Читать книгу Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - Massimo d' Azeglio - Страница 9

CAPITOLO VI.

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Il popolo di Firenze si trovava ottimamente ordinato per la difesa. Forti le mura, numerosa e ben instrutta la milizia, ben fornito il tesoro, abbondanti le vettovaglie, accesi gli animi d’amor di patria e d’ardire: ma egli s’allevava un serpe in seno, e questo serpe era Malatesta Baglioni.

I suoi maggiori erano stati capi de’ nobili e de’ ghibellini di Perugia, ove Gian Paolo suo padre s’era fatto signore verso la fine del secolo XV, e benchè due volte ne fosse stato cacciato, l’una da Cesare Borgia, l’altra da Giulio II, pure gli era di nuovo riuscito di stabilirvisi. Finalmente Leon X, volendo riunire Perugia agli stati della Chiesa, adescatolo con larghe promesse e con un salvocondotto, l’indusse a portarsi a Roma, ove in iscambio dell’accoglienza che gli si prometteva, fu preso, posto al tormento e decapitato.

L’odio che gli si portava dall’universale pe’ suoi delitti, fece che la voce pubblica assolvesse Leone della tradita fede.

I principj di Malatesta furono simili a quelli del padre.

Condottiere a’ servigi de’ Veneziani da prima, poi signore di Perugia, infine, come vedemmo, capitano de’ Fiorentini. Uomo di mente fredda, sagace, astutissimo; d’instancabile pertinacia ne’ suoi propositi, superbo, avaro, tenace nelle vendette, e sopra ogni altra cosa maestro di frodi e dell’arte di nasconderle e colorirle, persino allorquando avessero partorito l’effetto; prode ed ardito della persona, ed assai esperto capitano. Tipo insomma di que’ signorotti tirannelli che per secoli sorsero, caddero e ricomparvero in pressochè tutte le città italiane: ora principi ora condottieri a servigi di altri principi, o di repubbliche più potenti di loro, spesso capi di parte, di fuorusciti, o di masnadieri. Esperti d’ogni fortuna, ed in tutte animosi, insaziabili, irrequieti. Uomini che allevati tra domestiche infamie e risse cittadinesche, vissuti in vicenda continua di violenze e d’astuzie, finivano le più volte oppressi o traditi da nemici potenti e palesi, ovvero sotto il coltello de’ sicarj, o de’ loro più stretti congiunti. Onde in quell’età più che in ogni altra apparve vera la sentenza di Giovenale:

Ad generum Cereris sine cæde et vulnere pauci Descendunt reges et sicca morte tyranni.

Non parrebbe che in cotesti ribaldi dovesse esser idea veruna di religione o di fede. Eppure, a loro modo, essi avean l’una e l’altra; tanto è vero che Diogene nel definir l’uomo un bipede implume, avrebbe dovuto aggiungere «ed inconseguente.» Essi edificavan chiese, nutrivan frati, arricchivan santuarj; credevan in Dio, nel vangelo, nel papa, ed, avanti sempre coll’istessa logica, nelle streghe, nell’alchimia e nell’astrologia.

Malatesta anch’esso prestava cieca fede ad un astrologo ebreo detto maestro Barlaam, nativo d’Ungheria, il quale all’arte divinatoria univa molto sapere nella medicina, e molta pratica nel modo d’esercitarla.

Viveva costui a discrezione in casa il Baglioni, lo seguiva in tutte le sue imprese, e s’andava facendo ricco de’ suoi danari.

Non si può dir però che fossero tutti egualmente rubati, e ne guadagnava meritamente una parte colle cure continue che richiedevano le gravi infermità del suo padrone.

Quella malattia tremenda, colla quale l’America s’è così pienamente vendicata dell’Europa, e che nel secolo XVI raro o non mai si guariva, andava consumando lentamente Malatesta. Egli aveva sortita dalla natura una complessione robusta colla quale potè sostener le fatiche e i disagi della milizia, finchè le conseguenze della dissolutezza non ebber distrutta in lui la salute e le forze. Dapprima egli era largo di spalle e di petto, di volto vegeto e brunetto, con barba e capelli neri, corti e ricciuti; insomma era il vigore in persona.

In quale stato l’avessero ora ridotto i suoi malanni, lo vedremo tra poco.

