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Capitolo 6
ОглавлениеInverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna
Umar chiuse la porta spazientito. Le richieste della povera ragazza cristiana, che pure si era umiliata al punto di baciargli i piedi, vennero perciò interrotte definitivamente.
«Non ho tempo per gli scocciatori. Se si ripresenta, cacciatela!» ordinò alla solita donna della servitù che in un primo momento le aveva aperto.
I singhiozzi disperati del pianto di Apollonia dall’altro lato della porta vennero ignorati con ancor più facilità delle richieste verbali di poco prima.
Nadira se n’era stata in un angolo buio della stanza d’ingresso, intenta ad osservare la scena che si stava consumando sull’uscio di casa, ma ora che la porta era stata chiusa, tagliando la voce e le speranze alla povera ragazza di fuori, si avvicinò al fratello e gli disse arrabbiata:
«Non bastava la vergogna con cui ti stai già coprendo?»
E lui, estremamente infastidito dal giudizio della sorella, già in collera per la discussione del pomeriggio e per il fatto che sua madre fosse intervenuta in difesa della figlia, minacciò:
«Bada, Nadira… bada… bada che non ti mandi dal tuo Qā’id su di una lettiga!»
«Me ne andrò felice dal “mio Qā’id”, pur di non vederti più!»
«Perché non te ne andasti allora quando venne a chiedere la tua mano? Mi pare che lui volesse portarti al suo palazzo già il giorno dopo.» rispose Umar, indicando col dito in alto verso la direzione di Qasr Yanna, sede del palazzo di ibn al-Ḥawwās.
«Perché richiesi di poter aspettare che tua moglie partorisse, così da vedere il tuo terzo figlio.»
«Come se Ghadda avesse bisogno di una ragazzina dalla testa montata per essere aiutata nella sua gravidanza…»
«Non hai preso neppure un capello di nostro padre...» rispose Nadira, che dunque, avvicinandosi un altro po’, gli puntò il dito in faccia e proseguì:
«Sei un ingrato… con me come con quei poveri contadini che servono questa casa da che sono nati. Se non lo fossi non avresti ignorato quella disgraziata che ancora piange dietro la nostra porta.»
Il richiamo del muezzin allora si levò alto per tutto il Rabaḍ; l’ultimo raggio di sole era scomparso dietro al monte di Qasr Yanna.
«È una disgraziata, hai detto bene, e sempre lo sarà… Spiegami perché devi prendere tanto a cuore questa cosa.»
«Perché se tu fossi stato legato a quel palo, io mi sarei gettata ai piedi del tuo aguzzino con ancor meno dignità della ragazza cristiana.»
Detto questo Nadira scoppiò in lacrime, ma pure continuò, mentre Umar si trovava spiazzato da quell’inaspettata dichiarazione di devozione nei suoi confronti.
«E mi chiedi perché ho chiesto al Qā’id di aspettarmi per tre mesi...»
Tuttavia Umar si fece serio e raccolse in sé tutta la forza che aveva per mostrarsi duro.
«Tu e i tuoi pianti, Nadira. Non riuscirai ad impietosirmi!»
«Mi chiedo quanto ti dispiaccia che ci vedremo solo se Allah vorrà d’ora in avanti.»
«Spero allora che Allah accolga la mia richiesta di tenerti lontana.»
Nadira prese a piangere più forte e, battendogli sul petto, urlò:
«Non sei nulla, Umar… nulla… e forse se sarai finalmente qualcosa sarà solo grazie a me!»
Umar, che non poteva sopportare quelle parole che come lame ferivano il suo orgoglio, le mollò uno schiaffo e le disse:
«Non senti che è l’ora della ṣalāt del tramonto? Va’ a purificarti prima che la notte arrivi completamente.»
«E tu va’ a lavarti pure l’anima!»
Si lasciarono frettolosamente, ognuno per le sue camere, arrabbiati e in collera l’uno con l’altra.
Quando Umar finì la sua preghiera rimase pensieroso e si sedette sul suo letto, rimuginando su quello schiaffo dato in preda all’ira.
«Cos’è successo poco fa sulla porta? Ti ho sentito litigare durante l’adhān34.» domandò Ghadda, venendosi a sedere accanto mentre si teneva il grosso pancione.
«Mia sorella mi manda in bestia! Da quando il Qā’id ha chiesto la sua mano non fa altro che criticare il mio operato.»
