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CAPITOLO 3

Il mondo dei libri

Dopo la morte di Frida rimanemmo solo in quattro, e per andare e tornare da scuola preferivamo camminare sul lato della strada opposto alla sua abitazione. Passando davanti a un edificio, sentivamo una ragazza tossire molto forte. Io non l’avevo mai incontrata, ma Blanche la conosceva: si chiamava Jacqueline. Dopo una lunga degenza presso un sanatorio, era stata dimessa perché incurabile. Era più grande di noi e aveva la tubercolosi. Volevamo informarci meglio su questa malattia, così, siccome ero io “l’infermiera”, promisi alle mie compagne di fare delle ricerche in un manuale medico.

Per accedere all’ultimo ripiano della libreria a muro del papà, mi arrampicai sullo sgabello, il più in alto possibile. Il cuore mi batteva così forte che ne percepivo le pulsazioni alle tempie. Con mano tremolante afferrai Il medico in famiglia, il grosso libro dalla copertina di cuoio rosso. Preferii leggerlo rimanendo appollaiata lassù, così, non appena avessi sentito la mamma depositare gli attrezzi da giardinaggio in cantina, avrei avuto il tempo di riporlo, scendere, e richiudere e sistemare lo sgabello al suo posto.

Una vocina mi suggerì: “Non hai chiesto il permesso!” Pensai: “Se glielo chiedessi, la mamma mi risponderebbe con un secco ‘no!’, ma, siccome sono ‘l’infermiera’, devo imparare a tutti i costi. Visto che i miei genitori mi hanno proibito di leggere perfino quel libro che chiamano ‘Bibbia’, non posso correre lo stesso rischio!” Era particolarmente elettrizzante prendere decisioni senza dover chiedere il consenso a qualcuno. Quelle letture clandestine mi eccitavano all’inverosimile.

Il dizionario medico divenne la mia lettura preferita. Mi sarebbe piaciuto ricopiarne le illustrazioni, ma il pericolo di farmi scoprire era troppo alto. Ero affascinata dai termini complicati e dalle descrizioni delle malattie, che spesso terminavano con: “… e ne consegue il decesso”.

“Niente può succedere se non è voluto da Dio”, ci ripeteva il prete. “È lui a decidere l’ora della nostra morte”. Stando alle mie letture ci mandava dei mali orribili e spaventosi. Non comprendendo tutto quello che leggevo, mi necessitavano ulteriori chiarimenti per poter rispettare la promessa fatta alle mie amiche. Decisi dunque di interpellare la mamma, alla quale domandai con disinvoltura: “Mamma, che cos’è la tubercolosi?”

“È una malattia. Ma perché una simile domanda?”

Dovevo prestare molta attenzione alla mia risposta. “Ne abbiamo parlato quando siamo passate davanti alla casa di Jacqueline. Secondo Blanche non può più andare a scuola”.

“Esatto. Ha proprio la tubercolosi e quando accudiva Frida neonata, la malattia era già in corso”.

“È stata lei a passarla a Frida?”

“Probabilmente sì. Si dice contagio. Sai, Simone, se ti proibisco di sederti sul marciapiede, non è solo perché i cani ci fanno i loro bisogni, ma anche perché a volte persone malate sputano per terra”.

“È vero. Ho letto che potrebbero sputare i polmoni”.

“Che cosa?”

“Ho detto che ho sempre paura che sputino i loro polmoni. Era questa la malattia di zio Louis? È morto di tubercolosi?”

“Sì”.

“Allora l’ha beccata anche zia Eugénie?”

“No, grazie a Dio!”

Feci tesoro di queste nuove indicazioni e, una volta a scuola, avvertii le mie compagne di non raccogliere mai niente per strada, perché rischiavano di imbattersi in pezzi di polmoni. Come “infermiera” era mio dovere infondere in loro il mio stesso timore della tubercolosi.

Arrivarono infine le vacanze estive e anche il papà ebbe le ferie, le prime da quando aveva iniziato a lavorare. “Sono obbligato, la fabbrica chiude per due settimane”. Il governo francese aveva infatti ceduto alle rivendicazioni degli scioperanti e aveva promulgato una legge che imponeva la chiusura delle fabbriche una volta l’anno, concedendo agli operai ferie retribuite. Speravo che quella pausa forzata contribuisse a migliorare l’umore di mio padre.

In effetti aveva trovato un nuovo argomento di conversazione.

“Emma, che ne dici di comprare delle biciclette?”

“Possiamo permettercelo?”

Mi tornò allora in mente la mia bambolina da cinque franchi.

“È vero che bisognerà prendere questi soldi dai nostri risparmi e non ne sono molto entusiasta, perché può sempre capitare un imprevisto. D’altra parte le biciclette sarebbero una specie di investimento che permetterebbe alla nostra famiglia di fare escursioni in montagna”.

Le due biciclette nuove fiammanti fecero colpo sul vicinato. Erano di un bel rosso scuro, avevano un profilo dorato ed erano dotate di tre marce. Ognuna era equipaggiata di un seggiolino per me, uno fissato sulla sbarra del papà, l’altro sul portapacchi della mamma. Sarei stata col papà per salire i pendii e con la mamma per discenderli. Organizzammo un’escursione verso i laghi di Longemer e Gérardmer, e venni a sapere che avremmo dovuto portare con noi mio cugino Maurice. Che noia!

Maurice, un giovanotto di quattordici anni, aveva occhi di ghiaccio e capelli biondi. Non smetteva mai di vantarsi. La mamma parlava di lui come di un “povero orfano”. Dopo la gita ai laghi, prima di rientrare a Bergenbach, l’avremmo riaccompagnato a casa sua. Non mi lasciarono scelta, dovetti adattarmi.

Trovai però una tattica per fargli abbassare la cresta. Lo imitavo in tutto senza mai lamentarmi, anche se ero costretta a correre o ad arrampicarmi; anzi, quando diceva di essere stanco, esclamavo: “Ah, sì? Io no!”

A casa dei nonni dissi a mia cugina Angèle: “Da questo momento sarò un maschio”. Questa novità la lasciò sbalordita! Per dimostrarglielo, mi arrampicai senza indugio sul ramo più alto del mirabolano e feci cadere dei frutti maturi e dorati. Purtroppo, nel tentativo di scendere, il vestito si impigliò e mi ritrovai sospesa a dondolare, fino a quando il tessuto si lacerò. Feci un volo spettacolare e atterrai rudemente sulla pancia. Angèle scappò via gridando. Joly, il giovane pastore tedesco della fattoria, si precipitò su di me a mordicchiare e fare a pezzi gli ultimi brandelli del mio vestito, evidentemente per giocare. Mi rialzai lentamente tutta indolenzita. Un ragazzo non piange, vero? Strinsi i denti e, piegata sotto il peso del paniere riempito di mirabelle, rientrai come se niente fosse.

Nella fattoria della nonna tutti gli animali dovevano avere un bell’aspetto, altrimenti venivano venduti. Joly era un cane magnifico, tutto muscoli. Era un peccato – pensavo – che servisse soltanto ad abbaiare, mentre il nonno e zio Germain si affannavano a trasportare giù dalla montagna una voluminosa massa di fieno sulla loro slitta, una specie di grande veicolo di legno costruito da Germain.

“Angèle, dovremmo abituare questo cane a trainare la slitta e poi potremmo anche caricarla”.

Acchiappammo Joly, portammo la slitta sulla collina dietro la fattoria e gliela agganciammo. All’inizio rifiutò di muoversi e, per farlo camminare, fummo costrette a tirarlo. Quando si rese conto che qualcosa lo seguiva, si mise a correre all’impazzata giù per il pendio. Angèle e io ridevamo a crepapelle, ma il nostro divertimento si trasformò in panico quando vedemmo Joly precipitarsi lungo la scala di pietra che si trovava fra il laboratorio e la fattoria. La slitta sbatté contro ognuno degli otto gradini con un fracasso spaventoso. Tutta la famiglia accorse, eccetto zio Germain che, naturalmente, non riuscì a sentire e continuò a segare la legna. Joly cercò in tutti i modi di liberarsi del suo fardello. Disperato, con gli occhi di un folle e la lingua penzolante, saltò nella fontana di granito; la slitta si sfasciò e l’acqua schizzò fuori della vasca. Come punizione per quella che definirono “una stupidata”, gli adulti ci mandarono a letto. Anche se geniale, la nostra trovata da bambini non venne affatto presa in considerazione.

♠♠♠

La mamma tolse dalla sua borsa un grosso libro con la copertina nera ed esclamò: “Guarda che cosa ho comprato, una Bibbia cattolica!”

“Che cos’è una Bibbia?”

“È il libro in cui Dio ha depositato la sua Parola e contiene saggi consigli per la nostra vita”. Cercai di leggerlo, ma i caratteri erano troppo piccoli e incespicavo sulle parole.

“Te la leggerò ogni mattina a colazione”. La mamma aveva finalmente deciso di non trattarmi più come una bambina!

“Siediti accanto a me”, mi disse ritornando al risguardo, dove erano in bella mostra le firme di vescovi e di cardinali. “Vedi? Questa Bibbia è stata stampata con l’autorizzazione della Chiesa e del Papa. Ogni parroco ne possiede una copia. Il papà non ci proibirà di consultare la Bibbia cattolica, non trovi?”

