Читать книгу Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - Massimo d' Azeglio - Страница 6
CAPITOLO III.
ОглавлениеLa messa da requie era terminata senz’altro disturbo. Il celebrante spogliatasi la pianeta, prese il piviale per far l’ultime esequie al cadavere, e scese dall’altare con tre chierici innanzi: l’uno portava la croce, gli altri due i candellieri. Fra Giorgio seguiva colla secchiolina dell’acqua benedetta.
La folla si ritrasse dal feretro attorno al quale rimasero soltanto Niccolò ed i suoi figliuoli. Si recitaron le orazioni, si compierono le cerimonie e le aspersioni prescritte, e quando i preti furon tornati in sagrestia, Niccolò fattosi accostar Bindo spiccò la rotella e la spada di Baccio e reggendole colla manca, pose la destra in capo al figliuolo, al quale disse:
—Bindo! Questa spada e questa rotella ch’io dò a te, ell’erano di Baccio che vedi qui morto per aver fatto il dovere di buon cittadino. Ora, guardami gli occhi: ti par egli ch’io pianga?—
Il fanciullo tutto attonito accennò col capo di no.
—E s’io non piango sappi che non è per poco amore ch’io portassi a codesto mio carissimo figliuolo e tuo fratello, ma perchè conoscendo essere ogni uomo obbligato in primo luogo al nostro Signore Iddio, ed alla sua santa fede, in secondo luogo alla patria, e dover porre in loro servigio le forze e la vita, ed essendo certo serbarsi a coloro che così fanno, onorata memoria in questo mondo, ed eterno premio nell’altro, io stimo la morte sua essere stata bellissima ed invidiabilissima. S’io piangessi dunque perchè egli lasciando noi tra la miseria di questa vita se n’è ito a godere l’infinite dolcezze dell’altra, mi parrebbe mostrarmi ingrato alla divina bontà, ed invidioso del ricco guiderdone che s’è comprato colle virtù sue.—Ora to’ quest’armi col nome di Dio: fa di mostrarti valente qual era Baccio, e con esse in mano o tu vinci o tu mori: e per quanto temi la maledizione d’un padre, l’ira di Dio, ed il vituperio tra gli uomini, abbi sempre innanzi gli occhi con qual viso e con qual core hai veduto me stare accanto alla bara d’un figliuolo morto virtuosamente; sappi ch’io vedrei te al luogo suo coll’istesso viso... Dio me ne darebbe la forza....—Ma sappi ancora (qui levò alta in atto fiero e terribile la mano che avea tenuta sin allora in capo a Bindo) che se tu, che Dio non voglia.... ti mostrassi.... no, non mi vo’ lordar la bocca con queste parole..... nè immaginar pure tanta bruttura nel sangue mio.....—Basta, chè tu m’hai inteso!.... Allora, se pur pur stimassi ancora la vita, fa che questi miei occhi non t’abbiano a veder mai più.—
Al fine di queste parole, che dette da un uomo di tanta autorità, in occasione, e con modo così grave produssero gran senso su Bindo e sugli astanti, volle cingerli la spada. Il fanciullo alzando le braccia lo lasciava fare. Ma la cintura che stava bene alla vita di Baccio era troppo larga per quella del fratello. Disse Niccolò:
—Troppo sei scarzo, povero Bindo mio!—E portando la fibbia addietro tre o quattro punti soggiunse:
—Così starà bene....—
Ma pensò nell’istesso tempo alla dura necessità che costringeva un fanciullo così tenero ad esporsi a tanti pericoli, pensò alla rovina che stava per cadere su Firenze, ed a chi n’era cagione; si fece più scuro nel volto e non potè rattenere un sospiro, mentre gli affibbiava la cintura.
Ciò fatto si volse a Messer Giovan Gondi, capitano del Lion d’oro, il quale si teneva presso il suo Gonfalone, coperto fino a mezze cosce d’una bellissima camicia di maglia.
