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Capitolo 11

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Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna

Prima di perdere nuovamente conoscenza, Corrado fece in tempo a vedere l’icona della Madonna, quella inserita in una nicchia sulla facciata di casa, la quale era un segno obbligatorio per i cristiani. Michele l’aveva trasportato a spalla intanto che Apollonia li aveva anticipati facendosi largo tra la gran confusione di gente in preda al panico e intenta a spegnere gli incendi divampati poco prima. La casa di Umar veniva divorata dalle fiamme mentre al magazzino delle granaglie decine di uomini facevano avanti e indietro con l’intenzione di salvare quante più sementi possibili; tra di loro vi era anche Alfeo.

Caterina piangeva sulla porta mentre i suoi due figli naturali riportavano a casa l’altro, immolatisi e quasi morto per difendere l’onore della famiglia che lo aveva accolto.

Michele adagiò Corrado sul letto e corse a dare supporto al padre e ai compaesani contro le fiamme del magazzino.

Apollonia portava la lanterna, ma si bloccò sulla porta quando si accorse che sua madre aveva spogliato Corrado dei suoi abiti madidi di sudore e della rugiada della notte, per coprirlo con coperte asciutte. Non ricordava di averlo mai visto nudo, per questo arrossì e temette ad avvicinarsi. Poi, nelle ore più buie della notte, si ritrovò di nuovo da sola a vegliare su di lui, così come aveva fatto nei due giorni precedenti. Ora con una pezza bagnata frizionava la fronte di lui nel tentativo di fargli scendere la febbre.

Quando Corrado aprì gli occhi, i primi bagliori che anticipano l’aurora penetravano già dalla finestrella e l’adhān dell’alba risuonava per tutto il Rabaḍ, segno che la spiritualità doveva avere sempre la meglio sulle disgrazie. La febbre era scesa e Corrado cominciava a riprendere il controllo dei suoi muscoli. Le scure ecchimosi ai polsi gli ricordavano la causa della sua infermità e l’odio per colui che gli aveva causato quell’umiliazione… proprio a lui, nobile di fiera stirpe indomita.

Corrado aveva sopito il suo animo guerriero in vent’anni di quotidianità familiare. Quella realtà fatta di affetto, di una casa, di genitori amorevoli, di un fidato fratello e di un’amata sorella, aveva ripagato il disagio di essere lontano dalla sua gente, perduto in mezzo ad un popolo che da ragazzino gli avevano insegnato a disprezzare. In quegli anni, l’umiliazione di essere sottomesso all’esattore del Qā’id, a Fuad prima e ad Umar dopo, era stata ripagata dall’amore di Caterina, la madre che non aveva mai avuto.

Corrado adesso si ritrovò col capo dormiente di Apollonia appoggiato sul suo petto. Benché fosse stato ad intermittenza incosciente sapeva bene quanto avesse fatto per lui quella ragazza. Le passò perciò una mano tra i capelli e le accarezzò la guancia e l’orecchio.

Apollonia aprì gli occhi, tuttavia lui non poteva vederla. Era questo tutto ciò che lei poteva pretendere da quella vicinanza: fingere di dormire per godere delle carezze dell’altro. Sorrise immaginando che quelle mani fossero motivate da altri sentimenti, ma quelle briciole erano tutto ciò che poteva avere.

«Ho sete.» disse Corrado pensando a voce alta.

Apollonia a questo punto non poté più fingere di dormire e si rizzò sullo sgabello al quale stava seduta.

«Vado a prenderti dell’acqua.» rispose fin troppo velocemente, generando nel fratello il sospetto che in realtà non stesse dormendo.

«No, lascia che la prenda nostra madre. Tu resta qui.»

Perciò lo sguardo di Corrado si soffermò sul viso di Apollonia: un grosso livido ancora arrossato partiva dall’angolo della sua bocca e saliva fino a metà della guancia.

«Cosa ti è successo qui?» chiese, sfiorandole il viso.

Apollonia si ritrasse e rispose:

«Non ricordi proprio nulla?»

In realtà Apollonia sperava che Corrado non ricordasse affatto quel particolare... che non si fosse reso conto che Idris l’aveva colpita, affinché non gli andasse il sangue alla testa e ne volesse chiedere conto.

«Chi è stato a farti questo?» domandò ancora Corrado, appoggiandosi alla spalliera del letto.