“Sicuramente no”.

“La metterò qui, vicino alla radio. Non la nasconderemo, vero?”

“No, così anche il papà potrà leggerla”.

Ma non lo fece.

Quando il papà lavorava con la squadra del mattino, la mamma me la leggeva mentre io assaporavo una fetta di pane con burro e marmellata, e sorseggiavo una cioccolata calda che riempiva l’appartamento di un gradevole profumo. A volte rileggeva un versetto o due. “Ricordati questo!”, aggiungeva. Oppure: “Hai compreso bene quest’altro?” Poi, per aiutarmi a memorizzare il tutto, ripeteva qualche parola del passo in questione. Nei giorni di lettura biblica avevo sempre qualcosa di speciale da raccontare alle mie compagne di classe.

Iniziai a sospettare che il papà fosse ammalato e anche contagioso, perché da qualche tempo cercava di evitarci e schivava i vicini. Tutto ciò mi teneva sulle spine. Giorno dopo giorno la mamma gli preparava i suoi piatti preferiti, ma puntualmente si ripeteva la stessa scena. Cupo, alzava la mano in segno di rifiuto e diceva con voce dura: “Mettimene di meno, non ho fame”.

Ero sconcertata! Il papà sembrava vivere di sigarette. Per di più dopo pranzo lasciava rapidamente la tavola per andare a fumare un sigaro e ascoltare le notizie alla radio. Zita lo guardava come per sollecitare una carezza, ma lui non si curava affatto dei suoi occhioni imploranti. Quando arrivava il momento di portarla fuori, però, l’accompagnava sempre lui per delle interminabili passeggiate.

Le gioiose conversazioni familiari erano finite. I miei genitori non avevano più niente da dirsi, neanche quando si trovavano da soli. Questo confermava le mie supposizioni: il papà doveva essere gravemente ammalato! Quando usciva sul balcone, restava dietro la tenda, così poteva salvarsi dagli interrogatori della signora Huber, la nostra vicina tanto curiosa. Avevo l’impressione che ora gli altri inquilini evitassero la nostra famiglia, come se fossimo tutti contagiosi.

A scuola la mia popolarità calò notevolmente e persi il mio carisma. Le mie amiche mi schivavano e non sembrarono più interessate alle mie informazioni. “Poco importa!”, mi dissi. La mamma mi ripeteva spesso: “Se vuoi diventare una vera signora non puoi conformarti agli altri”. Ecco un altro dei miei obiettivi: da grande, avrei anch’io calzato scarpe di coccodrillo, portato una collana a tre fili e indossato dei guanti.

La mamma voleva aiutarmi a raggiungere il mio obiettivo e per questo la trovavo meravigliosa. Un giorno andammo in un negozio di stoffe ad acquistare l’occorrente per un nuovo mantello da indossare la domenica. La commessa ci mostrò parecchi tessuti e puntualizzò: “Sono i più richiesti di quest’anno, se li contendono tutte ”.

La mamma si abbassò verso di me. “Scegli, Simone, però non sentirti obbligata a fare come le altre. Devi essere te stessa! Non c’è che una Simone Arnold e i tuoi gusti sono unici. Vuoi essere una signora? Ricordati che le signore dettano la moda, non la seguono. Hanno personalità”.

La commessa, una donna di una certa età, ci guardava stupita e con la bocca spalancata. “Speriamo che non vi entri una mosca!”, commentai fra me.

“Sei molto giovane per decidere da sola”, riuscì finalmente ad articolare. Come poteva darmi della bambina? Avevo sette anni.

“Devi solo tener conto della qualità e del prezzo”, aggiunse la mamma.

“Potete mostrarci questa, quella e l’altra laggiù, per piacere?”, dissi indicando alcune stoffe.

La mamma si informò sui vari prezzi. “Simone, l’ultima è troppo costosa. Non vorrai che tuo padre lavori una settimana intera solo per il tuo mantello, vero?” La fece rimettere sullo scaffale. “Puoi scegliere fra le altre due”. Era veramente avvincente! Mi sarei vestita a mio piacimento. Che soddisfazione potermi distinguere dalle altre!

“Non vi farete idoli”. “Essi hanno occhi, ma non possono vedere, hanno orecchie, ma non possono udire… Coloro che in essi confidano diverranno proprio come loro”, così recitava il passo della Bibbia che la mamma mi aveva appena letto. Ancora prima che lo ripetesse, abbandonai la tazza di cioccolata bevuta per metà, tolsi dalla mia collana e dal mio bracciale le medaglie della Vergine, corsi a gettarle nel gabinetto e tirai lo sciacquone. Poi mi precipitai in cameretta per smantellare il mio piccolo altare. La mamma rimase inchiodata sulla sedia, ammutolita per la profonda emozione. Appena tornai per terminare la colazione, lei mi disse: “Avremmo potuto regalare le medaglie d’oro ad Angèle”.

“Mamma, Dio proibisce di fare degli idoli. Anche Angèle commetterebbe un peccato se le portasse”.

Il giovedì non c’era lezione, perciò potevo attendere il papà al suo rientro dal lavoro. Per una ragione inspiegabile andò dritto verso la mia cameretta; lo vidi diventare improvvisamente pallido, come il giorno in cui era stato quasi folgorato da un fulmine alla fattoria dei nonni. Vederlo in quello stato, mi spaventò. Poi si diresse in silenzio verso la cucina, dove la mamma gli stava preparando il pranzo. Preferii non seguirlo perché l’espressione del suo viso lasciava presagire una tempesta.

“Dov’è l’altare di Simone?”, domandò con voce tagliente. La mamma, senza smettere di cucinare, gli rispose con calma:

“L’ha fatto a pezzi”.

“Gliel’hai detto tu?”

“Assolutamente no! Le ho solo letto certe leggi di Dio nella Bibbia”.

“Mi avevi detto che non le avresti mai insegnato le tue idee. Me lo avevi promesso!”

“Adolphe, si tratta di una Bibbia cattolica! E poi Simone ha agito senza neppure lasciarmi terminare la lettura. Non ti capisco. Non ti è mai piaciuto il suo altare con le immagini sacre e le candele. Allora dimmi, sì, dimmi perché adesso dai in escandescenza?” E, riprendendo il suo piatto, aggiunse: “Te lo riscaldo. Per favore, devi mangiare, fallo per noi!” Il papà borbottò fra i denti qualcosa che non capimmo, ma la bufera sembrava essersi momentaneamente calmata. Da parte mia continuavo a pormi domande, ma per il momento rimanevano senza risposta. Per quale ragione il papà si era irritato tanto? Forse perché le statue erano costate care e aveva dovuto lavorare a lungo per pagarle? La sua reazione mi aveva fatto molta paura!

♠♠♠

In quel nebbioso pomeriggio di ottobre avevamo un appuntamento con zia Valentine. Era una distrazione gradita che mi avrebbe permesso di sfuggire all’atmosfera pesante che si era creata in casa. Zia Valentine ci aspettava alla fermata del tram di Porte Jeune. Per riscaldarsi portava al collo una pelliccia di volpe dagli occhi di vetro che diffondeva una scia di canfora. Angèle non c’era.

Voleva farmi un regalo di mio gradimento. La mamma voleva trovarne uno per mia cugina. Scelsi un astuccio da cucito.

L’aroma delle castagne calde profumava l’aria del quartiere commerciale di Mulhouse. Sulla strada di ritorno, all’angolo della Rue du Sauvage, un uomo muoveva avanti e indietro sulla brace un’immensa padella di ferro. Poi, mentre le castagne arrostivano, preparava dei cartocci con fogli di giornale. Zia Valentine gli porse una moneta e ricevette in cambio delle caldarroste appena abbrustolite e impacchettate, tutte per me. Che pomeriggio meraviglioso! Mi ero completamente dimenticata l’umore tetro del papà.

Ci affrettammo a rientrare prima del tramonto. Ero entusiasta del mio regalo, il primo ricevuto da zia Valentine e per di più l’avevo scelto proprio io! “Mamma, anche il papà sarà contento del mio regalo, vero?”

“Sicuro, ma cerca di capire che è molto stanco. Hai visto che ultimamente non ha giocato con te? Non ce la fa neanche più a controllare i tuoi compiti! Sarebbe meglio che lo lasciassi tranquillo questa sera e andassi direttamente nella tua stanza a chiacchierare con Claudine”.

Mi precipitai pazza di gioia su per le scale del palazzo, come fossero un’unica rampa. Scartai con foga il regalo, poi gridai: “Guarda che cosa ho ricevuto papà!” Era seduto inerte sulla sua poltrona. Eppure diceva sempre che solo gli sfaticati e i morti restavano in ozio! Gli mostrai il regalo.

“Mm hum”.

“Guarda com’è carino, papà!”

“Mm hum”.

“Me lo ha comprato zia Valentine”.

“Ah sì?”

“L’ho scelto io, però”.

“Bene, bene”.

Un cenno della mamma mi fece comprendere che avrei fatto meglio a non insistere.

Allora andai dalla mia bambola per mostrarle l’incantevole astuccio da cucito ricoperto di stoffa a fiori: conteneva delle graziose forbicine e dei rocchetti di filo di tutti i colori. Lei, per lo meno, aveva l’aria interessata!

