere, il cuore, senza il tuo, non osa
più. Respiriamo con la bocca unita!
Apriti, alfine, o mio bocciòl di rosa!»
III
Allor s’aprì la prima stella in cielo;
e dalla terra tacita e sorpresa
si levò un trillo come un lungo stelo.
Un’altra, un altro. Ad ogni stella accesa,
un nuovo canto. Un canto senza posa
correva ardendo lungo la distesa
del cielo azzurro. – È l’usignolo, o Rosa! —