«E tu, Umar, non fai altro che provocarla… Da che vivo sotto questo tetto non avevo mai visto nessuno legato al palo del cortile. Non sarà che da quando il Qā’id ha chiesto la mano di Nadira tu ci tieni a ribadire chi comanda in questa casa e sull’intero villaggio? Tutti parlano di tua sorella, molto più di quanto lo abbiano mai fatto di te. Ma in fondo, mio amato, voi due siete uguali… testardi e sempre pronti ad imporre la propria parola sull’altro. Per di più siete cambiati entrambi da quel giorno… lei si è montata la testa, ma tu hai smarrito la via di tuo padre. Manca anche a me l’Umar che conoscevo.»
«Vorresti insinuare che io sia geloso di Nadira? Che io tema di perdere il ruolo di persona più importante di questa casa?»
«Non solo della casa, ma dell’intero Rabaḍ.»
«Io geloso di Nadira; che sciocchezze!» concluse Umar, ridendo nervosamente nel tentativo di nascondere il suo disagio di fronte a quella verità che anche una parte di sé sapeva essere esatta.
«Padrone, la sentinella sul terrazzo chiede di parlarvi.» interruppe una serva da dietro la porta della stanza.
Umar quindi si alzò e ringraziò la fortuna, dal momento che lo stava liberando da quel discorso scomodo.
Ghadda allora lo trattenne per un braccio e gli disse:
«Ti ho mancato di rispetto?»
Ma lui le si avvicinò e, addolcendo l’espressione, la baciò sulla fronte.
Copertosi capo e spalle con una larga sciarpa di pelo di cammello, Umar uscì da casa. Stava per recarsi lì dove partivano le scale per il terrazzo quando vide che la guardia preposta al controllo del condannato le stava dando di santa ragione alla ragazza cristiana. Questa era stata atterrata al suolo, ed ora, a capo scoperto, si parava il volto e gridava, mentre quell’altro gliele dava con la stessa corda con cui il giorno prima era stato colpito Corrado. Proprio Corrado, invece, permaneva nel suo stato di incoscienza.
Umar si fermò e, avendo fresche in mente le parole di sua moglie, come se volesse dimostrare a sé stesso che non fosse geloso di nessuno, ordinò alla guardia:
«Idris, lascia perdere quella povera disgraziata!»
«Ma Umar, sono tre volte che le dico di non avvicinarsi al ragazzo... E poco fa ha approfittato della ṣalāt del tramonto per rifarlo!»
«Va bene… ma non toccarla! Piuttosto mandala a casa.»
A questo punto Apollonia si sollevò un po’, restando comunque piegata sulle sue gambe e seduta sui suoi talloni.
«Fammi restare almeno dentro il cortile. Me ne starò buona vicino al muretto.» lo pregò piena di lacrime.
«Fa’ come ti pare!» la liquidò Umar, spazientito di averla ancora tra i piedi.
Salito sul terrazzo, la sentinella indirizzò subito la sua attenzione sulle ultime curve della strada proveniente da Qasr Yanna, proprio a pochi passi dal Rabaḍ.
«Vengono da questa parte tre uomini a cavallo.»
«A quest’ora? Saranno viandanti che hanno sbagliato strada. Potevano passare la notte a Qasr Yanna però… Perché mettersi in viaggio col buio e con questo freddo?»
«Il cielo è terso stanotte, temo che scenderà il gelo.»
Umar pensò un attimo al prigioniero, ma poi rivolse nuovamente l’attenzione a quei forestieri in avvicinamento.
«Umar, a giudicare da quelli che mi sembrano drappeggi, almeno uno di quei cavalieri dev’essere qualcuno di importante.»
«Hai fatto bene ad avvertirmi, Mezyan. Se è qualcuno di importante è giusto che conosca la mia ospitalità.»
Umar scese giù sul cortile e quindi, guardando Corrado, fece alla guardia:
«Idris, dopo l’adhān della notte aspetta un paio d’ore e poi lascialo andare.»
Quell’altro in risposta chinò il capo, assentendo.
Dopo le ultime considerazioni meteorologiche, Umar avrebbe voluto liberare Corrado già subito, ma ritenne che dare a vedere una manifestazione di potere di tale portata dinanzi a quei forestieri avrebbe giovato alla sua reputazione.
L’esattore del Qā’id li attese quindi sull’ingresso e li vide arrivare mentre gli ultimi bagliori di luce sparivano ad ovest.