—Messer Giovanni, gli disse con voce e con volto sicuro, s’io ho perduto un figliuolo, voi non avete perduto un soldato. Eccovi questo invece di Baccio; e confido in Dio che non sarà per mostrarsi da meno di lui.—
—E voi valorosi cittadini, non isdegnate averlo per compagno perch’egli sia così fanciullo, David era fanciullo anch’esso quando vinse Golia.
Il bisbiglio e le parole interrotte che sorsero fra soldati mostraron ammirazione e rispetto per Niccolò, stima ed amore pel giovanetto.
—Egli è d’una razza che non falla!—Questo vecchione egli è di ferro stietto!—Ve’ se gli esce nemmeno una lagrima! E il figliuolo! Ti so dir che non canzona.—Dagli tempo un pajo d’anni!—Un pajo d’anni? Va, va alla torre in Mercato Nuovo, dove insegna a schermire il figlio del Grechetto, vavvi la mattina, lo vedrai come gioca di spada e pugnale. E’ si provò jer l’altro col Morticino, sai pur che diavoletto egli è!.... Be’ glien’ha dato un carpiccio, de’ buoni... e per poco non facean quistione daddovero!...—
Si fece innanzi un soldato col libro sul quale stavano scritti gli uomini del Gonfalone, l’aprì, e lo resse avanti al Gondi, il quale, scrittovi alcune linee, le presentò a Niccolò.
Questi lesse ad alta voce le seguenti parole:
—Addì 17. ottobre 1529. Bindo di messer Niccolò, di messer Cione de’ Lapi, del Popolo di S. Giovanni.... Sta bene.... Ascoltami, Bindo! Sappi che d’or in poi questi (additando il capitano) è tuo padre. Questa (additando la bandiera) è la casa tua. Costoro (additando i soldati) i tuoi fratelli.... Ora inginocchiati (Bindo ubbidì: il padre gl’impose le mani, e levati gli occhi al cielo disse ad alta voce) Bindo, ti dò la mia benedizione.—
Il lettore conosce oramai abbastanza la natura ed i pensieri degli attori di questa scena, per formarsi un’idea de’ varj affetti che provarono in un tal momento. Per alcuni minuti nessuno parlò, nessuno si mosse: soltanto Bindo, alzandosi, cinse colla destra (la manca era impedita dalla rotella) il busto del padre sotto l’ascella, gli appoggiò la fronte sul petto e rimase immobile. Le mani del vecchio, che pure alfine furon viste tremanti, s’immersero nella folta capigliatura del figlio, e quando questi alzò il capo sciogliendosi da quell’abbraccio alcune stille caddero strisciando lungo la saja del lucco.
Molti de’ soldati ch’erano stati più stretti amici di Baccio s’accostarono allora alla bara e l’uno dopo l’altro lo segnarono colle candele benedette. Il moto de’ baffi dava a vedere che recitavan sotto voce preghiere in suffragio dell’anima sua. Fra Benedetto che era venuto con alcuni de’ suoi frati per porgere a Niccolò qualche parola di conforto, e fargli onore all’uscir di chiesa prima che se n’andasse, gli facea motto sommessamente.
—Fra Benedetto, disse il vecchio, mentre si movea per partire, vi raccomando nelle vostre orazioni vi ricordiate di Lamberto; onde Iddio ce lo renda sano e salvo. E’ m’ha scritto, che a giorni sarà in Firenze.... ma i cavalli del marchese del Vasso si son veduti sulla via di Bologna..... Dio non voglia che.... Lisa, sta di buon animo (seguitava volto alla figlia che udendo quelle parole s’era scossa) Lamberto non è pazzo e sa quel che convien fare, e non passeranno molti giorni che coll’ajuto di Dio sarà in parte dove le capre non lo cozzeranno.