Apollonia ne uscì combattuta: da un lato avrebbe voluto proteggere Corrado dal suo stesso temperamento, dall’altro non avrebbe mai voluto mentirgli.

«Dopo quello che è successo stanotte, che importa chi è stato?»

Corrado fu di colpo catapultato nella consapevolezza degli eventi a cui aveva assistito la notte prima; adesso tutto gli ritornava alla mente.

«Hanno rapito Nadira!» fece tutto d’un fiato, come se a quella verità vi stesse giungendo in quel momento.

«Lo so, Corrado… lo so… Quella povera ragazza! Fratello, la bellezza è una maledizione di Dio, e l’uomo è uomo! Jala ha visto tutto, gliel’hanno strappata via dalle braccia. Non si fa che parlarne in tutto il villaggio e Michele mi ha raccontato tutto, anche ciò che non sapevo.»

«Umar… quel cane di Umar! L’ho visto con i miei occhi cadere morto.»

«Umar è vivo... e anche la sua famiglia. Sono fuggiti in tempo prima che la casa crollasse su sé stessa. Ma dodici paesani, Corrado… dodici paesani… sono morti per difendere il Rabaḍ!»

Corrado si crucciò per i dodici abitanti del villaggio, ma poi la rabbia verso Umar ebbe il sopravvento.

«Avrebbe fatto bene a morire quel maledetto di Umar!»

«Allora è meglio che non ti dica chi è stato a trascinarlo lontano dalle fiamme mentre se ne stava svenuto e sua madre lo cercava come una disperata nel fumo.»

«Sei stata tu?» chiese furioso, puntandole un dito in faccia.

«No, io non sono stata in grado di trascinare neppure te. È stato Michele, quando è venuto per portarti a casa.»

«Michele!» urlò Corrado, volendo chiedere conto al fratello.

«Sta’ calmo, ti prego! La gente è tutta molto provata, e anche nella nostra famiglia è calato il lutto. Ho visto nostro padre rientrare a casa in lacrime. Abbiamo perso il raccolto di un anno e molti di quei dodici erano pure amici suoi.»

«Michele!» chiamò di nuovo Corrado.

«Finirà male se ci litigherai… Non fare quest’altro torto a nostro padre. Ti prego, Corrado!» lo supplicò lei prendendogli le mani.

«Quale torto gli avrei fatto?»

A questo punto Alfeo e Michele, avendo udito il richiamo di Corrado, misero piede nella stanza.

Apollonia lasciò allora le mani del fratello e si mise subito in piedi, come se quegli altri potessero interpretare con malizia quel gesto d’affetto, come se sapessero dei suoi sentimenti.

«Nessuno si era mai accorto di noi, Corrado, ed ora grazie a te siamo diventati un fetore per tutti i maomettani del Rabaḍ, e soprattutto per la casa di Umar.» spiegò Alfeo con il viso completamente annerito dal fumo.

«È per questo che Michele ha tratto in salvo il nostro nemico ancor prima di trarre in salvo me? Per pareggiare il torto che ho fatto a quello sterco d’uomo?» fece Corrado infuriato.

«È proprio così… Preghiamo Iddio che col gesto di Michele tutto ritornerà com'era prima.»

«Prima che prendessi le vostre difese, padre?»

«Non ti avevo chiesto nulla.»

«Ma quell’uomo vi ha umiliato!»

«Comandano loro; che c'è di strano?»

«Per questo non vi siete degnato di venire mentre me ne stavo lì?»

«Umar lo deve capire che noi non c’entriamo niente col tuo gesto.»

La rabbia di Corrado lasciò spazio alla delusione.

Apollonia si accorse quindi del viso basso del fratello e cercò di rincuorarlo:

«Suvvia… in fondo nostro padre ha ragione. Che pretendevi di fare insultando l’uomo del Qā’id?»

Ma Corrado, invece di starla a sentire, puntualizzò:

«Mio padre, il mio vero padre, sarebbe stato fiero di me, e lo sarebbe stato anche se legato a quel palo ci fossi morto. Voi invece mi rimproverate pure!»

Adesso i toni si surriscaldarono sul serio. Alfeo si indignò gravemente per quelle parole, mentre Michele se ne stava in silenzio poiché sapeva di aver tradito la fiducia della persona che più ammirava.