Come aveva visto bene la sentinella sul terrazzo, uno dei tre vestiva finemente; per certo era un nobile. Umar si rese immediatamente conto che la stirpe dei tre non era berbera, ma forse araba. D’altronde, oltre l’aspetto, poco o niente distingueva un uomo di origine berbera da uno di stirpe araba, se non l’uso della lingua berbera come idioma parlato in famiglia accanto all’arabo e i rimasugli di una cultura antica ed estranea al mondo islamico importato proprio dagli arabi.
Quello che pareva essere un nobile portava un mantello con un cappuccio bianco, tutto finemente damascato; Umar non ne aveva mai visto uno simile. Scesero da cavallo e uno dei tre, ma non quello su cui era stata rivolta finora l’attenzione, disse:
«Cerchiamo la casa di Umar ibn Fuad.»
«Sono io Umar. Cosa posso fare per voi?»
«Sapete chi avete davanti, Umar?» chiese sempre quello che parlava, riferendosi al tizio che accompagnavano.
«Me lo direte al caldo del braciere.»
Quindi disse al suo uomo nel cortile:
«Idris, sistema queste cavalcature!»
Umar li invitò quindi ad accomodarsi dentro. Non aveva idea di chi avesse davanti, ma non voleva dare l’impressione che la sua ospitalità si basasse sulle generalità dell’ospite. Comprendendo che comunque era al cospetto di un uomo dal lignaggio riguardevole, credette bene di accoglierlo in casa propria ancor prima che si presentasse.
Nella solita stanza ben arredata di tappeti e cuscini, adesso con un braciere accesso al centro, Umar fece gli onori di casa dando il meglio di quello che aveva. Pensò di potersi fidare dei tre, dal momento che insieme ai mantelli e alle borse consegnarono alla servitù anche le spade senza che nessuno gliel'avesse suggerito.
Adesso, alla luce del fuoco e dei lumi, Umar poteva osservarli meglio. L’uomo che sembrava essere il capo degli altri due aveva all’incirca quarant’anni, l’aspetto curato, il viso e il naso sottile; aveva inoltre l’aria di chi sa di valere a questo mondo. Parlava anche lentamente, chiudendo spesso gli occhi con fare saccente. Gli altri due erano vestiti tra loro quasi nella stessa maniera, con lunghe tuniche nere e calzoni bianchi, ma uno dei due portava un grosso medaglione d’oro al collo.
Ognuno di fronte all’altro passarono lunghi minuti prima che qualcuno iniziasse a parlare. Poi Umar volle rompere il ghiaccio nel tentativo di capire se poteva cogliere un qualche affare:
«Sei ricco! Cosa sei, un mercante di perle?»
E quello, sorridendo, rispose:
«I miei agenti quest’anno hanno fatto crescere notevolmente i miei guadagni proprio tramite il commercio delle perle.»
«Avrei detto che tu che fossi un qā’id, se non fosse che un qā’id viaggerebbe con la scorta e con la corte.»
«Salim, fratello… il mio nome è Salim.»
«Bene, Salim… quale affare ti ha condotto in casa mia?»
In realtà Umar avrebbe voluto chiedere come mai non fossero rimasti per la notte a Qasr Yanna invece di rimettersi in marcia al tramonto per fare pochissime miglia. Temette tuttavia che la sua domanda potesse essere mal interpretata, quasi come se stesse chiedendo loro perché non se n’erano rimasti a casa.
«Quell’uomo che hai fatto legare a quel palo… è in vendita? Perché mi è sembrato di vedere un fisico eccezionale.»
«Sei un mercante di schiavi dunque!»
«Sono un uomo che cerca perle preziose tra il genere umano, fratello.»
Immediatamente la mente di Umar venne sfiorata dal pensiero di vendere Corrado a quell’uomo. Poi rifletté che i cristiani del Rabaḍ non erano degli schiavi, pur se servivano la sua casa, e non poteva farsi padrone della loro vita. Quindi rispose:
«Temo che al Rabaḍ non vi sia nessuna di queste perle. Qui ognuno coltiva la sua propria terra e prega tra le sue proprie mura… eccezion fatta per le quattro serve che governano questa casa.»
«Eppure so che nascondi una perla di rara bellezza sotto questo tetto, e che non si tratta di una delle tue quattro serve.»
Umar si fece serio e, avendo compreso che si riferisse a Nadira, rispose:
«La perla a cui ti riferisci non è in vendita, né lo è mai stata.»
«Eppure so che il Qā’id di Qasr Yanna si è affrettato a comprarla, fratello.»