Lisa stringendosi alla sorella nascose il viso in modo che non fu possibile conoscere con qual animo accogliesse il discorso del padre. Quelli tra gli astanti che sapevano essere stabilito il parentado fra Lamberto e la Lisa, giudicarono quel nascondersi venisse dalla peritanza che soglion mostrar le fanciulle in tali occorrenze.
Niccolò intanto, attorniato dalla sua famiglia e seguito da quanti erano in chiesa uscì, e non rimase in S. Marco altri che il sagrestano, il quale dopo aver tirato un lembo di lenzuolo sul viso al defunto e spenti i lumi, se n’uscì anch’esso per la porta della sagrestia.
Fra Giorgio, finita la messa, se n’era venuto alla sua cella, e vi s’era chiuso. La risata sfuggitagli in chiesa lo martellava; conosceva d’aver mal fatto, e provava quella amarezza, quella stizza contro se medesimo, che nasce nel cuor degli uomini, quando debbono contrastare di continuo ad abiti inveterati.
Non s’era punto freddata in lui la volontà di cancellare coll’austerità della vita claustrale gli errori della passata, ed in questi primi due anni le cose gli erano andate assai quietamente. Se talvolta la fantasia gli correva a rammentar fatti d’arme, pensava, ammonito così da’ suoi superiori, esser questa tentazione del demonio, e tanto faceva che riusciva a cacciarla. Gli era pur riuscito di sottometter quasi pel tutto la sua natura bizzarra, intollerante di freno, facile ad accendersi, ed a passar tosto dalle parole ai fatti. Gli altri frati, considerando chi egli era stato, gli sapean grado della fatica che durava per istare in cervello, e quantunque forse in cuore poco l’amassero, perchè Fra Giorgio avea quel certo fare che agli uomini quieti suol dar fastidio (quantunque tra loro usassero chiamarlo per soprannome Fra Bombarda) tuttavia parlando di lui conchiudevano dicendo «Talvolta e’ crede di star ancora colla lancia alla coscia, e non vuol esser stuzzicato, ma poi a ogni modo e’ non è cattivo il poveraccio.»
Ma allor quando fu avviato l’assedio, che per Firenze non si vedevano se non cavalli, e fanti, ed uomini d’arme, e s’udiva giorno e notte uno scarichìo incessante d’archibusi e d’artiglierie, e batter tamburi, a sonar pifferi, e trombe; nè v’eran altri discorsi che sui modi d’offendere e difendersi, e sui casi di guerra che venivano accadendo alla giornata, allora l’abito di S. Domenico, principiò a parere a Fra Giorgio più grave di quattro armature.
La notte nella quiete del dormitorio mentre intorno a lui il silenzio non era interrotto che dal russare lento e profondo de’ frati che dormivan nelle celle vicine, il povero laico sonnecchiava appena un poco, riscosso a ogni tratto da cento immagini di battaglia che tosto gli si presentavano in sogno purchè velasse l’occhio un momento. Costretto a vegliare si volgeva all’orazioni; ove non bastassero a metterlo in pensieri santi, arraffava con istizza una disciplina, che stava sempre appiccata al muro sopra il capezzale, cominciava a sonar a distesa sulle spalle, col capo basso, gli occhi chiusi ed arruotando i denti, ed in questo duello contro sè medesimo, si portava senza misericordia come s’era portato in molti con altri.
Molte volte la tentazione nasceva da cause reali e presenti. Udiva sorger lontano lo scalpitar d’una truppa di cavalli, tendeva l’orecchio, rattenendo l’anelito; lo strepito cresceva, cresceva. Sboccavano sulla piazza S. Marco, quand’erano a passar sotto la sua finestra il rimbombo facea vibrar le invetriate, s’allontanavano, lo strepito diminuiva, al voltar d’un canto appena più si poteva udire, poi cessava del tutto. Allora soltanto rimetteva l’anelito; e per lunga pratica avea potuto discernere in mezzo a quel frastuono confuso tutti i diversi strepiti e le cause che li producevano. Aveva potuto dirsi: questo è stato uno scudo percosso, questo un puntale di spada che ha urtato in uno stiniere, questo un cavallo punto dallo sprone al quale è sdrucciolato un piede sul lastrico, questo un tronco di lancia che ha dato in un elmetto ec., ec.
