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LA FIORITA
IL TORCICOLLO

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I

E dicea – Cincin… pota Cincin… pota —

la cinciallegra; e un canto uscì dal prato

d’erba lupina: un’altra voce nota.


Potava il babbo; lasciò star pennato

forbici e torchi, e poi seguì, fischiando

anch’esso un po’, l’altro messaggio alato.


Prese la vanga (questo era il comando

dell’altro uccello) dalla punta d’oro;

andò la bricia a tirar su, con Nando.


Poi spicciolò nel campo il suo tesoro

di chicchi d’oro; e gli dicea, Fa piano!,

quell’incessante piagnisteo canoro.


Dicea: – Bada! Il granturco non è grano:

ben altra rappa nascerà da un chicco! —

Quasi parea glieli contasse in mano,


dicendo: – A uno a uno! Non sei ricco! —



II

Poi l’ammoniva ch’era giunta l’ora

di seminar la canipa. Ma poca!

E tristo a lungo ripetea, Lavora!


Ei t’ubbidiva, o poverella fioca

canipaiola: e seminò ben fitto,

dicendo: «Non mai vince, chi non gioca.


Il più del seme ai passeri lo gitto

per certo! È il meno che doventa tela».

Però d’intorno non s’udiva un zitto.


Ma il torcicollo a cui nulla si cela,

avanti o dietro, e che giammai non erra,

cantava pur la lunga sua querela.


Ei li vedeva, i figli della terra,

color di terra, che tendean, gl’ingordi!

Forse pensava: – E l’uomo muove guerra,


per via di loro, ai torcicolli e a’ tordi! —



III

Ma l’uomo fece un uomo d’una cappa

e d’un cappello. «E’ vi darà buon conto!»

diceva: e se n’andò con la sua zappa.


Scesero allora i passeri. Il tramonto

era dorato. Erano cento e cento…

– Oh! il poveruomo! Ha l’ali, al volo è pronto;


ma è confitto, e lo patulla il vento! —


Nuovi poemetti (1909)

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