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Capitolo 14

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Fine estate 1040 (431 dall’egira), terre della Sicilia centrale

Non si può tenere un gregge unito se il pastore bastona le sue pecore… ciò che si colpisce finisce per disperdersi. E così, mentre Guglielmo de Hauteville convocava i principali dei suoi uomini per discutere il da farsi, Giorgio Maniace si rendeva partecipe di sfuriate oltre l’accettabile contro i suoi sottoposti. Il suo genio militare era indiscusso, ma il suo lato umano lasciava a desiderare. E d’altro canto, l’uomo viene sempre fuori, anche quando il mito e la fama tendono a coprire la realtà con il loro alone di eroismo e leggenda. Maniace era acclamato dalla gente cristiana perché lo attendeva come un liberatore e dalla soldataglia perché lo temeva, ma la verità è che era un poco di buono. E così, dopo essersi inimicato Arduino il longobardo, Maniace aveva fatto il passo più lungo della gamba e aveva aggredito Stefano il Calafato, accusandolo anche di tradimento. Tuttavia contro l’ammiraglio incompetente, cognato dell’Imperatore e a quanto pare appoggiato anche dall’Imperatrice Zoe, colei che davvero comandava l’Impero d’Oriente, Maniace poteva ben poco.

Arduino era stato saggio nelle sue scelte, affrancandosi pacificamente dai suoi obblighi nei confronti di Maniace, anche se con lo scopo di fargliela pagare successivamente; normanni e variaghi, come c'era da immaginare, l’avevano seguito.

Stefano, invece, forte dei suoi appoggi importanti, aveva denunciato il fatto e accusato Maniace di voler prendere per sé l’intera Sicilia. Lo Strategos era stato arrestato e tradotto a Costantinopoli, ma non prima di aver trafugato le reliquie di Sant’Agata e di averle mandate come bottino alla città che serviva, nel tentativo di dimostrare che le accuse di Stefano erano false e che nessuna ricchezza conquistata poteva prendere il posto della sua fedeltà all’Imperatore. Uno scherzo che i catanesi non avrebbero mai perdonato a Costantinopoli.

Da quel momento le operazioni terrestri erano passate proprio nelle mani di Stefano e da ciò si può comprendere perché la campagna contro i mori di Sicilia avesse iniziato a fallire irrimediabilmente. Per prima e ultima cosa Stefano aveva deciso di muovere battaglia contro i contingenti traditori delle truppe ausiliarie, poiché presuntuosamente credeva di riuscire in ciò che pure Maniace aveva evitato... e nello scontro vi aveva trovato la morte.

Con l’esercito regolare delle provincie romee dell’Italia meridionale ancora in Sicilia, disorientato e sconfitto, longobardi e normanni avevano deciso allora di contrattaccare l’Impero in Calabria e in Puglia, prendendo in controtempo il nuovo nemico.

Fu in quei giorni, prima di passare definitivamente il Faro, che gli uomini di Guglielmo, nel tentativo di arraffare quanto più fosse possibile per fare personale bottino, vollero predare in lungo e in largo i villaggi di Sicilia. Si divisero in bande da venti e da trenta, quindi ognuno si diresse dove credeva di poter conquistare tesori con relativa facilità, non facendo distinzione tra islamici e cristiani quando il boccone valeva la pena.

Tancred propose di attaccare gli sguarniti villaggi dei saraceni ubicati poco ad est di Qasr Yanna. Con l’esercito di Abd-Allah decimato, forti dell’effetto sorpresa e con l’intento di colpire fulminei per poi fuggire verso est, tanto che erano sprovvisti della pesante armatura, Roul, Tancred, Geuffroi, il giovane Conrad e un’altra trentina di guerrieri, si diressero verso l’ombelico della Sicilia.

Conrad non aveva mai smesso di sollecitare Roul all’insegnamento della guerra, ottenendo da questi il duro addestramento che solo un abile guerriero normanno poteva dare. Ciò che però Roul aveva colpito di più era il cuore del ragazzino, infiammandolo di odio verso il nemico. Conrad adesso desiderava più che mai vendicare suo padre ed era intenzionato a farlo con chiunque si trovasse davanti. Nelle settimane precedenti aveva richiesto licenza al suo maestro ogni qual volta si era trovato davanti un saraceno, tuttavia Roul aveva continuamente ripetuto che la rabbia andava preservata solo per la battaglia e che era da stupidi non saper mantenere la disciplina in abiti civili.