Una simil vita di smania continua gli aveva alla fine tolto il sonno del tutto, e gli parea d’impazzare. Il giorno si mostrava insofferente cogli eguali, cupo co’ superiori, ed ogni volta che uno sparo d’artiglieria gli veniva all’orecchio diceva tra denti «Così non ho io a stare!»
Quand’era entrato in religione si trovava la salute e la complessione indebolite e stanche dai tanti strapazzi, e forse senza fargli torto, questa depressione delle forze fisiche aveva in parte determinata la sua vocazione, ma la vita riposata e metodica l’avea ristorato, e sentendosi ora di nuovo forte e sano come una volta, badava a dire: «Così non ho io a stare!»
Queste benedette parole gli erano di nuovo uscite di bocca, quando udì i passi d’un uomo che s’accostava all’uscio. Giuntovi, battè due colpi colle nocche delle dita dicendo «Deo gratias.»
—Sempre Deo gratias, avanti—rispose frate Giorgio, ma il mal’umore col quale pronunziò queste parole, era poco d’accordo col loro senso. Aprì ed entrò un laico, che gli disse:
—Fra Benedetto vi vuole.—
Fra Giorgio immaginò tosto di che cosa si trattasse, e disse «questa tocca a me» tuttavia s’avviò francamente, e per istrada risolse, poichè gli s’offeriva l’occasione, di voler a ogni modo uscire di quel travaglio.
Trovò il suo superiore allo scrittojo: aveva gli occhiali sul naso, e stava leggendo un S. Agostino in foglio. Fra Benedetto alzò il naso all’aria per porre sull’istessa linea le sue pupille, le lenti degli occhiali ed il viso del laico; lo guardò un momento, come se la sua fisonomia dovesse servirgli a regolar la dose nella predica che stava per fargli.
La faccia di Fra Giorgio era compunta e modesta, ma sul suo viso la modestia e la compunzione in quel momento mettevan paura.
Pure il buon vecchio facendosi animo, e vincendo la ripugnanza che provava ad entrar in materia così strettamente con un tal uomo, si tolse gli occhiali, li depose sul libro, e disse:
—Fra Giorgio, da un pezzo in qua mi vo avvedendo di certe cose che poco mi piacciono. Forse avrei dovuto farvi motto prima d’ora: ma dubitando di non mi apporre quando pensavo male del fatto vostro, ed anco aspettando a ogni modo che voi vi dovessi mutare, sono stato cheto. Ma ora egli è pur forza ch’io faccia il debito. Che novità son queste figlio benedetto? Io non vi trovo più sollecito com’una volta all’ufficio vostro. Una volta voi eri sempre in chiesa, e non v’era modo a spiccarvi dalle predelle. Una volta voi ascoltavi le riprensioni con faccia serena e tutto volenteroso di far bene. Ora vi veggo sempre scuro in viso, se vi si parla, e’ pare che l’abbiate per male; i frati non hanno altro che dire «Fra Giorgio è tutt’un altro.... non ci si può più combattere.» Ricordatevi, figliuol mio, la miglior parte della vita l’avete data al demonio, il Signore potea lasciarvi nella via dell’inferno, v’ha usata misericordia, non ripigliate ciò che gli avete donato, ora che avete consacrato a lui l’altra parte, gli anni che vi rimangon di vita; non tornate addietro, figliuolo.... Sta mattina poi in tempo di messa!..... vi par egli? un disordine, uno scandalo a quel modo?
