Читать книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni - Страница 13

Capitolo 9

Оглавление

Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna e dintorni

Umar invitò tutte le donne della casa a ritirarsi nelle proprie stanze. Spinse delicatamente Ghadda per le spalle, inducendola a recarsi in camera sua, ed elargì una carezza al viso di Jala.

Solo Nadira se ne stava ancora sull’ingresso, desiderosa di spiegazioni.

«Umar, dimmi chi era quell’uomo.»

«Solo un ricco mercante di passaggio che aveva voglia di provocarmi.»

«Non ti sembra strano che si sia messo in viaggio da Qasr Yanna proprio a quest’ora, e che non abbia passato la notte lassù?»

«Evidentemente per vedere “il cielo di Nadira” non si può aspettare l’alba.» rispose sarcastico Umar, pieno ancora di malcelata gelosia.

«Faresti bene ad informare il Qā’id… all’alba! Mi è sembrato di sentire un certo dissenso verso in mio signore Ali.»

Umar la guardò con aria di sufficienza e le disse:

«Adesso t’immischi anche nelle questioni di sicurezza del Rabaḍ? L’adhān della notte è passato già da un pezzo… va’ in camera tua, sorella!»

Nadira a quel punto, mentre l’altro si allontanava infastidito, si ritrovò a fissare l’argilla cotta delle mattonelle.

Pian piano ogni braciere, ogni lume e ogni candela della casa venne spenta, dando fine a quel lungo giorno.

Corrado, ancora legato al palo, aveva smesso già da un pezzo di dare segni di conoscenza, e Apollonia, rannicchiata tra le ginocchia, si era assopita; lei infatti aveva dormito ancor meno del fratello.

Idris, più in là, se ne stava perso ad osservare il cielo stellato, aspettando il momento in cui avrebbe potuto liberare il prigioniero e tornarsene a casa.

Una sorta di botto rombò per il cortile; lo scoppiettio di quello che pareva un fuoco seguì il primo rumore. Apollonia aprì gli occhi e vide un insolito bagliore provenire da presso le stalle. Idris allora cominciò ad urlare, dimenandosi come un pazzo per richiamare l’attenzione di altri. Mezyan intanto scendeva a rotta di collo per le scale del terrazzo, annunciando al compagno di sotto:

«Le stalle hanno preso fuoco!»

«Chiama Umar!»

«Chiama gli altri!»

Mezyan prese a battere come un forsennato sulla porta, mentre Idris corse via per chiamare gli uomini che facevano da sentinelle all’ingresso del villaggio; era stato proprio il Qā’id, infatti, a consigliare ad Umar di far montare la guardia nei punti strategici del Rabaḍ.

Apollonia si mise in piedi e, nel silenzio che precede la tempesta, nel frattempo che Mezyan se ne stava a bussare sulla porta, si guardò attorno. Ombre scure come i demoni dell’Averno si muovevano attorno alla casa e per le strade del villaggio. Aguzzò la vista per rendersi conto se si trattasse degli abitanti del Rabaḍ accorsi per l’emergenza, tuttavia concluse che i compaesani non sarebbero stati così silenziosi e guardinghi nell’avvicinarsi. Si strinse perciò a Corrado, e questi, sentendo il tocco sulla sua pelle, aprì gli occhi.

Umar usciva sul cortile in quel momento, in tempo per assistere al secondo boato, causato dal divampare improvviso di una sostanza infiammabile. Fiamme si elevavano con ancor più rapidità dal tetto del magazzino delle granaglie. Intanto la gente cominciava a venire fuori dalle proprie abitazioni.

Mezyan e un’altra decina di uomini facevano già la spola tra il pozzo più vicino e le stalle. Adesso si cominciarono ad avvertire alcune urla, mentre da altre parti, persino da alcune case, si elevavano altre fiamme; l’intero Rabaḍ prendeva fuoco. Il rumore inequivocabile di ferraglia rese inoltre evidente ciò che stava succedendo: assaltavano il villaggio.