Il palazzo Serristori, ov’egli alloggiava, era, com’è al presente (benchè al tutto mutato) in fondo alla piazza presso il Ponte alle Grazie. La parte di dietro guardava sul canale delle mulina e sull’Arno.

L’istessa mattina dalla quale ha preso le mosse la nostra storia, un’ora innanzi l’alba tutto il palazzo era cheto, il portone chiuso ed il solo sportello rabbattuto, al quale era di guardia un soldato, coperto di ferro le braccia, il capo e ’l busto, coi larghissimi calzoni del cinquecento, a striscie rosse e nere, e colle calze a liste de’ colori medesimi.

Teneva in ispalla una lunga partigiana, e passeggiava sollecito sotto l’androne dell’entrata battendo i piedi per riscaldarsi.

Gli uomini di guardia, avvolti ne’ mantelli, russavano in un angolo sdrajati sulla paglia presso un mucchio di cenere e di carboni spenti, avanzo del fuoco che s’era fatto durante la notte.

Al primo piano tutti parimenti dormivano. Il solo Malatesta era già desto da un pezzo. Stava a sedere su un letto in forma di rettangolo, di legno nero lavorato di tarsia; le facce divise in compartimenti, e su ognuno di questi era rappresentata una storia di mitologia in basso rilievo. Le cornici che chiudevano queste istorie, presentavano un curioso e complicato intreccio di fogliami, di figure d’animali, di mascherine e d’ogni qualità d’arabeschi. Il letto sorgeva su una predella che correva intorno alta un palmo dal pavimento.

Accanto al letto sopra una tavoletta tonda retta da una figura d’atlante tutta curva e scontorta, ardeva una lucerna d’argento: attorno a quella erano gettati in disordine un bellissimo pugnale co’ suoi cordoni a fiocchi per appiccarlo, anelli e collane, un reliquiario ed un giojello di forma così strana, che riusciva difficile indovinarne l’uso. Era una gemma tonda e schiacciata come una moneta del color del balascio legata in un filetto d’acciajo. Per una punta parimenti d’acciajo innestata nella legatura rimaneva sospesa per virtù d’attrazione ad un ago calamitato, che stava fisso nella parte superiore d’un cerchio entro il quale rimaneva in bilico la gemma. Il cerchio stava fisso su un piccolo piedestallo di legno nero: il tutto poi segnato di lettere e di segni cabalistici.

La camera era parata di cuojo rosso rabescato in oro: quadri alle pareti, seggioloni a bracciuoli all’intorno pure di cuojo, pieni di borchie e di frangie. Due grossi mastini russavano accovacciati in un angolo.

L’aspetto di Malatesta era quello d’un morto dissotterrato. Cavi gli occhi e le guance: la pelle d’un livido piombino: la barba e i capelli così folti un tempo, radi adesso e malfermi che per nulla si schiantavano e cadevano. Aveva infilato sulla camicia un giubbone di sciamito rosato, che rimaneva aperto d’avanti, e lasciava vedere un petto scarno, ove si sarebber potute numerare le costole. Eran queste coperte dalla sola pelle, che tra l’una e l’altra s’avvallava in solchi profondi. Umori densi e viziati fermandosi alle giunture vi s’erano rappresi ed induriti in modo che ne imprigionavan i moti, e rendevano le braccia in ispecie pressochè attratte.

Stava sorbendo lentamente un gran bicchiere di decotto che avea tolto dalla tavola vicina, e guardava con un ghigno sardonico un Frate che gli sedeva dirimpetto a due passi dal letto.

Questi vestiva l’abito di S. Francesco. Il cappuccio gli nascondeva il viso e gli occhi in modo che non appariva altro se non un po’ di naso, e due guance vermiglie e ben nutrite. La barba che era bianca e grandissima copriva bocca e mento, e veniva terminando diradata al cordiglio.

Stava a capo basso, tenendosi con una mano il mento, gonfio il petto di sospiri, ed al vedere, tutto assorto in pensieri che lo turbavano fieramente.

Mormorava sotto voce:

—Sarebbe troppo una vil cosa! non sarebbe mai possibile... non me la sento...—e seguitava a tener gli occhi a terra, chè se gli avesse alzati in viso a Malatesta, ed avesse veduto quel riso diabolico credo si sarebbe cacciato a fuggire. Buon per lui se così avesse fatto.