E’ mi duole d’avervi a riprendere d’un fatto nel quale mi ci trovo di mezzo io.... non vorrei (già noi siamo tutti miserabili a un modo!)... c’entrasse punto di ruggine con voi, perchè avete riso di me.... del mio sgomento. Ho errato anch’io figliuolo, lo confesso, se fossi stato col pensiero in Dio, com’era dovere, non ne sarei stato distolto da così poca cosa! Dunque che ci resta a fare? Umiliarci tutti a due, riconoscere che siamo fragili, che senza la grazia possiamo cadere ad ogni passo, e perciò non mancare di far quanto è in noi colle orazioni e colle penitenze per ottenerla.—
Fra Giorgio che una riprensione acerba avrebbe forse irritato, si sentì commovere dalla mansuetudine, e dall’umiltà candida del suo superiore.
—Voi siete un Santo, gli disse, ed ho avuto mille torti... ma....—
—No figliuolo, non sono santo, son peccatore più di voi, e pur troppo lo so io come sto! Ma questo ora non ci ha che fare. Ho caro vedere che conosciate il vostro errore; tanto volevo. I mal abiti son come la gramigna, la sradichi da una parte, rigermoglia dall’altra: vi compatisco,... aver per tanti anni vissuto ne’ campi tra soldati, in mezzo ad uomini sfrenati, si fa l’uso a quel vivere sciolto, pieno di fortune diverse, se poi l’uomo si vuole assestare... è dura fatica... vi compatisco. Ma (seguiva sorridendo affinchè un’ombra di scherzo addolcisse ancor più la riprensione) anche qui si tratta di guerreggiare, e si vuol distruggere i nemici vecchi; in questa guerra tocca a tutti ad armarsi, ed a noi più degli altri, s’ha a star sempre all’erta, a combatter sempre... violenti rapiunt illud.—
Prima di riferire la risposta di Fra Giorgio preghiamo il lettore a pensare se gli accade mai nel trattare con alcuno a quattr’occhi di cosa che molto gli prema, udir verbigrazia una parola che assorbe interamente la sua attenzione: l’altro va innanzi col discorso, ed egli ruminando su quella parola, non l’ode: ritorna poi in se, vuol riprendere il filo del ragionamento, ma non avendo ascoltato tutto, nascon equivoci e per intendersi bisogna ricominciar da capo? Se questa situazione non riesce nuova al nostro lettore sarà forse peggio per i suoi affari, ma è meglio senza dubbio per l’intelligenza di quest’istoria, poichè a Fra Giorgio accadde di trovarsi appunto in questo caso.
Avendo ritratto dalle prime parole del suo superiore che era in bonis più che non s’aspettava, invece d’ascoltarlo con attenzione sino al fine, si pose a studiare in qual modo avesse a dire per fargli conoscere che non ne voleva saper altro di far il frate; onde tutta la predica di Fra Benedetto se giunse all’orecchio del laico non penetrò certo più innanzi; soltanto a quest’ultime frasi «anche qui si tratta di guerreggiare... in questa guerra tocca a tutti ad armarsi... ecc. ecc.» si riscosse, ed il suo cervello balzano, che difficilmente poteva capir più d’un’idea per volta, la interpretò nel senso che più faceva per lui.
Si sentì consolar tutto, ed in cuore disse: «Avrà capito anche lui che se non ci ajutiamo tutti contro quest’Imperiali, e se i frati essi pure non danno una mano, la vuol finir male... Tutto il male non vien per nuocer! La nespola di stamattina l’ha persuaso, che l’affare si mette al serio.»
Questi pensieri però che hanno voluto da noi più d’una pagina di spiegazione, passarono come un baleno per la mente di Fra Giorgio, il quale tenendo superata ogni difficoltà, disse coll’effusione di chi vede aprirsi inaspettatamente una porta ai proprj desiderj:
Fra Benedetto, io non ho altro desiderio al mondo... e se io stavo tanto di mala voglia da un pezzo in qua, sappiatelo, e’ non è stato altro che per questo: ch’io mi tengo coll’ajuto di Dio pur anco buono da qual cosa, e mi pareva portarmi troppo rimessamente in questa guerra (al contrario dell’altra ove mi son travagliato per tanti anni, e pur troppo quasi sempre a mal fine) io son certo che il combattere mi sarà merito innanzi Iddio, ed ho in animo di farlo,.... e farò il meglio ch’io saprò e voglia così Iddio farmi degno della sua gloria, e fosse oggi piuttosto che domani.