«Perciò comprenderai che genere di uomo la protegge…»
«Non temo nessuno… tanto meno il Qā’id, e questo perché non ho intenzione di fare del male a nessuno… semmai ne avessi il potere. Ciononostante ho sentito parlare di due gemme di zaffiro incastonate in un meraviglioso contorno; di una fanciulla dalle fattezze paradisiache, di un sogno che spacca il petto. Il Qā’id può avere tutto quello che vuole… e ottiene sempre il meglio. Io, però, sono un mercante di perle - come hai detto - e riconosco che di tali perle altri qā’id e signori pagherebbero una fortuna. La fama degli occhi di Nadira, sempre che questo sia il suo vero nome, si è sparsa per tutta la Sicilia centrale, ma io non ti chiedo niente… solo di vederli. Adesso che ibn al-Ḥawwās si è fatto un dono così prezioso gli altri certamente vorranno imitarlo e sarà meritò mio trovare tale rarità tra le fanciulle dell’Isola e oltremare.»
«Cosa vuoi perciò?»
«Solo vedere quell’azzurro di cui si fa tanto parlare.»
Quindi chiuse gli occhi e recitò con mezzo sorriso beffardo:
«“Il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi.”»
Umar si rigirò nervosamente le mani. La richiesta generava sospetto, anche se in fondo non era poi così difficile da soddisfare, non essendoci nessuna violazione di pudore o morale. Il padrone di casa se ne stava pensieroso, diviso tra la gelosia per la sorella e il timore di deludere un uomo più importante di lui. Quell’altro d’altronde aveva compreso sin dall’inizio - o forse gli era stato riportato - quale fosse il punto debole di Umar. Con un altro quell’uomo dalle chiare abilità mercantili avrebbe offerto denaro, tuttavia Umar non riteneva le ricchezze come le riterrebbe un avaro; era l’orgoglio la vera chiave per renderlo vulnerabile.
«Umar, fratello mio, adesso che sei il cognato del Qā’id avrai per certo già pensato a come rendere evidente il tuo stato e a come farti rispettare in quanto tale…»
Umar lo guardò perplesso, in fondo ci pensava da che Ali ibn al-Ḥawwās aveva visitato il Rabaḍ.
«Il mio mantello, ne hai mai visto uno simile?» chiese Salim, essendosi accorto che Umar l’aveva fissato meravigliato.
«Immagino provenga da molto lontano.»
Quell’altro rise, coinvolgendo anche i suoi uomini in quel gesto.
«Questo la dice lunga su di te, fratello. Hai mai messo piede fuori dal Rabaḍ?»
«Frequento con costanza il mercato di Qasr Yanna. Lì vi è una gran quantità di gente: molti fedeli, ma anche contadini cristiani che lavorano la terra entro le mura della città e perfino artigiani giudei provenienti da Qal’at an-Nisā’35. È possibile trovare di tutto: dallo zolfo delle miniere al sale proveniente dai giacimenti, dallo zucchero estratto dalla canna al riso delle risaie. E i giardini della città e le sue fonti… vale la pena recarvisi.»
«Ma Qasr Yanna dista solo mezz’ora da questo villaggio!» rifletté l’uomo col medaglione.
«Forse in salita, fratello!» rispose l’altro nel tentativo di deridere Umar.
«Mio caro Umar, la stoffa del mio mantello proviene dagli opifici di Balarm36. Sei mai stato a Balarm?»
Salim sfruttava con successo l’arte del mercanteggiare, tuttavia ad Umar non stava vendendo beni materiali, ma qualcosa che l’esattore del Qā’id già possedeva: l’orgoglio. Come un mercante fa nascere nel suo cliente il bisogno di avere l’oggetto che intende vendergli, così Salim stava umiliando Umar, facendogli comprendere la necessità di diventare un’altra persona, una che desse a vedere la sua parentela col Qā’id, che ostentasse con orgoglio il suo nuovo stato. Facendogli pesare il fatto che non fosse mai stato a Balarm lo rendeva piccolo… piccolo come poteva essere qualsiasi abitante di un villaggio rurale, benché funzionario del Qā’id. Adesso Salim gli avrebbe proposto la soluzione facendo leva su quell’orgoglio che aveva abilmente smontato e che necessitava di nuova vita.
«Il mantello è tuo, fratello! Ti serve proprio un abito che non ti faccia passare inosservato.»
«È qualcosa di troppo prezioso perché tu te ne privi.»