Disse alla fine il Baglioni con un fare di scherno, e tutto pace al tempo stesso:

—Non se ne parli più.... Non mancherà ai signori Medici chi voglia far loro questo poco di servigio senza tanti lezj e tante fanciullaggini.... Lo sai, eh? che vi son fanciulli di dieci, di venti.... di cinquanta.... insino di settant’anni?—Messer Baccio Valori che fa sì gran capitale di te pare che non lo sappia però.... Va, va, non mancherà chi voglia corre la palla al balzo, se tu non vuoi. E quando sul portone di palagio staranno le palle vi sarà qualcuno che sguazzerà in casa i Medici, ed attenderà a darsi buon tempo, e verrà portato a cielo, e non gli mancheranno nè cavalli (Malatesta parlava adagio pronunciando spiccata ognuna di queste parole) nè cani.... nè cornacchie..... nè vesti.... nè oro.... nè balli.... nè commedie... e se punto punto, alcuno gli darà noja, e’ si potrà cavare di strane voglie: e tu lo vedrai e dirai Ov’è costui potevo esser io.... Ti so dire che ti parrà un bel diletto.—

Il Frate soffiava, il petto gli s’alzava pe’ sospiri, ma pur taceva.

—Vero è, proseguiva Malatesta, che queste cose e’ sarà pel tuo migliore il non vederle e metterti Firenze dietro le spalle. Ai signori Medici non dovrebbe andar troppo a sangue che un uomo il quale ne ha saputo tanto de’ fatti loro, e non gli ha voluti servire, abbia a sentire ancora il sapor del pane.—

In questo punto l’oriuolo della torre di Palagio suonò le dieci ore[15].

—Tra un’ora è giorno. Vatti con Dio. Ma tieni a mente, se il diavolo ti tentasse, d’impacciarti più di cose di Stato, che e’ conviene esser uomo e non fanciullo a mettersi a codesta bisogna; e ricordati poi sempre che questa (si toccò la lingua colla punta dell’indice) talvolta fa cadere il capo.... e se trapelasse nulla di ciò che è stato detto tra noi... que’ due mastini so che non avran parlato, onde saprò con chi me l’avrò a pigliare....—

—Un tradimento a quel modo!—diceva il Frate parlando con se stesso.

—Un tradimento! ripetè due volte Malatesta col suo solito riso, sta a vedere che converrà andar dagli Otto e dir loro Sappiate che vi vogliamo torre lo Stato per darlo a’ Medici, onde fate buona guardia... E’ mi pare che abbi il cervello sopra la berretta!...

—Ma quello sventurato vecchio.... la figlia, la famiglia!....—

—Oh? son eglino de’ Bardi, degli Strozzi, dei Frescobaldi?.... E’ pare che sia qualche gran casa, che s’abbiano ad aver tanti rispetti! Pajonti questi, pensieri di gentiluomo par tuo? quando si tratta di sì grandi cose, che principi e signori vi metton la vita, e tu mi stai a mercantare un lavoratore di seta, come se fosse de’ reali di Francia?—

Il Frate s’alzò ad un tratto come se una molla l’avesse spinto su dal seggiolone. S’accostò al letto, prese la mano a Malatesta, gliela strinse, e disse con voce rabbiosa:

—Farò tutto... che sia maladetta l’ora in cui nacqui al mondo!—

Malatesta rise di quella furia: e ritratta a se la mano, con un certo chè di sprezzo soggiunse:

—Oh! oh! Hai mutato pensiero? Gli scrupoli son passati?... Quanti minuti durerà questa risoluzione?—

—Durerà anche troppo pel mio malanno. E se romperò il collo in questa impresa, e’ mi starà molto bene.—

—Ora ascoltami, disse Malatesta mutando voce e modi ad un tratto. Quanto a questo chi non vuol porsi a rischio nessuno, ha a rimanere nel carruccio del babbo. Ma chi vuol uscirne e diventar uomo da qualcosa e non consumar la vita sua vilmente a innaspar lana, o a cimar panni, e’ convien commettersi alla fortuna. Credi tu che i Medici ti vorranno far grande e ricco, perchè quand’era tempo d’operare tu invece stavi a grattarti il corpo? A te sta la scelta. Ben sai che codesta casa ha sempre rimeritato i servigi da quella casa ch’ella è, come ha fatto le vendette a misura di carbone. E se i suoi vecchi non avessero avuto altr’animo di quello che tu hai, l’impresa delle Palle starebbe ora appiccata sulla porta d’un fondaco, e non su pei palagi e per le fortezze... Il mondo è di chi se lo piglia e non di chi si ravvolge tra tanti scrupoli e tante paure.—