Apollonia afferrò per i fianchi Corrado e raccolse tutte le sue forze per issarlo, in modo che la corda ai suoi polsi saltasse oltre la biforcazione a cui era stata incastrata. Gridò per l’intenso sforzo, quindi finì a terra trascinata dal peso del fratello. Lo sciolse perciò dai legami e l’aiutò a sedersi facendogli appoggiare la schiena al palo. Poi si passò un braccio attorno alla nuca e provò a sollevarlo... tuttavia lui, non essendo in grado di camminare, cadde a peso morto. Corrado urlò, avvertendo intenso dolore alle braccia e alle ginocchia. Apollonia dunque si sentì impotente; avrebbe voluto caricarlo a peso sulle spalle, ma proprio lei, piccola e fragile, non poteva niente. Gli afferrò infine il viso tra le mani e, guardandolo piena di lacrime, gli promise:

«Non ti lascio qui.»

«Va’ a nasconderti!» rispose Corrado, ansimando.

«Vado a chiamare Michele; lui ti porterà a casa!»

Apollonia scappò di corsa, correndo veloce tanto quanto i suoi calzari le permettevano e perdendosi tra le stradine del Rabaḍ.

Corrado, rimasto solo e seduto con le spalle al palo, guardò alla sua sinistra, verso la casa di Umar. Una moltitudine di uomini in quel momento attraversava il cortile, e il rumore della ferraglia, proveniente poco prima dagli isolati del villaggio, sembrava scomparire. Corrado pensò a cosa stesse rischiando sua sorella standosene per strada durante quell’assalto... dunque inorridì al pensiero che non tornasse.

Umar, che in quegli istanti se ne stava presso la stalla, confuso, impotente e soprattutto disarmato, ritornò sul cortile avendo capito la natura della minaccia. Tuttavia un colpo improvviso alla testa lo tramortì facendolo crollare al suolo. Adesso le urla delle donne della casa, forse della servitù, forse delle padrone, si levarono alte, e in poco tempo pure dall’abitazione di Umar cominciò ad innalzarsi del fumo nero. Corrado si guardò attorno terrorizzato, quindi si accorse che per le strade non vi era un solo uomo del Rabaḍ.

Quando gli assalitori vennero fuori dalla casa, due di loro tiravano per le braccia Nadira. Corrado, sentendo le urla, comprese la sua identità ancor prima di vederla.

Quindi, nel buio illuminato dai falò, gli ignoti nemici si avvicinarono proprio al prigioniero, il quale, appoggiata la nuca al palo, ansimava, avendo la febbre alta e molta paura. Corrado allora immaginò che adesso l’avrebbero ucciso, così come avevano fatto con Umar e con tanti altri del villaggio.

«Ehi tu, infedele, mettiti in piedi!» comandò uno di quegli uomini, togliendosi dal volto il lembo di turbante che lo nascondeva.

Nadira spalancò gli occhi: quel tizio era il ricco mercante che poco prima aveva visitato casa sua.

«Non riesco, ammazzatemi seduto!» richiese rassegnato Corrado.

Quell’uomo invece strinse per la nuca Nadira e la costrinse ad inginocchiarsi al cospetto di Corrado.

«Conosci questa ragazza?»

Lui la guardò attentamente; ce l’aveva a nemmeno tre palmi di distanza dal suo viso. Sapeva benissimo chi fosse, gli occhi di Nadira non potevano essere confusi, tuttavia non vedeva il suo viso completo e i suoi capelli scoperti da quando lei, ancora fanciulla, scorrazzava spensierata per il Rabaḍ. Oltretutto Corrado non aveva mai visto la sorella dell’uomo del Qā’id in quello stato: Nadira, vestita dei soli abiti della notte, era una maschera di lacrime.

Corrado assentì col capo. Dunque quel tale che si era presentato come Salim gli disse:

«Va’ dal tuo Qā’id, e digli che se vuole rivedere il suo ultimo gioiello deve ridarmi mia moglie!»