Una cappa di silenzio pesava sulla nostra casa. La mamma rinunciò al dialogo con un marito che aveva deciso di tacere. Immaginavo che la malattia del papà si fosse aggravata. La mia stanza mi sembrava stranamente vuota. Solo l’innocente bambola in miniatura seduta sulla mensola era sfuggita alla mia furia distruttiva. Messa così in bella vista, mi trasmetteva un accresciuto sentimento di sconforto: era un richiamo solenne e permanente alla mia coscienza. La mamma non mi aveva ancora permesso di spostarla. I giorni tristi si susseguivano come un corteo interminabile.

A scuola la signorina accettò con aria indifferente le mie dalie e le ripose in una vecchia brocca sul davanzale della finestra. Forse non le piacevano più? Prima, quando gliene offrivo un mazzolino, mi ringraziava con un sorriso e le sistemava in un grazioso vasetto. Adesso i miei fiori non le davano più la gioia di una volta. Doveva essere ammalata anche lei.

Un sole debole e pallido fece finalmente la sua comparsa dopo lunghi giorni grigi. Un timido raggio illuminava un pacchetto posato sulla tavola del salotto. La mamma me lo indicò nel togliermi la cartella. “Tuo padre ha ordinato un libro dagli Studenti Biblici a Strasburgo4 Ça, c’est une surprise . Che sorpresa! Ma noi non gliene parleremo, può darsi che desideri leggerlo in segreto”. Sottolineò le sue intenzioni portandosi un dito sulle labbra e, per farmi ben comprendere l’importanza di tacere sull’argomento, mormorò con aria complice: “Sst!”

4 Associazione Internazionale degli Studenti Biblici che nel 1931 assunse il nome di Associazione dei Testimoni di Geova.

Il papà lavorava di mattino. Al suo rientro vide il libro ed esclamò: “Guarda questi, c’è da pensare che abbiano fretta! Ho scritto loro appena due giorni fa!”

Il pacchetto rimase chiuso per giorni e giorni. Lo sguardo della mamma mi intimava di aspettare pazientemente e in silenzio.

♠♠♠

Mi era proibito correre ad aprire quando qualcuno bussava alla porta. Spesso la mamma mi aveva raccomandato: “Sei una bambina ben educata. Non devi aprire a meno che non te lo dica io!” Non avevo nemmeno il permesso di rimanere nel corridoio, “perché è poco gentile mostrarsi curiosi e fissare gli ospiti”. La mamma non sapeva però che io avevo escogitato un rimedio eccezionale: dalla sua camera lo specchio del corridoio mi permetteva di tenere d’occhio quelli che si trovavano nel salotto o che vi passavano davanti. Con questo stratagemma potevo saziare la mia curiosità senza conseguenze!

Prima che la neve isolasse per lunghi mesi Bergenbach, zio Germain venne a trovarci un’ultima volta. Gli corsi incontro entusiasta di rivederlo. Uno sguardo eloquente di mia madre mi fece battere in ritirata, ma accese sia la mia curiosità che la mia diffidenza. Ecco che ricominciavano a complottare! Zio Germain era carico di pesi. Attraverso la cucina la mamma lo condusse alla chetichella sul balcone, dove lei depositava le provviste fino alle prime gelate. Sistemato il tutto, lei mi disse: “Divieto di uscire sul balcone! Ordine del papà!”

“Il papà non finisce mai di metterci dei limiti – mormorai – un giorno è permesso, il giorno dopo è proibito… Gli adulti cambiano continuamente opinione!”

Le noci e le meravigliose mele rosse di zio Germain diffusero nell’appartamento l’odore di Bergenbach. Iniziai a solleticare lo zio che si mise a ridere di gusto, tutto sorpreso. Improvvisamente, vidi dalla finestra un abete sistemato sul nostro balcone. “Che ci fa lì?”, mi domandai. Trovai la risposta da sola: i miei genitori avevano deciso di occuparsene personalmente per venire in aiuto a Gesù Bambino che era troppo impegnato. Ricordai infatti che l’anno precedente si era dimenticato uno dei miei regali, così lo aveva consegnato in seguito a casa dei Koch, dove sapeva che ero stata invitata. Ad ogni modo non mi spiegavo perché avessero fatto arrivare l’abete tanto in anticipo.

♠♠♠

Un giorno, annunciai ai miei genitori che, invece di andare in chiesa, sarei rimasta a casa con la mamma. Lei mi guardò sorpresa e il papà mi domandò con voce severa:

“E perché non ci andrai?”

“Perché non sono cattolica!”

Lui replicò in tono perentorio: “Fino a quando avrò voce in capitolo, sarò io a stabilirlo! Prendo io le decisioni che ti riguardano”. La mamma lo sostenne prontamente: “Simone, corri a vestirti e accompagna il papà!”

Sotto l’ombrello avanzammo contro il vento di tramontana e la pioggia fredda di novembre.

“È stata la mamma a dirti che non sei più cattolica?”

“Assolutamente no! Sono i miei compagni di scuola”.

“Parli di religione con loro?”

“Sì”.

“Allora la mamma te ne parla?”

“Sì. Ogni giorno mi legge un passo della Bibbia, sai, il libro del parroco”.

“E non fa nient’altro?”, domandò mio padre dubbioso.

“No. Di tanto in tanto rilegge le parole una o due volte, per aiutarmi a ricordare esattamente come sono riportate nella Bibbia cattolica”. Allora il papà tacque.

“Papà, è vero quello che dicono le mie amiche, che non sono più cattolica?”

“Sei cattolica e, credimi, farò in modo che tu rimanga tale!”

Durante la messa fui insolitamente irrequieta. Ovunque posassi lo sguardo, non notavo altro che ‘occhi che non potevano vedere e orecchie che non potevano udire’. Le statue dei santi e degli angeli mi suscitavano interrogativi: Dio proibiva gli idoli, eppure la sua casa ne era piena! Giunsi alla conclusione che Dio era come i miei genitori: “Non toccare la padella!”, ma loro lo facevano; “Non salire sullo sgabello!”, ma loro lo usavano regolarmente.

Nonostante il clima glaciale, al rientro il papà imboccò il cammino più lungo. “È per non essere disturbati da nessuno”, sostenne.

“Perché le tue compagne asseriscono che non sei cattolica? Che cosa glielo fa pensare?”

“È perché ho rifiutato di recitare una poesia con la mia bambola”.

“E questo, adesso, che cosa significa?” La sua voce era di nuovo tesa.

“Abbiamo dovuto recitare una poesia con sentimento, facendo muovere la nostra bambola come se parlasse. La signorina mi ha domandato di ripetere la terza strofa, la preghiera della bambola. Mi sono rifiutata”. Gli occhi del papà diventarono cupi e il suo viso assunse l’espressione inquisitoria che mi era familiare.

“È stata la mamma a dirtelo?”

“Oh no! Non ha mai sentito questa poesia”.

“E allora?”

“Semplicemente non potevo farlo”.

“Ma perché no?”, si fermò per guardarmi in faccia.

“Claudine non ha un cuore, è incapace di rivolgersi a Dio. Non va bene fingere di pregare. Claudine non può pregare, ‘ha delle orecchie che non possono udire e dei piedi che non possono camminare’. È solo una bambola, papà, e le bambole non pregano”. Questa risposta mise momentaneamente fine alle sue domande sospettose.

A casa fummo accolti da uno dei più appetitosi profumi. La mamma aveva preparato il piatto preferito del papà: crauti di Bergenbach e, per dessert, una torta di Linz, una specialità ai lamponi. Il papà mangiò di malavoglia; evidentemente era ancora ridotto male. Poi si alzò da tavola per andare a fumare e a bere il caffè nel salotto. Zita non cercò neppure di stendersi ai suoi piedi che lui spostava di continuo e nervosamente. Appena la mamma si sedette accanto a lui, il papà sbottò: “Insegni le tue idee a Simone a mia insaputa!” Questo era troppo, era necessario che prendessi le difese della mamma! Non sopportavo più l’atteggiamento insensato di mio padre!

“Non giocherò mai più con te. Ti rifiuti persino di credere alle mie parole. Non verrò più con te in chiesa!”, urlai e, battendo i piedi per dare più enfasi alle mie intenzioni, pronunciai chiaramente: “Non sono più cattolica!”

Il papà si rizzò in tutta la sua altezza, “rigido come la Giustizia”. Con voce inflessibile e un gesto imperioso in direzione della mia cameretta, impose: “Specie di piccola peste! Va’ immediatamente là dentro e calmati! Per oggi non voglio più vederti!”

Obbedii, ma, quando aprii la bocca per rispondere, lui gridò: “Non una parola di più o ti do una sculacciata!” Non si mosse fino a quando non sparii dalla sua vista. Ero molto in collera. Mi sedetti sul tappeto e, appoggiata contro il letto, scoppiai a piangere, non perché ero stata punita, ma perché non avevo potuto dirgli tutto quello che avevo nel cuore.

In salotto il tono della voce si alzò. Le parole si sovrapponevano così rapidamente che non riuscivo a capire tutto. Sentivo quello che diceva il papà quando passava davanti alla porta e, di tanto in tanto, mi giungevano frammenti del discorso della mamma.