«Scherzi, Umar? Ne posseggo a centinaia di stoffe del genere… che le mie sarte sapranno confezionare a dovere. D’altronde cosa ti chiedo se non il semplice sguardo degli occhi di una fanciulla… Pensa, essa è l’unica cosa che tu possegga e che valga la pena mostrare… e la tieni pure sottochiave…»
Quindi Umar fece cenno alla serva che se ne stava sulla porta e che reggeva una grande brocca di terracotta piena d’acqua.
«Fa’ venire Nadira.»
La serva perciò uscì dalla stanza.
I quattro rimasero per lunghi minuti in silenzio, attendendo che si presentasse la ragazza che aveva generato tanta curiosità nel forestiero. Nervosamente Umar attinse un pezzo di pane dal piatto posto al centro e lo intinse nel miele, portandoselo poi alla bocca.
Nadira, la quale se n’era stata per tutto il tempo in camera sua dopo l’ultima sfuriata col fratello, mise quindi piede nella stanza. Vestiva ancora il bell’abito verde con le rifiniture gialle e blu del pomeriggio e come al solito, in presenza di uomini estranei, si copriva il viso.
Jala e Ghadda, perplesse e curiose, si accostarono alla porta.
«È lei la fanciulla che ha catturato il cuore di ibn al-Ḥawwās?» chiese Salim, rivolgendosi ad Umar.
«In persona… mia sorella Nadira.»
Salim si mise in piedi, mentre gli altri due al suo seguito si guardarono tra loro, persi in quell’atmosfera divenuta di colpo ammaliante.
Nadira si fermò a metà della stanza, perciò fissò Umar, cercando di capire cosa volesse da lei quell’ospite e che ruolo avesse lui in tutto questo.
«Vieni, ragazza, avvicinati!» le fece Salim, mimando l’invito con la mano.
Umar assentì col capo e lei, riconoscendo di potersi fidare, fece due passi avanti.
Ora gli occhi di Salim si perdevano in quelli della ragazza, ma la guardò con un’intensità tale che lei dovette abbassare lo sguardo sentendosi a disagio, come se l’atto di osservare di un uomo potesse costituire una vera minaccia.
Dopo alcuni secondi Umar intervenne:
«Non ti basterà tutta la notte per saziare la tua vista.»
E rivolgendosi a Nadira:
«Può bastare così, sorella.»
Dunque Salim intervenne:
«No, ragazza, aspetta un momento! E tu, Umar, impazzirei se non ti chiedessi una cosa.»
«Di’.»
«Non vedo schiave negre in questa casa, eppure ogni uomo che si rispetti ne ha almeno una. Verrai con me fino alla mia città, porterai con te tutti gli uomini che vorrai, tanti quanti ne ritieni necessari, quindi riempirò le braccia di ognuno, e coprirò la groppa di ogni cavallo o dromedario che avrai con te di tutto ciò che sembrerà bello ai tuoi occhi… e ti darò pure una schiava negra. Sono un uomo molto facoltoso e nobile di sangue; non rinunciare, fratello! Diranno di te grandi cose, e per certo ti intitoleranno una moschea.»
Le orecchie di Umar, all’udire quell’offerta eccessiva, fischiarono e la sua testa divenne leggera, vuota, persa nella confusione di ciò che quello gli proponeva. Tuttavia Umar pensò bene di bloccare ogni trattativa sul nascere, immaginando quale potesse essere la natura della contropartita.
«Non mancherò di rispetto al mio Qā’id facendomi rendere ricco da qualcun altro.»
Nadira allora uscì definitivamente dalla stanza, pur se rimase con le altre donne in un punto in cui avrebbe sentito senza essere vista.
Salim tornò a sedersi, umiliato da quel rifiuto. Dunque, lisciandosi la barba, disse lentamente:
«Un giorno, quando mio figlio era ancora un bambino, lo vidi giocare con alcuni robā’i37 d’oro; li usava come se fossero piccoli blocchetti di legno, facendone pile e lasciandoli cadere. La serva, contrariata, gli gridava dietro come una forsennata, intenzionata a farglieli deporre. Infine mi ci avvicinai io, tirai dalle tasche alcune monete di vetro colorato e gliele proposi in cambio di quelle d’oro. Il bambino accettò prontamente lo scambio.
Ecco, tu, mio caro Umar, sei come quel bambino, disposto a rinunciare ad un offerta d’oro pur di accontentarti di semplice vetro colorato.»
«Col vetro colorato la gente ci compra il pane!» esclamò Umar, infastiditosi per quel giro di parole usato allo scopo di offenderlo.