Il vecchio seguitando ad intenderla a modo suo, parte si maravigliò vedendo tanto fervore nel laico, chè tutt’altro aspettava, e disse fra se «Oh tò!... gli ha ripreso per questo verso ora!» Pure contentissimo di trovarlo in così buone disposizioni, soggiunse:
—Che siate benedetto figliuol mio! benedetto mille volte.... Già e’ non si sbaglia (e gli batteva sorridendo sul braccio) questi bravacci se fanno tanto di volgersi al bene, lo fanno poi senza risparmio;... tutto sta a saperli indirizzare... Orsù dunque quel gran core che avete mostrato nelle guerre che dicevate testè per fini mondani, è tempo d’adoprarlo ora in questa per fini santi: il contrasto sarà lungo e grave, il nemico possente ed astuto... leo rugiens...... ma Iddio sarà con voi...... non vi spaventi....—
—Spaventarmi? rispose Fra Giorgio maravigliato, e sorridendo; non ho mai saputo di che colore ella fosse la paura.—
E, soggiunse sottovoce.—L’hai proprio trovato chi si spaventa.—
—Lo so, lo so, non siete pauroso, ma badiamo veh! anche il confidar troppo nelle nostre forze, è male, e male grave, ma non vo’ aggiunger altro per ora.... non mettiamo troppa carne a bollire. Andate, ed il Signore v’ajuti e vi dia forza.
Fra Giorgio si mosse per partire. Giunto all’uscio gli sorse un pensiero in mente, e tornato addietro, riprese:
—Fra Benedetto, io v’ho a domandare una grazia.
—Dite.... purch’io possa.—
—Oh quando sia per questo, basta che voi vogliate.... Ma capisco ancor io.... e’ non istà bene... chi dà e poi ripiglia.... dice il proverbio.... all’inferno si scapiglia.... ma non trovo altro modo.... non ve l’avrete per male....—
—Be’ dite su.... parlate francamente.—
—Ecco vedete.... io non son uso così a piede... son della scuola vecchia, intendete!.... Chè soltanto da un vent’anni in qua, si vede (lasciamo star gli Svizzeri) buona gente mettersi nelle fanterie.... e si può dire anzi che il primo a metterle in riputazione è stato il sig. Gonzalo Hernandez.... via, il Gran Capitano.... l’avrete inteso nominare.... e per dir il vero e’ gli venne fatto molto bene; che alla giornata della Cerignola gli uomini d’arme francesi.... se gli aveste veduti caricar una battaglia di que’ fanti spagnuoli pareva n’avesser a far tonnina: ma loro fermi colle picche spianate parevan inchiodati alla terra.... e quei terremoti di francesi addosso come fulmini... Saint Denis!... Saint Denis! non ci è Saint Denis che tenga, era come percuotere in un bastione.—
Immagini il lettore se Fra Benedetto udendo questo discorso spalancava gli occhi, e credea che a Fra Giorgio desse di volta del tutto. Ma non era finito.