Nadira comprese immediatamente la vera identità del ricco mercante… si trattava di Mohammed ibn al-Thumna, Qā’id di Catania e Siracusa, asceso ad emiro più potente dell’intera Sicilia quando anni prima, senza ormai più un potere centrale, i qā’id si erano scontrati tra loro. Previde immediatamente dove fosse capace di arrivare quell’uomo: immaginò i propri polsi segati proprio come li aveva fatti segare a Maimuna.

Il Qā’id afferrò ancora per la nuca Nadira, inducendola a sollevarsi, e la consegnò ai suoi uomini. Infine costrinse Corrado ad alzare il capo ponendogli il taglio della sua scimitarra sotto il mento.

«Se vuoi farla pagare a chi ti ha trattato così, vieni a cercarmi quando ti sarai rimesso… tu e i tuoi amici incirconcisi.»

A ciò Mohammed ibn al-Thumna lasciò il cortile e poi il Rabaḍ, consapevole che gli incendi del villaggio avevano a quel punto già allarmato le sentinelle di Qasr Yanna, e che suo cognato avrebbe fatto presto ad intervenire.

A Nadira intanto erano state legate le mani con una lunga fune e dell’altro capo di questa la tiravano giù per la strada che scendeva dall’altopiano, proprio come si farebbe con un mulo. Il Qā’id e i suoi si spostavano illuminando il cammino con poche torce e i piedi nudi di Nadira si ferivano tra i sassi e i rovi. Quando poi giunsero al guado del torrente che scorreva sotto il Rabaḍ, precisamente sotto una delle grandi norie, Mohammed ordinò che la ragazza fosse sciolta e, ponendole un fine vestito femminile, la invitò a coprirsi come si conviene alle donne. Quindi, guardando i numerosi uomini al suo seguito, disse:

«Se qualcuno osa mancare di rispetto alla ragazza se la dovrà vedere con me… si tratta pur sempre della promessa di un qā’id, e come tale va trattata!»

A quel punto saltarono tutti a cavallo e si dileguarono verso est. Nadira dovette aggrapparsi ai fianchi di Jamal, l’uomo col grosso medaglione.

Cavalli in gran parte neri andavano tutti nella stessa direzione. Erano suppergiù in cinquanta coloro che li montavano, tutti vestiti con un burnus44 nero e con calzoni del medesimo colore. Avevano visi cupi e parlavano la lingua più comune tra molti mori d’Africa. Nadira riconobbe quell’idioma, era in questo modo che spesso lei si esprimeva in famiglia, però non l’aveva mai sentito parlare tanto fluentemente e con quell’accento così tipico.

I cavalieri spronavano blandamente i propri destrieri e questi, a passo lento, avanzavano sotto la luna formando una lunga processione.

«Signore, chi sono questi uomini? E dove mi portate?» chiese Nadira al braccio destro del Qā’id, non appena ebbe calmato i suoi singhiozzi.

«Sono i tagliagole d’Africa di ibn al-Menkūt. Hanno tradito il proprio qā’id per servirne uno più conveniente. Ma il loro signore di adesso è un amico del mio padrone e gli ha fatto dono dei suoi mercenari perché se ne avvalga in questi giorni.» rispose Jamal.

«E questi stranieri la taglieranno anche a me la gola?» domandò la ragazza con l’innocenza tipica di chi non conosce il mondo e trema di fronte a tutto ciò che è nuovo.

Jamal sorrise e rispose:

«Non temere, al mio signore servi viva.»

Non passò molto che si fermarono nei pressi di un borgo al confine tra le terre controllate da ibn al-Ḥawwās e quelle dominate da ibn al-Thumna. Altri brutti ceffi stazionavano già presso il villaggio, un gruppo di case dall’aspetto molto simile al Rabaḍ di Qasr Yanna. Questi altri, tagliagole della stessa sorte di quelli che avevano devastato il Rabaḍ, resero omaggio a Mohammed, prostrandosi quando lui scese da cavallo.