«Ma tu non vorrai restare per sempre un uomo da vetro colorato… Hai in casa qualcosa che vale più dell’oro… e credimi se te lo dico, il tuo Qā’id non ti sta rispettando per niente!»
«Mia sorella appartiene già ad Ali ibn al-Ḥawwās!» alzò i toni Umar, mettendosi in piedi e puntando il dito su Salim.
«Il “Demagogo”, colui che ammalia il suo popolo con semplici parole… Ha una dote, è certo… e io non saprei fare di meglio. Ma comprendi, fratello, che ibn al-Ḥawwās è capace di offrire solo parole? Solo monete di vetro colorato!»
«Pagherà il prezzo di Nadira quando potrà averla.»
«Io ti offro di più e senza neppure chiederti di averla. Sinceramente l’amor carnale mi appaga meno dell’oro e del piacere di spenderlo.»
Umar si trovò spiazzato; possibile che quello non intendesse ciò che pensava sin dall’inizio della seconda proposta?
«Spenderlo come, in questo caso?» chiese.
«Non penserai che creda che la bellezza di Nadira si fermi ai suoi occhi? E questo deve averlo capito anche il tuo Qā’id, altrimenti si sarebbe limitato a guardare. Ciò che tua sorella nasconde sotto il velo dev’essere per certo degno dei suoi occhi, ne sono sicuro. Ti chiedo solo che lei balli per me, stasera, in questa stanza.»
Umar sentì un fuoco salirgli nelle orecchie. Quello sfidava la sua gelosia come se il suo ruolo di protettore della ragazza valesse nulla.
«Jamal, fa’ dono del medaglione che porti al collo al mio amico!» comandò Salim ad uno dei suoi, credendo ancora di poter comprare Umar.
Quello si alzò e infilò al collo del padrone di casa il grosso medaglione.
Umar quindi lo avvicinò alla vista per analizzarlo: si trattava di un oggetto molto costoso, ben intagliato, ben inciso e molto pesante.
«Così ti noteranno tutti, fratello!» commentò Salim, sorridendo.
Tuttavia Umar si tolse il cimelio e lo lasciò cadere sul piatto del pane.
«In questa casa non si è mai suonato o ballato!» concluse perentorio.
«Jamal nel suo bagaglio ha un mizud38 e sa suonarlo bene.»
Nadira, al di là della porta, restava sbigottita da quelle richieste e immaginava già, così come immaginavano Jala e Ghadda, che presto Umar sarebbe andato in escandescenza.
«Jamal sarà allora felice di suonare alla presenza delle tue concubine.» rispose proprio quest’ultimo.
Salim adesso si fece serio e si mise in piedi.
«Ho viaggiato molto… ho conosciuto molta gente… e perfino i qā’id non mi hanno mai rifiutato nulla!»
Umar dunque imitò l’altro, sollevandosi.
«Tu credi di poter comprare tutto, ma l’onore non si può comprare né svendere! Io sono il garante di tutte le donne di questa casa e non permetto che nessuno soltanto pensi di poter trattare al pari di una prostituta mia sorella!»
E quell’altro, adesso sogghignando:
«Se il Qā’id non avesse udito di Nadira, prima o poi l’avresti svenduta al primo offerente… forse anche a chi l’avrebbe trattata come tale. Fidati della parola di uno che conosce il mondo.»
«E tu fidati di me che conosco me stesso. Hai profanato la mia ospitalità, per cui non posso tollerare ancora la tua presenza in questa casa.»
E guardando la solita serva che reggeva la brocca, continuò:
«Fa’ consegnare a questi uomini le loro cose e i loro cavalli.»
Umar li fissò per tutto il tempo in cui, umiliati oltre ogni dire, quelli raccolsero le proprie cose e lasciarono la casa. Tuttavia il sorriso di Salim non scomparve mai dal suo viso; nervosamente sembrava voler nascondere l’imbarazzo.
Poi, giunto sulla porta, questi disse:
«Ascolta il mio avvertimento, Umar: hai promesso Nadira al Qā’id, e proprio davanti al Qā’id e davanti ai suoi ospiti tra non molto ella danzerà senza alcuna vergogna!» e se ne andò, scomparendo nel buio della notte insieme agli altri due.
«Chi era l’uomo che ti sei inimicato?» chiese Jala quasi in preda all’ansia.
«Era colui che non voglio diventare!» tagliò corto Umar, ritirandosi in camera sua e invitando le altre a fare altrettanto.