—Orsù, sarà fatto... Se pure si presenterà l’occasione... chè così alla prima non vedo strada.—

—Oh pensa se Niccolò non avrà caro di veder la Lisa maritata ad un par tuo.—

—Niccolò? Ma lo sapete voi chi è Niccolò? La scannerebbe colle sue mani proprie prima di darla ad altri che a un Popolano... A me poi?... a uno di parte Pallesca? Si vede bene che la Vostra Magnificenza non lo conosce.... Se Niccolò sapesse come sta la cosa.... chi sa.... ma chi sarebbe tanto ardito di dirgliene?—

—Io t’ho inteso, rispose Malatesta, bisogna pensarci: ma intanto vatti con Dio, chè non vorrei ti si facesse giorno per istrada. Dirai a messer Baccio ch’io me gli raccomando.—

Il Frate, aperta una porticella che era nascosta sotto un panno d’arazzo, se n’andò.

—Anche questa la s’avvia bene—disse Malatesta quando si trovò solo: e si stropicciò insieme le mani come soleva fare quand’era contento. Ma quel moto gli fe’ provare certe trafitture di dolore che lo costrinsero a fermarsi: gli sfuggì un ahi! si morse il labbro inferiore, e bestemmiò i suoi malanni.

Chiamò ad alta voce due volte:

—Barlaam!—

Comparì un vecchietto impresciuttito, col viso pieno di tante grinze che pareva formato di matasse di spago: naso profilato ed adunco, due occhietti come grani di pepe, ed una bocca sempre ridente; ma di quel riso che non essendo accompagnato da alcuna letizia nel resto del volto, pare piuttosto uno stiramento convulso delle labbra.

—Io credo, disse Malatesta, che la metà di tutto il maladetto legno[16] che m’hai fatto ingozzare da un mese in qua, e’ sarebbe bastato a bruciarti vivo.... e sa Iddio s’io ne sarei stato peggio!—

—La V. M., rispose il vecchio senza turbarsi punto, avrebbe ora un buono e fedel servidore di meno.—

—Ma non lo sai, nemico di Dio, che non ho un’ora di bene in tutta la notte? Che mi pare mi buchin cogli aghi le midolle dell’ossa? Ci vuol tanto a trovar un’erba, una polvere, un diavolo che mi faccia dormire un’ora? Alla fediddio, ch’io non darò sempre le spese a chi mi strazia.—

—Io troverò questa state il celidonio, pietra che nasce nel ventre della rondine, e la V. M. legherà questa pietra in un pannolino, e la cucirà alla camicia sotto la poppa manca, che tocchi la pelle..... oppure s’io potessi andare insino in Dalmalzia, v’è un monte....—

—E’ sarebbe meglio andassi insino all’inferno... ho paura che vi sarei prima di te.... Io t’ho inteso... Orsù, levamiti d’innanzi, e chiama messer Benedetto, e fa presto.—

Il vecchio uscì.

Messer Benedetto de’ Nobili, dottor di legge, grande amico de’ Medici, si trovava spesso con Malatesta onde conferire degl’interessi della parte Pallesca. Veniva a lui di notte ponendo ogni cura affinchè quelle visite non si risapessero in palagio ove in quel tempo non si scherzava.

Era messer Benedetto un vecchione di bella e grave presenza, uomo del resto di natura vile e malefica: ingordo, simulatore, ingegnoso in trovar cavilli e grandissimo ipocrita. Egli solo tra Palleschi aveva comunicazione col Baglioni; e questo riguardo era necessario affinchè il capitan generale non venisse in sospetto al popolo, la qual cosa avrebbe rovinato affatto le speranze del partito mediceo.

Mentre il Frate e Malatesta tenevano insieme i discorsi che abbiam riferiti, messer Benedetto stava aspettando in una camera poco lontana. Dirà taluno: Non poteva egli trovarsi presente al trattato ed ajutarlo?