—Basta: lasciamo star le fanterie... So bene, anche tra loro sono di valentuomini.... ma ognuno ha da far l’arte sua: ed io mi trovo ormai troppo innanzi cogli anni per impararne una nuova, e se voi volete ch’io possa far cosa buona mi dovete concedere... conosco ch’è un grand’ardire il mio... voi vi maraviglierete.... ma ai termini ov’è ridotta la città non mi riuscirebbe, cred’io, neppur con dugento ducati.... chi l’ha l’adopera per se.... e poi già chi me li darebbe questi danari; insomma, per non allungarla di più, se voi non mi date licenza ch’io mi possa valere del mio cavallo, io mi troverò impacciato.—
A metà di questo discorso Fra Benedetto s’era di nuovo posti gli occhiali, ed appoggiando ambe le mani sui bracciuoli del seggiolone si faceva innanzi colla persona alzando il capo verso il laico, e guardandolo fiso, fiso. Quando finì di parlare il vecchio tacque per mezzo minuto pur seguitando a guardarlo, poi con voce che sonava somma maraviglia, disse due o tre volte:—
—Cavallo? Cavallo? Oh che Domin c’entra il cavallo? Ma a che modo l’intendete? V’ho io detto forse che andassi a giostrare?—
—Ma Fra Benedetto mio, e’ non è mal di giostra; chè qui si fa da maladetto senno... e, com’io v’ho detto, e’ mi basta la vista ancora di far il mestiero a cavallo... ma a piede!—
—E chi v’ha detto di far il mestiero? e di farlo a cavallo o a piede?... col ben che Dio vi dia! Che pazzie son queste? Vi dico di far l’ufficio di buon religioso, d’attendere all’anima, alle cose di Dio... e vo’ m’uscite fuori col cavallo, colle picche e colle fanterie! E’ mi par che vogliate la baja del fatto mio! Andate, andate che vo’ m’avete chiarito... ed io che gli davo retta! Oh Signore, Signore, dammi pazienza con costui!—
—Fra Benedetto.... non v’adirate, disse Fra Giorgio accortosi dallo sbaglio, e tutto doloroso di trovarsi da capo quando già credeva d’aver aggiustate le cose sue. E’ non c’è mal nessuno..... vo’ l’intendete a un modo, io l’intendevo a un altro.—
Visto poi che il superiore taceva e soffiava con certi scrollamenti di capo che non presagivano nulla di bene, si risolse in tutto, dacchè si trovava avere scoperto l’animo suo, di volerla vincer egli; e venendo un tratto a mezza spada, disse col fare di chi non è più per tornare addietro:
—Orsù Fra Benedetto, ascoltatemi. Se voi non mandavi per me sarei venuto di mio, ch’io mi trovo in troppo travaglio per poterla durare. Io vi confesso che stamattina ho fatto errore in tempo di messa, e vi prego a perdonarmi come spero mi vorrà perdonare il mio Signore Iddio. Io vi confesso che gli altri frati hanno mille ragioni di dolersi di me, che i miei portamenti non sono quelli d’un buon religioso. Io sono un omaccio, un pezzo di carne cattiva.... ma forse ci ho che far io s’i’ mi sento struggere, s’i’ perdo il sonno, s’i’ mi rodo giorno e notte di non trovarmi in sulle mura quando vi si fa all’archibusate!.... Ci ho che far io se ho una natura tanto nuova, tanto pazza.... dite pure tanto perversa, che io non ho bene se non quando mi trovo in mezzo alle picche, agli archibusi, alle busse e a mille malanni?.... Io non ho mancato di far il dovere, come m’avete insegnato, per ispegnere codeste fantasie: io digiuni, io orazioni, io discipline.... E sono stati scherzi! Ora io vi protesto che il mio cuore non s’è discostato un dito dal glorioso barone S. Domenico, nè dalla sua santa regola, e ch’io voglio vivere e morire in quella. Io mi ricordo de’ miei peccati, e so che ho da farne la penitenza... e la vo’ fare. A questa guerra io non ci vo’ nè per avvantaggiarmi, nè per salire in grado, nè per altri fini mondani. Io ci vo’ perchè a questo modo io non ci posso stare, ch’io impazzerei; ci vo’ per difendere questo stato popolare, come volle il nostro Beato Fra Girolamo.... e quanto alla penitenza voi la farete in convento, io su per le mura alla neve, e al freddo; voi digiunerete ed io digiunerò; voi farete le discipline e io troverò ronche e spiedi che mi conceranno Dio sa come!