“Adolphe, la tua irragionevolezza mi sbalordisce. Perché non leggi la Bibbia cattolica per verificare da te stesso?”

Le rispose in tono quasi sprezzante: “Guardate la signora ‘So-tutto-io’! Da quando leggi la Bibbia, ti credi una sapientona, non è così?” Ero furiosa! Mai avevo sentito un discorso simile!

La mamma insisté: “Rispondi solo a una domanda: perché i preti non insegnano quello che dice la Bibbia?” Sussultai dallo stupore.

“I preti ricevono una formazione che dura anni. Sono i guardiani della tradizione. Sanno quello che deve essere insegnato. Tu, chi sei tu in paragone? Hai abbandonato la scuola a dodici anni!” Che umiliazione! Com’era cambiato il papà! E io non avevo nemmeno il diritto di uscire dalla mia cameretta per esporgli la mia opinione! La mamma, con voce calma e determinata, decise infine di passare al contrattacco.

“Adolphe, leggo il francese bene quanto il tedesco. Quando trovo nella Bibbia queste parole di Gesù: ‘Non chiamate nessuno padre vostro sulla terra’ o: ‘Il Padre nei cieli è maggiore di me’ o ancora: ‘Voi siete amici miei se osservate i miei comandamenti’, sono veramente necessarie delle spiegazioni? Hai bisogno di qualcuno per capirle?”

Applaudii silenziosamente. “Ben detto, mamma!”

“Ascolta, quando Gesù disse a suo Padre: ‘Rimetto il mio spirito nelle tue mani’, parlava forse a se stesso? E dov’è il terzo elemento della pretesa Trinità?”

“Taci, con i tuoi benedetti versetti biblici!” Come osava parlare così della Bibbia cattolica? Si precipitò furioso fuori di casa con Zita alle calcagna. Allora la mamma mi portò una fetta di torta e una tazza di tè.

“Che cosa fai di bello?”

“Niente di niente”, mormorai fra i denti.

“Non ti preoccupare. Continuerò a leggerti dei passi della Bibbia, ma è necessario che tu rispetti il papà. Non devi far altro che confrontare quello che leggo con quello che dice il parroco. Così potrai scegliere da sola”. Ritornò nel salotto: “E se adesso tu giocassi con la bambola?”

Ero molto infelice. Non avevo voglia di ubbidire al papà, anche se la mamma me lo aveva ordinato. Era un vero dilemma.

Un po’ più tardi, il papà rientrò ancora in collera. Sentenziò sdegnato: “Esaminerò l’opera di questi ‘Studenti Biblici’, questi ‘Geova’”. E, con una risata sarcastica, aggiunse: “Sono sicuro che il loro libro Creazione contenga un mucchio di stupidaggini”.

“Claudine, hai sentito che cosa ha detto il papà? Finalmente aprirà il libro che è arrivato per posta. Sai, a lui è sempre piaciuto leggere. Si interessa di molti argomenti, anche di astronomia. Prima di ammalarsi, mi prendeva spesso sulle sue ginocchia per mostrarmi delle illustrazioni. Claudine, sapevi che Saturno ha un anello? Vieni, lo studieremo insieme”.

Di notte, quando andavo in bagno, vedevo il papà leggere e fumare. L’indomani lo vedevo leggere e tossire! I suoi attacchi di tosse mattutini erano terribili. Forse anche lui aveva delle macchie ai polmoni? Siccome era pallido e di pessimo umore, ero sicura che il suo stato di salute si fosse aggravato, così gli stavo lontana. Avrei voluto diventare invisibile.

♠♠♠

A scuola il prete ci parlava spesso della Natività, il giorno in cui Dio era venuto al mondo in terra ebraica, nella prescelta cittadina di Betlemme. Nessuno aveva posto per ospitare Giuseppe e Maria in procinto di partorire, così i due avevano dovuto rifugiarsi in una stalla, dove il neonato Gesù era stato riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello. “Ricordatevi che furono gli ebrei a uccidere Gesù, l’Iddio incarnato. Per di più accettarono che il suo sangue ricadesse su di loro e sui loro figli. Ecco perché sono stati maledetti per l’eternità”, affermava il parroco.

In casa l’odore abituale di encaustica era stato sopraffatto dal profumo di anisbredla, una specie di piccoli dolci alsaziani che la mamma stava sfornando. Li mise a raffreddare sopra il grande panno di lino bianco che ricopriva la tavola, accanto ad altri pasticcini tradizionali. Questi preparativi preannunciavano l’allegria che ben presto ci sarebbe stata in occasione delle feste di fine anno. Che splendido Natale sarebbe stato! Da quando aveva letto il libro Creazione il papà stava molto meglio. Aveva ritrovato l’appetito e anche la voglia di giocare con me.

La mamma mi chiamò nella sala da pranzo: “Vieni ad aiutarmi, per piacere”. Aveva piazzato l’abete a lato della nostra credenza intagliata. Posò sul divano la grande scatola che reggeva tra le mani, poi ne tolse il coperchio. Allora apparvero sotto i miei occhi tutte le bocce di vetro multicolori dell’anno precedente.

“Guarda, le hai conservate con tale cura che Gesù Bambino non dovrà portarne delle nuove!”

“Simone, abbiamo sempre festeggiato il Natale, ma devi sapere che non esiste un personaggio che porta i regali. In Alsazia credono in Gesù Bambino, nelle altre regioni francesi parlano di Babbo Natale. Ogni paese ha le proprie leggende. Bene, adesso guarda come si procede: non fare mai seguire due bocce dello stesso colore e fissa saldamente il piccolo candeliere sui rami”. Era molto piacevole, soprattutto perché la fragranza era quella della foresta di Berbenbach. Un debole raggio di sole si rifletteva sul vetro e faceva scintillare dolcemente i capelli d’angelo.

“Il nostro parroco dice che il Natale è il compleanno di Gesù. Per questo in chiesa, accanto all’altare, si mette una mangiatoia con un bambolotto circondato da animali”.

“Il 25 dicembre non è la data di nascita di Gesù. E poi Gesù non è più un bambino. È cresciuto, come te. Poi è stato messo a morte, è risuscitato e ora regna in cielo”.

“Mamma, Zita ha voglia di dolcetti. Posso dargliene?”

“Sì, ma non più di uno”.

Avevamo praticamente finito di ornare l’abete, quando compresi la spiegazione della mamma.

“Ma perché si fa un albero di Natale, se non è il compleanno di Gesù? Quando è nato?”

“In autunno, non in inverno”.

“E l’abete? A che cosa serve?”

“Non ha niente a che fare con Gesù, è un’antica tradizione pagana”.

“Ma allora perché lo decoriamo?”

“Non volevo che tu fossi delusa”.

Mentre mi accingevo a sistemare sulla cima la punta dorata, riflettevo e mi ponevo molte domande.

“Mamma, pensi che a Dio piacciano gli alberi pagani?”

“Penso di no”.

Lasciai cadere la punta per terra, tolsi le bocce e le calpestai. Tutto il mio corpo tremava. La mamma, senza dire una parola, scopò i frammenti di vetro e rimise l’abete sul balcone.

Quella notte, sotto le coperte, ero sopraffatta dalla delusione e dalla collera. Gli adulti erano dei bugiardi! La cicogna che porta i bambini, Gesù che consegna i regali, l’albero di Natale che è di origine pagana… Pensavano fossero dei bei racconti, come quelli dei Grimm! Ma gli adulti non si rendevano conto che le loro storielle trasformavano la religione in leggenda? Ero sempre più furiosa.

La mamma cercò di giustificarsi: “È vero, ti abbiamo mentito. Le persone che non studiano la Bibbia, non vedono niente di male nel tramandare tradizioni pagane. La maggior parte non sa nemmeno che il Natale si festeggiava ancor prima dell’era cristiana e che era la festa del dio Sole dei Romani. Le tue reazioni sono giuste, bisogna seguire sempre la propria coscienza. D’ora in avanti cercheremo di scoprire insieme tutte le menzogne del nostro credo e di non seguirle più!”

Quelle parole mi risollevarono, ma qualcosa in me si era comunque incrinato. I miei genitori mi avevano mentito per sette lunghi anni e il prete continuava a farlo! Da quel giorno divenni ancora più diffidente, perché compresi che nessun adulto era perfetto: potevano ingannare, imbrogliare e mentire anche loro!

La neve aveva isolato Bergenbach, così trascorremmo le vacanze a casa. Saremmo ritornati alla fattoria in primavera. Ogni giorno il papà si divertiva con me e Zita. Lanciava delle palle di neve che la mia cagnetta cercava di afferrare. Alla fine di quelle meravigliose ferie mi disse: “Domani la mamma ti accompagnerà a scuola. In fin dei conti, i tuoi compagni avevano ragione: tu non sei, noi non siamo più cattolici! La tua mamma ha scoperto la verità, perché la Bibbia è la verità. Cercheremo di seguirla il più possibile!”