Ora se ne stavano distesi sul crinale di una collina terrosa a sbirciare oltre. Era pomeriggio e il sole basso cominciava a dare fastidio agli occhi. Un villaggio era ubicato proprio alle falde del monte di Qasr Yanna. Un torrente scendeva a lato del pianoro su cui esso era stato costruito e alcune norie issavano l’acqua per portarla ai canali dei terreni superiori. Decine di appezzamenti coltivati ad ortaggi circondavano il villaggio in ogni direzione. Allontanandosi ancora cominciavano le terre riservate al grano, migliaia di ettari che si perdevano all’orizzonte. I soldati della compagnia normanna avevano adesso i campi di cereali alle spalle e gli orti davanti.

«Con il sole dritto in faccia ci staranno un attimo ad accorgersi di noi appena scenderemo dalla collina.» fece notare Tancred.

«Guardate lassù!» invitò Roul, indicando Qasr Yanna in cima al monte.

«Non ci vorrà molto che il sole scomparirà dietro la cresta del monte. Attacchiamo quando la visuale diventa difficoltosa per le loro sentinelle.» completò.

«Dubito che quel pugno di contadini abbia delle sentinelle.» disse la sua Geuffroi.

«Perché non hanno cosa difendere...» aggiunse un altro.

«No, amico, perché si sentono al sicuro. Terranno l’oro nella loro chiesa… in quella moschea lì in fondo.» spiegò Roul.

«Al tramonto torneranno gli uomini dalle campagne… dobbiamo colpirli prima!» propose Tancred.

«Non ti spaventerai dei forconi…» scherzò Roul.

«Io vi coprirò le spalle.» esordì Conrad parlando all’orecchio del più grande e grosso.

Roul rise e lo stesso fecero tutti gli altri.

«Moccioso, tu resti a guardare le bestie!»

Conrad fissò indietro, ai cavalli ai piedi della collina.

«Sono settimane che vi chiedo il permesso di poter vendicare mio padre.»

«Quando sarà la tua occasione non ci sarà bisogno del mio assenso. Magari qualcuno tenterà di rubare i cavalli e tu dovrai difenderli.»

«Tutto solo?»

Roul rise con più impeto di prima.

«Te la fai addosso per restare qui a guardare i cavalli e vorresti predare un villaggio?»

Conrad ne uscì amareggiato con sé stesso e umiliato dalle risa del suo affidatario.

«Fratelli, il sole eclissa; alle armi!»

Cominciarono a scendere per il versante che dava sul villaggio, silenziosamente e velocemente. Conrad si ritrovò in breve da solo, nel silenzio degli attimi che anticipano il tramonto. Imprevedibilmente, passati alcuni minuti, il canto del muezzin si levò alto per la valle; Roul e i suoi compagni si fermarono all’istante, nascondendosi nei pressi di una formazione rocciosa. Ripartirono subito dopo con l’intento di colpire quella gente durante la preghiera, quando gli abitanti avrebbero chinato il capo e gli uomini di ritorno dalle campagne si sarebbero fermati lungo la strada di ritorno. Ripresero perciò il cammino quando ancora il muezzin non aveva finito.

Conrad seguiva con lo sguardo le spalle di Roul, colui che era più visibile, e si mangiava convulsamente le unghie, preso dall’impazienza dovuta a quella snervante attesa.

Un ululato echeggiò tra le colline ad est; un lupo cantava alla luna che pian pian appariva nel cielo. Conrad non ci pensò due volte, si gettò a rotta di collo per la discesa, verso la vallata ed il pianoro di fronte. Teneva la spada sguainata a mani levate dinanzi a sé, dal momento che se l’avesse tenuta nella guaina la punta avrebbe toccato il terreno.

Ancor prima di giungere sull’ingresso del villaggio udì le prime urla di donne; sapeva che avrebbe trovato gli amici di suo padre seguendone la provenienza. Una volta tra le stradine di quel borgo si immerse nel fuggi fuggi generale di decine di donne terrorizzate che cercavano rifugio dentro casa. Vide Geuffroi sfondare una porta a calci e tirare fuori un vecchio sdentato. Riprese a correre senza meta, sicuro che avrebbe incontrato Roul. Si imbatté in alcuni cadaveri di uomini, per certo contadini che si erano frapposti fra gli assalitori e le proprie donne. Conrad era lì per sostenere quella battaglia, ma, nonostante incontrasse parecchi saraceni in fuga, non ebbe il coraggio di affrontarli. Si convinse che l’avrebbe fatto solo dopo aver ritrovato Roul.

Da una finestra le strida di una ragazza sovrastavano tutto il resto; provò terrore per quelle urla. Vide vicino alla moschea alcune fanciulle in lacrime, dai capelli scoperti e denudate altrove. Tancred lì accanto si faceva consegnare orecchini, bracciali, cavigliere e collane. Conrad aveva già visto donne in quello stato, caricate come bestie sui carri diretti ai mercati, e così, quando si accorse che legavano loro i polsi, immaginò che Tancred e i suoi compari le stessero per portare via prigioniere. Fumo intanto cominciava ad elevarsi dal tetto della moschea, mentre un uomo all’interno del cortile veniva sgozzato a freddo e gettato prono nella fonte delle abluzioni.