«Consegna la ragazza alle donne del villaggio e, quando l’avranno rimessa in sesto, rimandala da me.» ordinò il Qā’id a Jamal, e questi rispose accennando un inchino.

Nadira venne condotta alla luce delle torce in una casa modesta, e qui delle donne dai visi tristi si presero cura di lei lavandole i piedi, pettinandole i capelli e dandole da mangiare. Nadira chiese chi fossero e una di queste rispose che tre giorni prima i tagliagole di ibn al-Menkūt avevano catturato il villaggio, uccidendo tutti gli uomini e stuprando ogni donna come rito di iniziazione al loro nuovo stato di schiavitù.

Infine Nadira venne condotta dal Qā’id, il quale soggiornava in una sontuosa tenda issata a lato della moschea.

L’arrivo della ragazza venne annunciato dal suono dei numerosi bracciali, cavigliere e sonagli che le erano stati posti addosso. Gli occhi inoltre erano stati tinti col kajal45, ma quando comparve di fronte a Mohammed questo già si sbiadiva al contatto con le lacrime e rigava di nero gli zigomi fino al mento.

«Vieni Nadira, avvicinati! Nella mia tenda si sta più caldi e comodi. Le notti d’inverno possono essere troppo lunghe quando non si riesce a dormire.» la invitò Mohammed, stando seduto a gambe incrociate su dei cuscini.

Nadira s’introdusse nella lussuosa tenda e, avvicinandosi al fuoco del braciere, esordì:

«So chi sei.»

«Perciò non mi stupisce che mio cognato si sia invaghito di te... Sarebbe stato strano se avesse scelto in moglie una donna stupida!»

«Non puoi immischiarmi nei tuoi affari di famiglia.»

«Vorrai dire nei “nostri” affari di famiglia… cognata! Sai quello che il tuo Qā’id mi ha fatto?»

«Tua moglie ti teme… dopo il male che le hai cagionato.»

«Non è forse nella mia mano la vita e la morte della mia casa e dei miei sudditi?»

«La vita di ognuno è nella mano di Allah, non nella tua.»

«Ma Allah ha i suoi disegni, e questi non possono essere cambiati. Se con Maimuna è successo quello che è successo non è forse anche Sua volontà?»

«Dunque anche il fatto che non voglia tornare da te è Sua volontà… accettalo e lasciami andare.»

Mohammed rise e spiegò:

«Nascono diverse sorti di uomini al mondo: vi è chi il proprio destino lo subisce e vi è chi dal destino viene usato per cambiare i tempi, le stagioni e i popoli. Io nobile ci sono nato, e nella mia Siracusa ho saputo farmi grande per poi prendermi mezza Sicilia. Faccio un servizio ad Allah e al Suo imperscrutabile destino, essendo al mondo per cambiare i tempi, le stagioni e i popoli. Non esiste male… non esiste bene, ma solo la volontà di Allah.»

Nadira allora cadde sulle sue ginocchia e col viso a terra lo implorò:

«Ti prego, mio Signore, mia madre gridava quando mi hai strappato dalle sue braccia, e la casa era invasa dal fumo… Fammi andare ad assicurarmi della sua salute, e poi ritornerò da te.»

«Se rivedrai tua madre dipenderà solo da Ali, il tuo Qā’id.»

Nadira perciò alzò lo sguardo, restando comunque inginocchiata.

«Non farmi restare; gli uomini di cui ti circondi sono infidi e criminali… hanno fatto molto male alla gente che vive in questo villaggio.»

«Non ti faranno nessun male, non temere. La sorte di una sposa illustre non può essere paragonata a quella delle comuni villane date per il sollazzo dei soldati.»

«Ma tu fai schiave perfino le nostre sorelle, e questi tuoi soldati hanno massacrato tutti gli uomini!»