♠♠♠

La musica, le risate e i giochi tornarono ad allietare il nostro focolare domestico. Il papà era di buon umore e mi coccolava come meglio poteva. Aveva ritrovato tutta la gioia di vivere e sembrava essere sulla strada della guarigione, infatti aveva ricominciato a dipingere e a suonare il violino. Aveva anche smesso di fumare. Un giorno, per stuzzicarlo gli misi delle sigarette di cioccolato nell’astuccio e lo udii spiegare alla mamma: “Ho condannato i preti che fumano, quindi non devo fare lo stesso errore. Simone ha bisogno di un padre coerente”. Da quel momento non fumò mai più e i suoi terribili attacchi di tosse mattutini diventarono ben presto solo un brutto ricordo.

Una volta, pieno di entusiasmo, mi portò una bella stoffa a fiori che mi aveva promesso mesi prima, ma che sembrava avesse completamente dimenticato. La mamma mi confezionò un copriletto e un paio di tende nuove. Mentre cuciva, canticchiava. Siccome Jean, il ragazzo che abitava al piano di sotto, doveva venire a tappezzare la mia cameretta durante il nostro soggiorno a Bergenbach, il papà cercò di insegnarmi qualche nozione di colorimetria: come distinguere i colori “caldi” da quelli “freddi”; poi mi lasciò scegliere il colore della carta da parati. Subito scartai il blu. Non volevo ritrovarmi congelata!

Le mie compagne di scuola si rifiutavano di ascoltare le mie citazioni bibliche e anche il comportamento della mia insegnante rifletté il mutato atteggiamento generale nei confronti della mia famiglia. Non ero più la preferita della signorina. Mi ignorava il più possibile e solo raramente mi dava l’opportunità di rispondere in classe. Fortunatamente quell’ambiente gelido era compensato dall’atmosfera calorosa e tranquilla del nostro focolare. Sapevo che l’intolleranza non era una novità. La signorina ci parlava spesso dei cristiani ai tempi dei Romani. Se avevamo lavorato bene, ci premiava leggendoci dei brani dal celebre romanzo Quo vadis?, che parla delle prime persecuzioni, o raccontandoci le vicende di Fabiola, Nadine e Ben Hur.

Il papà possedeva una collezione di copie di tele famose. Fra queste c’era un dipinto italiano con scene di cristiani che avevano affrontato i leoni e avevano scelto di essere bruciati vivi, piuttosto di rinnegare la propria fede. Già dopo il primo anno di scuola mi ero proposta di imitare il loro coraggio. La gente attorno a me mostrava una forma di devozione, eppure nessuno voleva sentire parlare della Bibbia. Non riuscivo proprio a spiegarmelo! La decisione dei miei genitori di chiedere l’esonero dalle lezioni di catechismo aggravò ulteriormente la mia situazione: le mie compagne cominciarono a odiarmi. Le stesse ragazzine alle quali avevo distribuito il mio pane, i dolci e la cioccolata diventarono improvvisamente aggressive nei miei confronti. “Ma perché si comportano così?”, mi domandavo spesso. “Che cos’è cambiato?”

Durante l’ora di catechismo il direttore mi impartiva lezioni di educazione civica. Un giorno, all’uscita mi imbattei in alcune alunne che mi aspettavano nel cortile. Formarono un semicerchio le cui estremità bloccavano le due rampe delle scale. Ero in trappola! Intonarono in coro: “Pagana, pagana, tu sei una pagana!”

Una voce si levò: “Tu non vai più in chiesa!” Qualcun’altra urlò: “Non vieni neanche più al catechismo!” Una terza si sgolava: “Sei diventata comunista!” Ero in cima alle scale, completamente sola ad affrontarle! Gridai: “Sono cristiana!” Loro ribatterono irritate: “Allora dicci perché non vieni più al catechismo!”

Le letture bibliche con la mamma mi avevano insegnato che Dio è troppo grande per risiedere in edifici costruiti dall’uomo. Perciò indicai la chiesa e gridai: “Dio non può abitare là! Per di più è piena di idoli che ‘hanno occhi che non possono vedere e orecchie che non possono udire’, e il secondo comandamento proibisce di farsi idoli e…” Tacqui. Le bambine si erano a un tratto calmate. Nell’imponente villa di fronte una signora molto elegante aveva attirato la loro attenzione battendo le mani.

“Lasciatela andare! Non vedete che ha il viso di un demonio scappato dall’inferno? Allontanatevi da lei, è pericolosa!”

Una delle bambine gridò in preda al panico: “Svelte, svelte, corriamo!” Si scatenò un vero e proprio scompiglio. Anche Blanche, Madeleine e Andrée seguirono le altre e io mi ritrovai completamente sola. Voltandomi, mi accorsi che la signorina era rimasta all’ingresso: immobile, impassibile e silenziosa.

All’angolo della strada mi stava aspettando un gruppo più piccolo. Alcuni ragazzini mi circondarono minacciosi: “Sporca ebrea, sporca ebrea!”

Ero disorientata. Io non ero né l’una né l’altra, perché questi epiteti? Finalmente dei passanti dispersero le piccole furie.

Quel giorno leggemmo nei Vangeli il racconto delle persecuzioni, dell’odio e degli scherni subiti da Gesù. La mia fiducia nelle promesse della Bibbia era completa, perciò potevo sopportare tutte le angherie. Nondimeno avevo una domanda per i miei genitori: “Perché l’ingiuria ‘sporca ebrea’?” Il nostro macellaio era ebreo ed era una persona molto pulita, un commerciante onesto e gentile, stimato dalla mamma. Perché questo insulto mi toccava tanto?

Seduta sulle ginocchia del papà, ascoltavo le risposte della mamma: “Quando studierai la storia capirai che gli ebrei sono stati sottoposti a molte sevizie dai cosiddetti cristiani. Per esempio per lungo tempo non hanno potuto esercitare la professione di artigiani. Erano anche costretti ad abitare in quartieri appartati delle città, i famigerati ghetti. Li accusavano di avere ucciso Dio”.

“Ce l’ha detto anche il parroco”.

“Ma Dio non è mai venuto al mondo e nemmeno si è fatto uccidere dagli uomini. Come avrebbero potuto assassinare l’Onnipotente, la fonte stessa della vita? Dio non ha mai approvato il maltrattamento degli ebrei. Lui non fa distinzioni fra gli uomini, qualunque sia la loro razza o il colore della loro pelle, ricchi o poveri. Geova è un Dio di amore. Chi si ostina a disubbidire a questo insegnamento si mette al servizio del malvagio, col rischio di commettere azioni terribili in buona fede!”

A poco a poco i bambini si stancarono di molestarmi in strada. Dicevo loro che Gesù, il Figlio di Dio, era stato ebreo, quindi il loro insulto mi onorava. Tutti gli apostoli e gli scrittori della Bibbia erano ebrei e io andavo fiera di essere come loro, non desideravo altro!

♠♠♠

Primavera 1938

La primavera aveva cosparso i prati di meravigliosi fiorellini e il loro vivace colore blu, rosa e giallo richiamava i puntini della mia nuova carta da parati. Ben presto sarei partita con la mamma per Bergenbach, così Jean avrebbe potuto tappezzare la mia cameretta. Il papà ci avrebbe raggiunte alla fine della settimana.

Anche quella volta il pranzo domenicale fu turbato dalla guerra ideologica franco-tedesca riaccesa da zio Alfred. Nel pomeriggio, mentre gli uomini erano andati a fare una passeggiata, fra le donne della casa si scatenò una controversia religiosa. Era incredibilmente faticoso capire gli argomenti discussi.

Di che cosa stava parlando la nonna? Zia Valentine sosteneva: “La Bibbia è un libro protestante”. Quando la mamma le mostrò le firme dei vescovi impresse sul risguardo iniziale, lei replicò: “Chiunque può contraffare delle firme!”

Zia Eugénie aggiunse la sua: “Noi cattolici abbiamo i Vangeli, non la Bibbia!” La mamma allora cercò di spiegare loro che i Vangeli sono parte della Bibbia, tuttavia nessuna di loro prestò seriamente ascolto.

“Fa’ subito sparire quel libro protestante da questa casa!”

“Ma la Chiesa cattolica lo riconosce!”

Era il momento di intervenire: “Nonna, ti assicuro che il parroco ha esattamente la stessa Bibbia”.

“Sì, ma lui ha il diritto di avere tutto e di leggere tutto – e fissando la mamma negli occhi, aggiunse – sei mia figlia e faresti meglio a rimanere cattolica, se vuoi ancora andare d’accordo con me”.

Nel frattempo gli uomini erano ritornati. Discutevano sempre di quella parola misteriosa che a pranzo aveva scaldato gli animi, il Lebensraum5. Il papà aveva sentito la minaccia della nonna e disse: “Sarà meglio rientrare col prossimo treno; non mi piace lo spirito di inquisizione che regna qui”. Ci lasciò sole nel “nido di vespe”, espressione che usava per indicare le dispute tra le donne della casa. Noi rimanemmo qualche altro giorno per aiutare nelle pulizie primaverili.

5 Il Lebensraum, letteralmente “spazio vitale”, ma “spazio necessario alla vita” secondo i nazisti che volevano giustificare così la loro politica espansionistica, com’è noto, verso oriente.

Come ogni anno, poco prima di Pasqua, la nonna decise di acquistare un nuovo maialino e di scambiare le uova destinate alla cova per “immettere sangue nuovo all’interno dell’allevamento”.

