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LA FIORITA
IL CUCULO

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I

Rigo, mentr’era buona ancor la luna,

potava. Aveva, a raccattar le brocche,

la bionda Rosa e la Viola bruna.


Allegre. Oh! d’un viticcio tra le ciocche

ridean mezz’ora! e poi dicean, ridenti,

col fascio in capo: «Siamo o no due sciocche?»


Rigo seguiva il loro andar con lenti

sguardi, col tralcio che torceva in mano,

ed un vinchietto tremolo tra i denti.


Ché s’affrettava. Era già alto il grano,

avean le gemme l’uva in bocca. – O vigna! —

pensava: – il cucco già non è lontano! —


Pensava: – Il ben nel presto non alligna. —

Ma sì, potava, poi torceva a modo

il capo buono, quel che fa la pigna;


e lo legava con vie più d’un nodo.



II

Sì: presto e bene. E già finiva il tutto,

quasi; e non s’era inteso il doppio accento

del cucco: – Un giorno molle, un giorno asciutto; —


non s’era inteso annoverar tra il vento

dolce le viti ancora da potare,

cuculïando il contadino lento.


Era all’ultima vite del filare

Rigo, e le donne all’ultimo fastello;

e venne il canto da di là del mare.


Con la sua mucca risalìa bel bello

la mamma, e il babbo la scontrava in via.

Dore si ritrovò col suo fratello.


«L’ultimo nodo!» Rigo gridò: «Via!»

Rosa premeva il fascio coi ginocchi…

C’erano tutti, in pace e compagnia,


col sol morente, che splendea, negli occhi.



III

Avea finito. E stettero alcun poco.

E teste bianche e teste bionde e nere

splendean sotto le nuvole di fuoco.


Udiano le due voci delle sere

di primavera, limpide e sonore,

così lontano che parean non vere,


così vicine che parean del cuore.


Nuovi poemetti (1909)

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