Malatesta avea per costume, le cose che si posson dire a quattr’occhi non dirle a sei. Entrò messer Benedetto: avea indosso il lucco, in capo il cappuccio. S’adagiò sul seggiolone ov’era stato il Frate, e disse:

—E così?—

—E così le cose camminan bene, rispose il Baglioni; ecco qua una lettera di messer Baccio.—

Cavò di sotto il capezzale una letterina che il Frate avea portata cucita in un lembo dell’abito. Era in cifra.

—Una ne fa, cento ne pensa costui,—disse Malatesta ghignando.

Aprì il foglio, e lette le prime linee con quel mormorìo inintelligibile che serve per trapassare le cose inutili e giungere alle importanti, seguì:

«Jer mattina parlando con Troilo degli Ardinghelli, delle belle donne di Firenze, mi venne a raccontare d’una certa fanciulla ch’egli aveva vagheggiata e sposata segretamente (il modo ve lo dirà egli) figlia di Niccolò de’ Lapi. Io tosto feci disegno sopra Troilo, che è il meglio costumato, il più sollazzevole ed ingegnoso giovane di Firenze, e credetti bene di mandarvelo. Se gli vien fatto di mettersi in casa di Niccolò, e farsi accettar per genero, e mostrarsi de’ loro, egli sa così ben fare, che potrà saper ogni cosa, servirci maravigliosamente durante l’assedio, e dopo, far che questi Piagnoni abbiano a pianger daddovero. Io non mi sono voluto aprire interamente al giovane, perocchè avendogli dato qualche cenno così alla lontana, mi parve e’ nicchiasse. Ma egli è povero gentiluomo, ed ama lo spendere e vivere da principe; egli è uso in corte tra signori, e non può patire d’aversi tutto dì a ’nzaccherar gli usatti nel fango di questo campo. Non sarà cosa ch’egli non voglia fare per venire in grado a’ signori Medici, ed essere adoperato da loro. Io ho detto alla V. M. più che non bisogna, ed essendo la medesima di quell’autorità e di quella prudenza ch’ella è, potrà molto facilmente voltarlo ec. ec. ec.»

—E’ non l’ha pensata male il ribaldone. Eh?—

—Anzi ottimamente. Tutto sta che riesca... Oh lo conosco bene questo giovane, di veduta però, e sono di S. Gimignano gli antichi suoi... Me lo ricordo quando giocavano alla Chintana, innanzi il portone del palazzo Medici... (avea un cavallo turco che andava come un razzo)... e poneva nel saracino con tanta bella grazia che mai più. Bello come un sole poi. Oh! suo padre era tutto cosa del Magn: Giuliano, onde il figlio se non traligna ha ad esser Pallesco insino al cuore...... Ma come domin gli è venuto fatto cacciarsi in casa di quel serpentaccio di Niccolò?—

—Ora ve lo dico, messer Benedetto, e non l’andiamo allungando tanto che si faccia dì chiaro, e v’abbiano a veder uscir di qua.... Troilo dunque vide questa figliuola di Niccolò, che ha nome Lisa, ad una festa delle potenze, prima che i Medici se n’andassero—Scoprì chi ell’era, rintracciò la casa, e tanto seppe fare e dire, che la fanciulla s’innamorò di lui. Ma in Firenze non ci fu mai conclusione di trovarsi insieme—Niccolò andò colla famiglia ad un podere ch’egli ha presso il Poggio a Cajano. Troilo, che era al Poggio coi signori Alessandro ed Ippolito, non potendo per nulla voltar la Lisa alla sua volontà—chè la fanciulla avea messo il piede al muro di voler essere sposata—Troilo, dico, fece motto a’ sig. Medici, dolendosi d’esser uccellato, e, come accade tra giovani, posta la cosa in riso, e venuti in gara di vincer questa prova, si disposero di far alla figlia ed a Niccolò insieme la più nuova, la più piacevol beffa che voi udissi mai. Troilo diede a credere alla Lisa com’era contento torla per donna, ma, sotto colore di temer che Niccolò non fosse mai per acconsentire ad un tal parentado, se non isforzato dalla necessità, disse conveniva far la cosa segretamente. La Lisa benchè a malincuore pur vi si piegò.—Ordinarono ch’ella dovesse trovarsi una mattina per tempo ad una pieve discosta un miglio dal Poggio,—fecero in modo che il pievano non fosse in casa—Colà un tal Michele, palafreniere di Troilo, si vestì coll’abito del prete, in rocchetto e stola....