Ci arrampicammo insieme su per la montagna, sotto un sole abbagliante che la nonna definiva “pungente”. Notò una nuvola lontana e previde che il tempo sarebbe cambiato. Dopo due ore di cammino raggiungemmo una piccola valle quieta e verdeggiante, dove erano raggruppate alcune fattorie, che terminava con una ripida parete rocciosa, la Felleringkopf, il nostro angolo preferito per la raccolta di mirtilli. La meta era Langenbach e, quando infine vi arrivammo, tirammo un sospiro di sollievo. Durante il percorso la nonna aveva insistito a più riprese: “Cerca di convincere tua madre a ritornare alla Chiesa, altrimenti causerà disgrazie a tutti noi!”

“Ma la Bibbia non è un libro malvagio!”

“Il Diavolo vuole farvi lasciare la Chiesa cattolica per impossessarsi della vostra anima. Vi spedirà direttamente all’inferno”.

“Ma nonna, l’inferno non esiste! E poi io non ho un’anima, io sono un’anima!”

“È proprio così che il Diavolo raggiunge i suoi scopi: prima vi toglie la paura dell’inferno, poi vi ci fa cadere dentro!” Allora mi raccontò delle storie orribili su Lucifero che per ingannare gli uomini si mostrava molto attraente.

A Langenbach la cugina della nonna era contentissima di ricevere notizie dall’altro lato della valle. I soldi e le uova vennero scambiati, poi, fra le graziose creature rosa che scorrazzavano sgambettando in tutte le direzioni, scegliemmo il nostro maialino. Infine lo acchiappammo e, quando gli legammo le zampe posteriori, protestò energicamente con dei versi stridenti. La nonna lo chiuse subito in un sacco e se lo mise intorno al collo. La cugina indicò il cielo: “Sbrigatevi a prendere la strada del ritorno!”

Il cumulo si ingrandiva a vista d’occhio. Seguivo a fatica la rapida andatura della nonna. Quando raggiungemmo la cima del Thalhorn, l’alto promontorio dal quale si godeva una vista meravigliosa sulle due vallate, eravamo entrambe in un bagno di sudore. All’improvviso ci trovammo esposte alle raffiche di un vento glaciale. La nonna gridò: “Corriamo, altrimenti prenderemo freddo! Fa molto male ai polmoni”.

L’enorme nube nera che si stava dirigendo verso di noi coprì a poco a poco la vallata. Iniziò a cadere una forte grandine e, siccome in quel nudo versante non esisteva alcun riparo, non ci rimase altra scelta che continuare. Esposto ai chicchi di grandine, il nostro povero porcellino emetteva in continuazione grida strazianti, che si mescolavano al gemito del vento impetuoso. Era terribilmente buio e noi non riuscimmo più a distinguere il sentiero, perciò fummo costrette ad avanzare alla cieca. All’inizio non piansi – ero un maschio, vero? – ma il freddo mi faceva battere i denti ed ero inzuppata. Il mio vestito di maglia lavorato a mano si ritrovò tutto a buchi e finì per ridursi a un cencio. Sfinita e col fiato mozzo, quasi non riuscivo a resistere alla bufera. Mi sentii prigioniera della nuvola, che aveva ormai invaso tutta la montagna. Allora iniziarono a scendermi le lacrime. La nonna aveva entrambe le mani occupate a trattenere il sacco, dove il maialino si dibatteva come un forsennato, perciò dovetti aggrapparmi al suo grembiule.

Arrivate ai piedi del pendio, uscimmo finalmente dalla nuvola e scorgemmo Bergenbach. Il fumo del nostro camino ricadeva sul tetto e ondeggiava lungo le tegole come un gigantesco serpente.

“Ne siamo uscite! Dio sia lodato!” Ma ero certa che la nonna riteneva la nostra esperienza una punizione divina. Secondo lei, tutte le sciagure venivano da Dio, soprattutto il maltempo.

Ci toccava percorrere ancora un lungo tratto attraverso la vasta palude della Runz. “Guarda, il nostro sentiero è laggiù!” Avevamo deviato molto ed era difficile avanzare sul suolo spugnoso. Ogni volta che posavamo il piede su una superficie sassosa, l’acqua sprizzava dalle nostre scarpe con dei gorgoglii. Finalmente riuscimmo a raggiungere la fattoria.

“Piccola mia, il tuo vestito è ridotto a un colabrodo!” Ci stavano scaldando della biancheria di ricambio davanti ai fornelli della stufa. Un pediluvio caldo mi riattivò la circolazione del sangue. Raccontai tutta eccitata la nostra avventura. La nonna mi guardò e le lessi negli occhi il suo totale disappunto. Non si aspettava affatto quel racconto così pieno di entusiasmo. In silenzio cominciò a rianimare con energiche frizioni il povero maialino congelato.

♠♠♠

All’entrata del nostro palazzo mi accolse un odore di pittura fresca. Ero talmente impaziente di vedere i risultati del lavoro di Jean nella mia cameretta che salii le scale a gran velocità. Lui era tutto orgoglioso: non si era mai occupato di una stanza intera in modo così “professionale”. Aveva anche ridipinto l’armadio di un verde pastello! Il papà aveva spostato il mio letto in un angolo le cui pareti erano state decorate, fino a una certa altezza, con una stoffa a fiori abbinata al copriletto. Sopra erano stati appesi sette quadretti con i nani di Biancaneve. Jean li aveva dipinti per me e mio padre li aveva completati con vetro e cornice. Ero incantata! Com’era bella la mia cameretta! Con la porta aperta, tutti i nostri ospiti avrebbero potuto ammirarla fin dall’ingresso.

La mamma mi fece una saggia raccomandazione: “È la tua stanza; dovrai metterla in ordine e rassettare il letto, altrimenti a mezzogiorno la ritroverai così come l’avrai lasciata il mattino. Adesso sai che cosa devi fare per mantenere una buona reputazione”.

I miei genitori avevano regalato a Jean una Bibbia cattolica. Il papà ci disse che lui l’aveva accettata con piacere, ma la sua mamma si era infuriata e gli aveva fatto una scenata. La signora continuava a trattarlo come uno scolaretto. Il papà cercò di giustificarla: “È vedova. Probabilmente trova difficile accettare la graduale indipendenza del figlio”.

Come tutte le mattine, il papà scese a prendere il secchiello del latte e il pane nel cesto appeso vicino alla porta della cantina. Risalì bianco come un cencio e si accasciò ansimante su una sedia. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Raccontò che, mentre era giù, una porta si era bruscamente aperta: il signor Eguemann gli stava andando incontro brandendo un’ascia. “Sono scappato sulla strada col secchiello e ho anche versato un po’ di latte. Lui mi ha inseguito urlando: ‘Specie di traditore, meriti di essere giustiziato!’ Si è fermato solo quando ha visto arrivare qualcuno”.

“Emma – riprese – d’ora in poi sarà il caso di comprare il pane e il latte in drogheria. Mi rincresce darti questo peso in più, ma bisogna essere prudenti… con questo alcolizzato nel palazzo! Cercherò anche di cambiare l’orario di lavoro, almeno non rischierò più di incontrarlo da solo lungo il cammino. Non bisogna esporsi inutilmente!”

Che shock! Un buon cattolico come il signor Eguemann aveva cercato di uccidere mio padre! Sentii il cuore riempirsi di risentimento. La mamma, per calmarmi, lesse le parole di Gesù: “Sarete oggetto di odio fra tutti i popoli”. Poi citò l’apostolo Paolo: “Non bisogna rendere male per male”.

Il papà suggerì alcune opportune precauzioni. Tutti e tre saremmo usciti dal palazzo con cautela; per evitare reazioni violente, non avremmo più rivolto la parola alla famiglia Eguemann; avremmo portato fuori Zita con discrezione, possibilmente di giorno, rimanendo davanti all’edificio e solo in presenza di qualcuno in grado di proteggerci se necessario. Da quando aveva preteso che fossi punita davanti a lui, avevo serbato del rancore nei confronti del signor Eguemann, ma adesso lo detestavo decisamente!

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Il secondo anno di scuola terminò con una giornata calda e molto piovosa. Ci ripeterono le solite raccomandazioni prima delle vacanze estive: comprare un quaderno per i compiti da svolgersi ogni giorno e non dimenticare di ripassare quotidianamente il catechismo. Era arrivato il momento di salutare la signorina, che andava in pensione. Rispose con un sorriso e parole gentili a tutte le ragazze che si avvicinavano alla cattedra… insomma, quasi a tutte! L’idea di cambiare insegnante il successivo anno scolastico mi fu di grande sollievo.

I canaletti di scolo straripavano. Siccome indossavo gli stivali di gomma, decisi di sguazzare nelle pozzanghere. La mamma non poteva vedermi e io avevo voglia di comportarmi come una piccola selvaggia, libera da ogni costrizione. Festeggiai dunque a modo mio l’inizio delle vacanze spruzzando allegramente acqua sporca che inzaccherava i passanti. Nelle vicinanze di casa ripresi l’andatura saggia e posata di una ragazzina per bene… tradita però dalle gambe e dagli abiti inzuppati di fango!