Le strette stradine infine si aprirono in un largo spiazzo, delimitato da un muretto sull’ingresso e da una grande casa che occupava lo scenario in fondo. La casa era stata depredata e un soldato veniva fuori portando in spalla una sorta di fagotto, il quale risuonava di roba metallica ad ogni passo. Un altro portava sulle braccia una gran quantità di stoffe e abiti di modesto pregio. Ognuno poi gettava il suo contributo all’interno di un carretto che sostava sull’ingresso.

Infine Conrad vide Roul girare per il retro della casa.

«Roul!» chiamò ad alta voce.

Tuttavia Pugno Duro era già scomparso dalla sua visuale.

Quando voltò l’angolo, Conrad si accorse che la porta delle stalle era socchiusa, quindi, non vedendo Roul, immaginò che fosse entrato.

«Lo sapevo che ti eri infilata qui dentro!» disse Roul a qualcuno, ma Conrad non lo vedeva ancora.

Silenziosamente si accostò ad alcune assi accantonate in un angolo e, rannicchiato tra le zampe di un mulo, si mise ad osservare, curioso di vedere come Roul facesse la guerra.

Una giovane donna si stringeva nell’angolo opposto della stanza tutta tremante.

«Dov’è l’oro?» chiese Roul.

Ma quella sapeva solo aggrapparsi alle pietre del muro a secco della stalla per com’era terrorizzata, oltre al fatto che non comprendesse la lingua degli assalitori. Intanto gli occhi di Conrad si abituavano all’oscurità crescente del tramonto, valorizzando la luce che penetrava dal sottotetto.

«Dove tenete il denaro?» ribadì la richiesta Roul, questa volta colpendola con uno schiaffo di tale entità che la fece volare su una catasta di fieno lì accanto.

«Capisci quello che ti dico?»

Arretrando su quel mucchio di fieno la donna balbettava qualcosa di incomprensibile, sicuramente parole nella sua lingua.

Quindi Roul non chiese più nulla, e non appena lei si voltò per fuggire, lui l’afferrò per un braccio e poi per i fianchi. Conrad chiuse istintivamente gli occhi quando vide Roul far prevalere la propria forza su quella poveretta, la cui statura arrivava appena allo stomaco del suo aggressore. Si portò una mano davanti al viso alla vista delle cosce e dei fianchi nudi della donna. Spalancò la bocca al sentire quegli urli di così strana natura. E fu felice di non sentirla più quando Roul le cacciò violentemente in bocca un pugno di fieno per farla tacere, tenendoglielo stretto con la mano per non farglielo sputare.

Una volta, Conrad, all’età di sei anni, su un prato nei pressi di Benevento, aveva visto una povera cavalla storpia subire la monta di uno stallone in calore. Aveva provato turbamento per quella povera giumenta incapace di contrastare le angherie del più forte. Adesso provava pena e turbamento per quella donna, dal cui mugugno sembrava proprio una strana bestia durante il supplizio del macello.

Dopo alcuni minuti la donna parve rassegnarsi alla prepotenza del suo aggressore, quindi poggiò la testa su di un lato, verso Conrad. Fu allora che il ragazzino la vide in viso. La donna era di bell’aspetto, dai lineamenti arabeschi e con begli occhi. La vide aguzzare la vista da questa parte; tra le zampe del mulo sembrava fissarlo. Ne era sicuro, si era accorta di lui. Quell’occhiata percorse lo spazio che la separava da Conrad… quell’occhiata intersecò due destini tra loro, due vite in modo fatale.

Roul intanto finiva la questione e si ricomponeva mettendosi in piedi. Conrad, che prima cercava Roul, adesso temeva a farsi vedere, pieno di vergogna per aver violato con la sua presenza la privatezza di un atto così nefando. Inoltre la donna guardava ansimante nella sua direzione, una ragione in più per indurlo a nascondersi alla sua vista. E così, mentre Roul usciva, Conrad si infilava dietro alcune assi di legno appoggiate al muro.

«I terrazzani di Qasr Yanna ci assalgono!» urlò qualcuno là fuori; sembrava la voce di Tancred.

Un gran baccano avvolse l’intero villaggio, voci che si mischiavano in un suono indistinguibile. La donna allora dovette comprendere qualcosa di quelle voci, poiché si alzò e, correndo verso fuori, gridò:

Il Cielo Di Nadira

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