«Non tutti… ho lasciato rimanere i contadini cristiani. Circondarsi di infedeli paga molto, visto che riempiono lautamente le mie tasche con la tassazione della jizya. Gli iqlīm orientali, pieni di incirconcisi e giudei, sono una miniera d'oro per le tasche di chi comanda.»

«E lo paghi col denaro della jizya quest’esercito di mercenari?» chiese Nadira con la stessa irriverenza che mostrava con Umar. Adesso infatti capiva che le suppliche non potevano trovare accoglimento nel cuore roccioso di Mohammed.

Lui la fissò attento e serio, quindi rispose:

«Se non fosse per lo scopo per cui ti ho preservato, se non fosse per i tuoi occhi e la tua bellezza, mia cara Nadira, li farei segare anche a te i polsi… e ancor peggio ti farei tagliare quella lingua intromettente. Sei mia prigioniera, ricordalo! Non esiste persona a questo mondo la cui vita possa essere spezzata quanto la tua… un filo di cotone arso dal fuoco che si sfalda al tocco della mia mano.» disse e mimò Mohammed, sfregando indice e pollice tra loro.

«Ti presenterai al mio cospetto sempre al meglio delle tue fattezze; per il piacere dei miei occhi. Non ti permetto di piangere se così rovini il tuo volto. Non ti permetto di digiunare se così smagrisci le tue forme. Se indosserai o no il jilbāb46 in mia presenza sarà solo per mia volontà. Ma non temere, proteggerò il tuo onore, da me e da chiunque altro, affinché Ali non ti disprezzi e ti rifiuti perché non sei più vergine. Il tuo Qā’id è un pezzente, uno schiavo che si è fatto strada con la lusinga e le promesse, ma saprebbe rinunciare alla sua villana se questa non sapesse dargli ciò che spera di prendersi la prima notte. Tu e la tua verginità valete ancora troppo come contropartita da offrire in cambio di mia moglie. Ma se Ali si mostrerà ottuso, allora gli scatenerò contro le forze dell’inferno, devasterò le sue terre, massacrerò i suoi sudditi, porterò via le donne dalle sue città per farne delle schiave e soprattutto farò di te quello che mi aggrada. L’attacco al tuo villaggio è stato indolore per molta gente, poiché rapido e con l’unico scopo di rapire la ragazza dagli occhi zaffiro, ma se Ali non mi ascolterà, allora molti soffriranno e dovranno inchinarsi al loro nuovo Qā’id… se vorranno continuare a vivere.»

«Ibn al-Ḥawwās saprà riscattarmi dalle tue mani, ne sono sicura. E mio fratello…»

«Tuo fratello è morto! L'ho visto io stesso cadere. Ha avuto quel che si meritava, quel leccapiedi!»

Nadira si gettò sui cuscini e prese a piangere più forte.

«Umar… Umar!» chiamò disperata, piena di dolore e di dispiacere per averci litigato per un giorno intero senza mai potergli dire quanto lo amasse.

«Tuo fratello era un brav’uomo. Sono sicuro che in Paradiso avrà il trattamento riservato ai martiri. Però non piangere, Nadira.» rincuorò cinicamente Mohammed.

«Non piangere!» ripeté poi urlando, rivelando che ciò che gli interessava fosse soltanto che lei la smettesse di piagnucolare.

«Non sopporto questo frignare in mia presenza.» concluse infine.

«Ti prendi cura di me e mi inviti nella tua tenda; ma come pretendi che io stia tranquilla al sentire queste parole? Addirittura mi chiedi di non piangere...»

«Io non desidero la tua serenità, io pretendo che tu finga al mio cospetto. La prossima volta che ti convocherò sorriderai. È un ordine! Adesso vai. Rimarrai con le donne, ma Jamal ti terrà d’occhio.»

Nadira venne riaccompagnata dalle donne che prima l’avevano truccata, e queste, recluse come lei tra quelle quattro mura, cominciarono ad odiarla in quanto, come credevano, rappresentava la ragione di quella guerra e della loro sventura.

Il Cielo Di Nadira

Подняться наверх