Quell’estate ci saremmo impegnati in una nuova attività. I miei genitori avevano deciso di unirsi agli Studenti Biblici e di frequentare le loro riunioni. Alcune famiglie si ritrovavano per pregare e studiare la Bibbia in un locale annesso al Municipio. Ci dissero che Laure, un’infermiera in pensione, si occupava di una “scuola domenicale”. Ogni domenica mattina circa otto giovani seguivano le lezioni basate sul libro L’Arpa di Dio. Speravo di parteciparvi anch’io. Mi diedero un magnifico regalo: una copia della Bibbia tutta per me, col taglio rosso e la copertina nera. L’atmosfera era molto differente in confronto alle lezioni di catechismo. Non solo avevo il permesso di porre tutte le domande che desideravo, ma mi veniva insegnato a trovare da sola le risposte nella Bibbia. L’ora mi sembrava finire sempre troppo in fretta, mentre a volte alcuni miei compagni avevano l’aria di annoiarsi e, quando Laure si dilungava, protestavano.

La novità della scuola domenicale mandò in collera zia Eugénie. Prese un appuntamento per il papà col signor Koch, uomo altamente istruito. Sperava che almeno lui sarebbe riuscito a riportare suo cognato là dov’era il suo posto, cioè in seno alla Chiesa cattolica. Ma non ci fu verso!

Allora zia Eugénie se la prese con la mamma. “Tuo marito è la tua vittima, Emma!”, disse, agitandole sotto il naso un dito minaccioso. “Il signor Koch è del parere che lui non gli abbia dato retta perché sei tu a portare i pantaloni in casa e lui ha ceduto per il quieto vivere”. Che razza di accusa era quella? Perché gli adulti avevano sempre delle idee così contorte, anche quando non conoscevano i fatti? Il papà non era né un debole né una persona facilmente influenzabile. Era stato lui a decidere di esonerarmi dal catechismo, lui aveva smesso di fumare in un solo giorno, lui ci portava alle riunioni e ancora lui aveva disposto di pregare prima dei pasti! Grazie ai suoi consigli avevo anche riflettuto sulla possibilità di frequentare la scuola domenicale e di accompagnare la mamma nelle visite ai nostri vicini. Purtroppo mia zia si comportava come sua madre; rimaneva sorda a qualsiasi argomentazione e preferiva esprimere dei giudizi: “È una vergogna trascinare Simone di porta in porta come una mendicante!”

“Ma zia Eugénie, a me piace molto!” Le sue orecchie sembravano letteralmente tappate e stringeva gli occhi fino a ridurli a due fessure.

“La tua mamma ti ha contagiata col suo fanatismo!” Fanatismo? Ecco una parola che non conoscevo. Ma, quando ne appresi il significato, trovai che si applicava meglio alle reazioni della zia e della nonna che alle nostre!

Ascoltavo con attenzione le riflessioni fra la mamma e i vicini che andavamo a trovare. A volte corrispondevano alle mie domande e, di conseguenza, dissipavo i miei dubbi. Ogni tanto sentivo dei ragionamenti un po’ complessi e bizzarri, come quando quel pastore protestante aveva cercato di difendere la Trinità. Per spiegare che ‘le tre persone, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, non formano che un’unica divinità, in quanto ognuna è onnipotente, eterna e uguale alle altre’, ci disse: “Prendete tre uova e sbattetele per fare una frittata: rimangono sempre tre uova”.

Trovavo anche alquanto strana la comune convinzione che l’anima venga giudicata immediatamente dopo la morte, mentre il corpo deve attendere il Giorno del Giudizio. Mi domandavo: “Quando una persona commette un peccato, quale parte è colpevole: il suo spirito o il suo corpo? Ed è possibile immaginare un corpo che pecchi da solo?” Spesso a tavola le conversazioni iniziate con i vicini proseguivamo fra noi.

Un giorno decisi di andare da sola alle fattorie dei dintorni per distribuire l’opuscolo La guarigione per tutte le nazioni. Presentava la speranza che, sotto il regno di Cristo, la terra sarebbe ridiventata un paradiso senza più sofferenze e morte. Provavo un fortissimo desiderio di trasmettere ai fattori questa meravigliosa speranza contenuta nella Bibbia. Furono veramente gentili con me e accettarono volentieri i miei opuscoli. Dopo circa un’ora decisi di rincasare. Durante il tragitto una porta si aprì, gli stampati che avevo lasciato in quella casa volarono in mezzo alla strada e un fattore urlò: “Maledetti Studenti Biblici! È una vergogna, una vera vergogna, sfruttare i bambini in questo modo!” Io non pensavo di essere una bambina, avevo già otto anni! E non ero stata io a decidere di andare dalle persone? Senza scoraggiarmi, raccolsi gli opuscoli e continuai a testa alta il mio cammino, ripetendomi le parole di Gesù: “Lo schiavo non è maggiore del suo maestro. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Tutta orgogliosa della mia determinazione, raggiunsi il gruppo che si era recato alle fattorie dall’altro lato!

Non capivo perché i cattolici che incontravo affermassero che la Bibbia era un libro protestante, un libro maledetto! Il papà me lo spiegò la sera stessa con l’aiuto di un manuale di storia.

“In passato, nei paesi cattolici la Bibbia era scritta solo in latino che però col tempo divenne una lingua morta. Perciò qualche secolo più tardi alcuni religiosi la vollero tradurre nelle lingue moderne conosciute dalla gente comune. Ma le gerarchie ecclesiastiche si opposero alla diffusione popolare della Bibbia, in quanto ritenevano che dovesse rimanere in latino, a uso esclusivo del clero. Nonostante il divieto, numerose persone si misero a tradurre e a diffondere le Sacre Scritture. Guarda questa immagine! Mostra il massacro dei protestanti durante la notte di San Bartolomeo, avvenuto fra il 24 e 25 agosto del 1572. Sotto la guida di nobili cattolici, soldati e parigini massacrarono quasi tremila ugonotti francesi, sostenitori della lettura della Bibbia in lingua corrente. L’Inquisizione cattolica cercò di eliminare anche tutti i riformatori, come il ceco Jan Hus. Alcuni furono addirittura arsi vivi con la Bibbia appesa al collo. Ecco perché numerosi cattolici credono ancora che la Bibbia sia un libro eretico”.

“Allora l’Inquisizione non riguardava solo gli ebrei!”

“No, colpiva tutti coloro che non si conformavano all’insegnamento ufficiale della Chiesa”.

Apprezzavo sempre di più il nostro piccolo gruppo di Studenti Biblici. Vi avevo trovato due cari compagni di giochi, André Schoenauer e Edmond Schaguené. Avevo anche acquisito un nuovo nonno, il signor Huber, un ingegnere in pensione rimasto vedovo. Era un uomo dai capelli bianchi, molto paterno e particolarmente cortese; portava un orologio da tasca appeso a una catena d’oro. C’era Marcel Graf, un impiegato d’ufficio delle miniere di potassa: alto, calvo ed estremamente loquace. I coniugi Zinglé, alpinisti appassionati, indossavano spesso dei Knickerbockers. Il signor Lauber, un vedovo con due bambini piccoli, aveva perso una gamba nella Grande Guerra. Partecipava assiduamente alle attività della congregazione e si recava alle riunioni con la figlia di cinque anni, sistemata dietro alla sua bicicletta antidiluviana. C’erano anche i Dossmann, il cui figlio lavorava nell’ufficio dei testimoni di Geova a Parigi. Altri ancora venivano dalla campagna.

La mamma si impegnava attivamente nel gruppo. Mossa da un ardente spirito missionario, visitava numerose famiglie, come i Saler, che aiutò a uscire dalla miseria e a condurre una vita più dignitosa. In effetti non si accontentava di impartire alle persone istruzione biblica, ma le sosteneva anche materialmente. Andava pure a trovare Martina Ast, una dinamica ventenne, che serviva presso una famiglia ebrea proprietaria del più grande negozio di Mulhouse, Les Galeries Lafayette. Mi piaceva recarmi da lei con la mamma. Poneva domande interessanti sulla Bibbia e ci offriva degli eccellenti dolci! A volte giocava anche con me.

Fra i nostri numerosi amici apprezzavamo in modo particolare i Koehl. Un giorno i miei genitori li invitarono e io mi misi accanto alla finestra ad aspettarli, piena di una gioiosa impazienza. Si presentarono nonostante il tempo gelido. Il signor Koehl si chiamava Adolphe proprio come il papà. Con una mano guidava dolcemente sua moglie per il gomito, con l’altra teneva la cagnetta al guinzaglio. Le mani delicate di Maria erano protette da uno spesso manicotto di pelliccia abbinato al colletto di volpe argentata del suo mantello. La coppia pareva appena uscita dalle pagine di un giornale di moda.

Nel salotto i due Adolphe si erano lanciati in una discussione piena di brio, mentre le loro mogli si scambiavano ricette di cucina. Più tardi suonai al pianoforte la canzone preferita di Maria, La Paloma, poi la mamma mi incaricò di servire il tè. Le mie orecchie facevano la spola fra i due gruppi, ma l’orecchio sinistro ebbe la meglio, irresistibilmente attratto dalla conversazione dei due uomini.