Io non sono in sacris.... sapete voi s’io ho lettere latine!... Ma lo fossi anco... la buona memoria del cardinale Sanseverino l’ho veduto con questo pajo d’occhi (chè allora ce gli aveva tutt’a due) alla giornata di Ravenna su un bel bajo turco, tanto bene a cavallo, tanto ardito e ben armato che io ne disgrado il sig. Giovanni,[6] e Napoleone Orsino, l’Abatino di Farfa, non corr’egli Casentino co’ suoi cavalleggieri? e poi tant’altri.... E se v’è caso in cui anche voi altri preti dobbiate ajutar la difesa, è questo senza dubbio; e volete che ve la canti chiara? Quest’esercito non è per far da motteggio, e vedo di gran nugoli serrarsi addosso Firenze, e se ognuno di noi non val per tre, e’ può venire il punto che ce n’abbiamo a pentire.... Li conosco questi Bisogni[7], questi Lanzi gli ho veduti al sacco di Roma.... dove pur troppo.... anch’io.... basta, Iddio mel perdoni.... e se riescono a rovinar in città un giorno o l’altro addio Parigi... e’ non vi sarà nè chiesa nè convento che tenga. Ora voi m’avete inteso, conoscete l’animo mio; datemi dunque buona licenza, e coll’ajuto di Dio non ve n’avrete a pentire.—
Il buon vecchio udendo quel parlare cotanto risoluto, rimase senza parola. Egli non era sprovveduto di quel coraggio che sostiene l’uomo virtuoso quando si tratta d’adempiere al proprio dovere, ma come s’è veduto, l’ardire proprio de’ soldati non era il fatto suo, e si può credere che avrebbe amato meglio trovarsi un po’ più lontano da quelle benedette artiglierie: onde il vedere ora un uomo sui confini della vecchiaja che mostrava non poter più vivere se non andava a cacciarsi in mezzo alle schioppettate, gli parve cosa tanto pazza che credette il povero laico presso ad uscir di senno.
Perciò si guardò bene dallo sgridarlo, ed anzi considerando la cosa così in fretta in fretta disse tra se «E’ non sarà male con buona maniera levarselo dinanzi prima che ne faccia qualcuna delle sue e mandi a soqquadro la casa» e senza mostrarsi alterato gli rispose:
—Certo non mi sarei mai aspettato.... ma se avete tanto desiderio... che per me non so intendere... basta, se così vi piace... non essendo voi in sacris vi si potrà concedere. Ma riflettete bene a quanti pericoli andate incontro; pazienza quelli del corpo. Ma per l’anima come andrà? Voi tornate nella via vecchia, tornate in mezzo alle male compagnie, tra ribaldi che vi porranno innanzi mille occasioni di mal fare!—
—Quanto a questo voi dite il vero; ma Iddio conosce i miei fini, egli m’ajuterà.—
—Poi ricordatevi; la difesa è lecita; ma debb’essere fatta col minor danno possibile: cum moderamine inculpatæ tutelæ, ferir le parti meno vitali, mai il capo, nè il busto.—
Il laico non si potè tenere di non sorridere un poco udendo questi precetti che mostravano quanto il superiore conoscesse i modi che si tengono nel combattere; ma pure ascoltò fino alla fine cogli occhi bassi (e non gli parve fatica, tant’era l’allegrezza che provava di sentirsi ridiventar soldato) un’ultima ammonizione di Fra Benedetto piena di consigli e di precetti sulla carità, sulla prudenza, sui buoni e cattivi esempi, e che per essere stata un po’ lunghetta pensiamo di non riferirla parola per parola. Quando fu finita, disse Fra Giorgio:
—Dunque siete contento ch’io mi valga del cavallo.—
—Sì, sì... che ad ogni modo le noci son macinate, e per l’olive serve il ciuco... Che Dio vi benedica.—
Fra Giorgio se n’andò contento. L’altro guardandogli dietro giunse le mani, strinse le labbra, ed alzò gli occhi al cielo.