A Malatesta crescevan le risa a mano a mano che veniva narrando questo vituperoso fatto, parendogli la più gentil burla del mondo....

—E fece lo sposalizio, con tutte le cerimonie che gli erano state insegnate... He’, he’, he’,... che pazzi! che pazzi!... E’ sarà stato un bel fare.... chi sapeva la cosa... non iscoppiare! he’, he’, he’.... La Lisa fu contenta e gabbata... ed i signori Medici ne fecero maravigliosa festa, e n’ebbero a ridere per più dì... He’, he’, he’....—

Messer Benedetto, malvagio per natura, nemico poi di Niccolò per motivi che vedremo in appresso, rideva anch’esso d’un riso a scosse che gli faceva saltellare il ventre, come fosse andato a cavallo di trotto. Però quando udì che in quest’inganno entravano cose di chiesa, s’andava scontorcendo, diceva di no colla testa, ma pur veniva facendo qualche sogghigno sotto i baffi.

Qui non avrebbe avuto bisogno di far l’ipocrita, ma chi n’ha contratto l’abito finisce col farlo senza accorgersene.

—Oh.... oh... disse finalmente con un certo suo viso malinconico, questa poi... è un po’ grossa!... Una profanazione!... In taverna co’ furfanti, dice il proverbio, ma lascia stare i santi.—

Malatesta volse l’occhio in giro per la camera com’avesse cercato scoprire se v’era nessuno: poi volto al dottore disse:

Messer Benedetto, qui siamo soli sapete! Dunque non mi venite a far il Piagnone... Con me è fiato sprecato. Ci conosciamo. Se il diavolo n’avesse a portar uno di noi e’ si troverebbe impacciato a conoscere il più tristo. Quando sarete in piazza fate del Fra Girolamo quanto volete, ma qui, carte in tavola.—

Messer Benedetto sentendosi trafiggere disse in cuore «Mi sta bene» ma tacque.

—Insomma, proseguì Malatesta, Niccolò non seppe mai nulla di questo matrimonio. Dopo non so che tempo la Lisa partorì un figliuolo e coll’ajuto d’una sua sorella, che venne posta a parte del segreto, quando all’altra cominciò a crescer il corpo, la cosa succedette tanto copertamente che nessuno della casa se n’avvide.—Troilo in tanto per la guerra che s’aspettava, se n’era ito onde unirsi a’ Palleschi: e non ha pensato più nè alla Lisa nè a Niccolò, nè a cotali sollazzi. Il fanciullo, dic’egli, debb’esser in qualche casa di Firenze, ma non sa dove. Ora e’ bisogna trovarlo e far che Niccolò sappia tutto. Piagnone, o non Piagnone, e’ converrà bene che sia contento d’aver Troilo per genero, anzichè veder vituperata la figliuola.—

—E Troilo è egli disposto di mettersi in questo gineprajo?—

—E’ non voleva, e mi faceva il fanciullo, ma io l’ho svilito molto, e gli ho fatto intendere che queste coscenze e queste fedi son cose da morir di fame.... Eh! vi so dir io che si farà un valentuomo. I gattini al dì d’oggi, aprono gli occhi per tempo.—Ora dunque sono da fare due cose.... e voi come fiorentino, pratico della terra, potrete di leggieri.... onde tocca a voi.... Ecco: La prima sapere chi tiene il fanciullo ed in qual casa egli stia. La seconda far che Niccolò sappia ogni cosa.... oppure.... che so io?.... si potrebb’anco far che gli portassero il fanciullo in casa, all’impensata,... insomma pensatevi voi. O egli vorrà coprir la cosa ed avrà di grazia accettar Troilo; o nasceranno scandali, farà un diavoleto del trentamila, dirà una villania da cani alla figlia, le darà, la caccerà di casa, ed allora la Lisa dovrà volgersi a Troilo, e quando al vecchio si sia freddato il primo furore, l’avrà a mangiare a modo nostro s’egli crepasse.—

—Bene, bene, tutte cose non molto difficili; lasciatene la cura a me.—

—Ora andatevene per amor di Dio, che a momenti dovrebbero sonar dodici ore (le 7). Animo, e prudenza. Dio v’ajuti.—

I due ribaldi si separarono.

Il dottore per certi bugigattoli riuscì in istrada. Malatesta rimase co’ suoi dolori, e forse col piacere d’averne preparati di peggio a tanti sventurati.

Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni

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