“Chi si crede di essere, Dio?”

“Non è altro che una marionetta nelle mani dei demoni”.

“Si proclama l’Heiland della Germania, il suo salvatore. Non è altro che un vermiciattolo!”

“Ma un vermiciattolo terribilmente malefico, un essere marcio fino al midollo!”

“Passa da una vittoria all’altra”.

« “È vero, ma non trionferà sui testimoni di Geova”.6 »

6Adophe Koehl faceva parte del gruppo degli Studenti Biblici di Mulhouse quando questi presero la decisione di mandare, il 7 ottobre 1934, un cablogramma di protesta al governo nazista riguardo alla persecuzione dei testimoni di Geova in Germania. Rappresentanti dei Testimoni di 50 paesi avevano controfirmato quel cablogramma, che aveva reso Hitler folle di rabbia.

Mi domandavo chi fosse quel “lui” a cui alludevano. La conversazione si spostò su un libro che i nostri ospiti ci avevano portato, Kreuzzug gegen das Christentum (Crociata contro il cristianesimo)7. Il volume era aperto a una pagina dove figurava la piantina di una specie di campo recintato.

7Durante l’anno 1938 Franz Zürcher pubblicò quel libro, edito dalla casa editrice Europa di Zurigo, che prendeva in considerazione la persecuzione dei testimoni di Geova in Germania. Si potevano vedere schizzi e piantine dei campi di concentramento di Esterwegen e di Sachsenhausen.

“Riceviamo informazioni di estrema importanza. Ci aiuteranno a essere ‘cauti come serpenti, ma innocenti come colombe’”.

Quando i Koehl se ne andarono, lasciarono un po’ del tipico odore del loro salone di parrucchiere, ma anche un grande vuoto. Sentivo già la loro mancanza. Era come se avessi ereditato altri due genitori.

♠♠♠

Mi ritrovai a Bergenbach con zia Eugénie che aveva deciso di non mettere più piede nel nostro appartamento. Mi accorsi che la nonna mi trattava diversamente rispetto ad Angèle. Mi faceva lavorare. “Va’ a prendere due grossi pani al villaggio. Adesso sei abbastanza grande”. Saltellando con leggerezza, discesi il pendio immaginando che sulla schiena mi fossero spuntate due ali.

Era curioso, eppure mi pareva che, al mio passaggio, tutti bisbigliassero: “Non è troppo piccola per questo?” Troppo piccola? Era Angèle ad essere troppo piccola, aveva quasi due mesi meno di me! Io ero cresciuta in una sola notte, come un fungo. La nonna se n’era resa conto e anche le vacche. Le conducevo al pascolo accompagnata dal tintinnio delle loro campane. Perché la gente non voleva rendersi conto che ormai ero quasi una ragazza?

Mi ricredetti al momento di risalire il pendio con due pani appena sfornati di due chili e mezzo ciascuno. Il sole era cocente quanto i pani e io cercavo di alleggerire le mie spalle infilando le mani sotto le bretelle dello zaino. Strada facendo mi fermavo sempre più spesso per posare il carico. Il fresco mormorio del ruscello mi invitava, ma la mamma mi aveva raccomandato: “Quando sei sudata non mettere mai i piedi nell’acqua ghiacciata, altrimenti ti ammalerai come è successo a me. Guarda le mie mani e i miei piedi deformati dall’artrosi”.

Giunta ai piedi della rampa, la più ripida prima della fattoria, stavo per scoppiare in singhiozzi. Ma i rumori familiari che mi giunsero in quel momento – l’abbaiare del cane, lo schiamazzo delle galline con i loro “coccodé”, lo sciacquio dell’acqua della fontana – mi ridiedero coraggio. Quando incontrai mia cugina alzai il mento con fierezza: non era cresciuta in una sola notte, lei!

La nonna diventava di giorno in giorno sempre più malinconica e irritabile. La partenza della figlia prediletta si avvicinava a grandi passi. Zia Valentine, in effetti, si sarebbe trasferita a Cusset, presso Vichy, dove suo marito aveva trovato un alloggio.

Zia Eugénie, anche lei triste, non ci allietava più con canti, indovinelli e giochi. I suoi datori di lavoro, i Koch, avevano preferito ritirarsi verso “l’interno” (in questo modo in Alsazia si indicava il resto della Francia), perché sembrava una zona più sicura. La nonna le aveva intimato: “Invece tu resterai qui! Non hai niente a che fare con la Francia!” Circolavano voci su una possibile guerra. Il nonno non ci credeva, la nonna sì.

Al pranzo festivo, l’ultimo con la famiglia al completo, regnava un’atmosfera lugubre. Avevano tutti il cuore infranto, tranne Angèle e io. Attendevamo con impazienza di alzarci da tavola per salire in soffitta. Avevamo deciso di celebrare una cerimonia speciale per il nostro addio. Svuotammo ancora una volta il baule e indossammo i vestiti, le scarpe, i nastri e i pizzi del secolo passato. Intorno a noi erano sparsi pile di giornali, raccolte di novelle e libri ingialliti. Quante volte li avevamo sfogliati insieme! Vi avevamo letto molte informazioni, allegre e tristi. Avevamo anche trovato delle opere teatrali sull’Inquisizione! Ma tutto questo era giunto al termine. Era il momento di prestare giuramento solenne di mutua fedeltà. Ci promettemmo anche di scambiarci per posta i compiti delle nostre bambole.

Come il solito, gli animi degli adulti seduti a tavola al piano di sotto si stavano accendendo. Parlavano della conferenza di Monaco alla quale avevano partecipato Lord Chamberlain, Primo Ministro inglese, e Daladier, Presidente del Consiglio francese; insieme con Mussolini e Hitler avevano cercato di risolvere il problema dei Sudeti. Mia cugina si spaventò nell’udire in una frase la parola “guerra”. Essendo più grande di lei, mi sentii in dovere di rassicurarla. D’altra parte, avevo capito tutto! Basandomi sui suoni dei nomi propri che avevo appena ascoltato, le assicurai che i politici si erano riuniti in una camera dove si erano riconciliati intorno a un’insalatiera piena di mousse – secondo me al cioccolato – e che non avevano più problemi di sudorazione, perché la questione complicata che li faceva sudare era stata risolta. Conclusi: “Angèle, non aver paura; anche se ci sarà una guerra, il mio papà sa come fermarla. Mi ha detto che sarebbe sufficiente obbligare i soldati a togliersi le uniformi e andare in giro con la biancheria intima”. Riflettemmo seriamente su questa battuta e trovammo quella soluzione davvero eccellente.


Gli uomini uscirono e le donne diedero loro il cambio; l’eco dei loro litigi giungeva fino alla soffitta.

“Gli Studenti Biblici sono degli agenti comunisti!”, urlava la nonna.

“Chissà come ti pagano bene per andare di porta in porta!”, rincarava zia Valentine.

“Ah sì, per far questo non ti fanno male i piedi!”, aggiunse zia Eugénie.

“Povera idiota! Non ti rendi conto che arricchisci gli americani che dirigono il vostro movimento?”, disse zia Valentine in tono sarcastico.

“Sei pagata dall’Internazionale ebraica per scalzare l’autorità della Chiesa cattolica”, continuò zia Eugénie.

La nonna diventò minacciosa: “Se vuoi continuare a far parte della famiglia, sarà meglio che tu esca da quella setta”. Sembrava facessero a gara nel lanciare attacchi verbali.

Improvvisamente mi precipitai giù per le scale e irruppi nella stanza urlando: “Siete ingiuste e siete delle sporche bugiarde!”

La mamma mi bloccò di colpo, trascinandomi fuori per mano.

“Questo non ti riguarda. Andate a giocare nel granaio, tutt’e due”, ci incoraggiò chiamando Angèle. Mia cugina arrivò con i riccioli scarmigliati, ma, imbaldanzita da quello che aveva appena sentito, proruppe:

“Mi rifiuto di giocare con una pagana!”

“Sono cristiana!”

“No, sei una pagana!”

“Sono…”

La mamma fu costretta a separarci. Angèle rientrò in casa cantando la sua canzone preferita del momento, La Marsigliese, e il furore della nonna raggiunse il culmine.

“Il papà è appena uscito per andare a trovare il tuo padrino a Kruth. E se tu lo raggiungessi?” Era un’eccellente idea! Amavo molto il mio “nonno-padrino”. Era un uomo dolce e coraggioso. Aveva un giardino magnifico, pieno di alberi da frutto. Siccome mio cugino Maurice non abitava più là, avrei potuto divertirmi tranquillamente.

Le prugne erano dolci come il miele. Di colpo appiccicai il naso contro la finestra per vedere che cosa stesse succedendo all’interno. Intravidi sulla tavola due bicchieri di acquavite quasi colmi, con accanto un libro che il papà aveva portato come regalo.

“Toglilo di qui o lo brucio!”

“Ma è una Bibbia cattolica”.

“Puoi dire quello che vuoi!”

“Te lo dimostrerò!”, disse il papà aprendo la Bibbia. “Vedi, ci puoi trovare le stesse parole che senti dai Vangeli durante la messa della domenica mattina. Solo che in chiesa si limitano a leggerle senza applicarle”.

Sola di fronte al Leone

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