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LA FIORITA
IL SOLITARIO

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I

Stette sul botro, stette su lo scoglio,

dritto, sonando il flauto di corteccia:

l’acqua rispose con un suo gorgoglio.


Intese la diana boschereccia

il vecchio bosco, e la vitalba volle

togliersi i bianchi bioccoli alla treccia.


E passò l’acqua e risalì sul colle:

per tutti i poggi il sufolo selvaggio

schiudeva i bocci, apriva le corolle.


Pioppi ed ontani pendere, al passaggio,

facean dai rami ciondoli e nappine;

chiedea l’avorno, s’era giunto maggio.


Mettea, chi fiori non potea, le spine;

mettea le gemme l’albero più brullo:

piovea la quercia, vergognando alfine,


le vecchie foglie a’ piedi del fanciullo.



II

E il bel fanciullo nella lieta ascesa

passò, col fresco flauto tra le dita,

presso macèe che furono una chiesa.


Pur v’è qualcosa della scorsa vita,

poiché vi canta all’apparir del nuovo

giorno ed al vespro il passero eremita.


Vi canta ai biacchi, che lì hanno il covo,

ai grilli, alle lucertole che destre

vengono a guizzi di tra il cardo e il rovo.


Dore intonò col sufolo silvestre

la sua fanfara del ritorno; e il suono

sparse per tutto un vago odor cilestre:


per tutto un casto odore, un odor buono,

dov’era già il sagrato, dove pare

fosse la croce, dove, ignoti, sono


sepolti i morti sotto il morto altare.



III

Viole caste, pallide viole!

Il fiore va, ma lascia un seme e il miele.

Aprite, o fiori, all’ape che vi vuole!


Il solitario udiva. Ecco, e fedele

alla rovina, prese alcun fuscello,

radiche e scorze, crini e ragnatele;

e fece il nido, oh! rozzo assai, ma bello.


Nuovi poemetti (1909)

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