Caterina sopraggiungeva sulla porta quando il marito fece un passo avanti e sbottò:

«Dov’è oggi il tuo vero padre? Ha preferito farsi ammazzare lasciandoti solo! Per cosa, Corrado, per l’onore? Per non essere umiliati? Sono certo che per la gente come tuo padre queste sarebbero state ragioni più che sufficienti per farsi ammazzare, abbandonando il proprio figlio al suo destino. Tuttavia non sono queste le ragioni per cui il tuo vero padre non ti ha cresciuto… tuo padre si è fatto ammazzare per denaro!»

Corrado a questo si alzò dal letto, ma, accorgendosi di essere nudo, si coprì alla buona con la coperta che aveva addosso; Apollonia intanto si era prontamente girata.

«Era un soldato!» giustificò Corrado.

«Ed io sono un contadino… con un padrone da servire!»

Corrado fece un altro passo verso Alfeo e rispose:

«Per questo da duecento anni leccate i piedi a dei pagani. Comincio a pensare che il gusto della polvere fra i denti vi piaccia. È per questo che la mia gente ha in mano l’altra parte del Faro mentre voi vi fate schiaffeggiare per una tassa non pagata. Roul lo diceva sempre: “Maledetti greci!”.»

Detto questo passò oltre ed uscì di casa.

Si sentiva un verme, soprattutto per l’ultima frase. Quell’uomo con cui litigava era colui che l’aveva accolto e cresciuto al pari degli altri figli e lui ora si mostrava ingrato, sminuendolo nel paragone col padre che invece l’aveva lasciato all’età di nove anni. D'altronde, che cosa pretendeva da quella famiglia che della sottomissione al padrone aveva fatto la propria sopravvivenza? Il cuore di Corrado era indomito di nascita, è vero, ma anche completamente incompatibile con la natura mansueta di Alfeo. Ad un certo punto, mentre se ne stava seduto sotto il fico sul retro della casa, ancora arrotolato nella coperta, arrivò alla conclusione che l’inadatto fosse lui, e che per via del suo carattere avrebbe causato solo problemi a quelle persone che amava più di ogni altra cosa. Faceva freddo e lui non era del tutto guarito, ma fu in quel momento che maturò la decisione di partire. Il cuore gli batté forte dentro il petto e il respiro si fece profondo. Adesso gli ultimi decenni scomparvero; Corrado sentì i suoi ventinove anni come se fossero nove, come se il tempo al Rabaḍ non fosse mai trascorso.

Apollonia venne fuori piangendo, intanto che lui se ne stava immerso in quei pensieri.

«Ancora non ti sei ripreso… entra per favore.» lo pregò.

Corrado tuttavia sorrise compiaciuto per la decisione maturata di getto pochi minuti prima.

«Sono contento che Michele abbia salvato la vita ad Umar.» rispose lui, lasciandola completamente perplessa.

«E adesso cosa c’entra?»

«C’entra perché è arrivato il momento che io mi comporti così come è in uso tra la mia gente. Chiederò conto ad Umar per ciò che mi ha fatto e la farò pagare ad Idris per ciò ha fatto a te. Non credere che io non l’abbia visto stanotte!»

«Così ti farai ammazzare!»

«Poco importa, poiché questo non è vivere… è strisciare!»

«Ragiona, non ci va così tanto male... Prima che Umar colpisse nostro padre non ci avevano mai fatto nulla.»

«Se Umar è improvvisamente cambiato allora lo sono anch’io.»

«E se se la prenderanno con noi?»

«Nostro padre e Michele sapranno discolparsi disconoscendomi, così come hanno fatto in questi giorni.»

Apollonia gli si gettò alle gambe, abbracciandolo.

«Non te lo permetto, a costo di raccontare tutto a nostro padre.»

«Tu non lo farai, sorella, non tu che non mi hai mai tradito.»

Apollonia alzò lo sguardo e lo fissò... Al che lui le accarezzò con un dito lo zigomo.

«La vendetta è una delle rovine dell’uomo. Me lo hai raccontato tu di come la guerra di vent’anni fa non ebbe successo per i cristiani a causa della vendetta di quel tizio.»

«Arduino il longobardo… ma non fu per la sua vendetta che gli eserciti cristiani se ne tornarono al di là del mare; fu perché il suo generale volle umiliarlo pubblicamente… proprio come Umar ha fatto con me.»

Il Cielo Di Nadira

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