Читать книгу Fuochi di bivacco - Alfredo Oriani - Страница 7
IL TEMPIO
ОглавлениеAnch'esso è risorto.
Dal giorno antico della sua fondazione, quando un manipolo di muratori tornanti da Assisi posero le prime pietre, una lunga storia di poesia e di sventura posò sulla sua bellezza sino a disonorarne i lineamenti e a cancellarne le vestigia. La grande epoca religiosa di San Francesco fu breve: forse egli era salito troppo alto nell'esempio della virtù, la sua passione d'amore inintelligibile nella politica bufera, che sulle rovine di un mondo vecchio seguitava a distruggere tutte le forme neonate della modernità, dovette lentamente abbassarsi e soggiacere al trionfo carnale del Rinascimento.
Il redentore di Assisi era stato un asceta quasi anarchico.
Eroi della miseria, i suoi frati protestavano con la moltitudine cenciosa contro la recente borghesia consolare, denunciando le vanità della politica e le ingiustizie della ricchezza; ma inesausti all'opera consolavano gli stessi dolori esacerbati dalla loro rivolta ideale, assolvevano tutti i peccati in una più intensa rivelazione del loro male; nomadi e liberi dai consoli e dai vescovi, cittadini di una democrazia senza patria e democratici di una eguaglianza senza autorità.
Eroi del dogma, invece, i domenicani organizzavano contro la loro poetica libertà l'inquisizione come un governo tanto superiore ad ogni altro quanto il dogma è più alto di ogni verità umana, e dando ai supplizi l'apparenza di una festa capace di fanatizzare la folla, bruciavano case, disertavano campagne, spaventavano re, curvavano papi, imperavano col pensiero contro il pensiero, che non di meno sfuggiva a tutte le strette, denunciava tutti i tranelli, brillava vittorioso sui roghi contrapponendo fede a fede, conquista a conquista sino a trovare nello spasimo della propria tragedia le voci più profonde dell'anima e le forze più necessarie alla emancipazione finale.
Ma prima di questa l'onda della vita travolse francescani e domenicani; gli eroi del dolore e gli eroi del dogma si smarrirono insieme dentro la facilità gaudiosa dei nuovi tempi, e davanti all'improvviso ascetismo della Riforma non seppero opporre un'altra virtù d'intelletto e di cuore. Quindi i loro tempii ne soffersero come le loro anime.
Poi l'avvento gesuitico parve superare tutto e tutti: la sofistica annullò quasi ogni fisonomia dei dogmi e ogni carattere di virtù, mentre il lusso falsava nelle chiese qualunque poesia di fede e di arte.
Il bel tempio francescano di Bologna non si salvò.
Forse i suoi frati troppo addentro nella città presero il contagio dei suoi morbi; forse anco dovettero espiare contro la rivalità di altri ordini religiosi la gloria passata sino a dimenticare l'anima dell'incomparabile fondatore e la propria. L'illustre cimitero, che fioriva intorno di grandi nomi e di belle tombe, non bastò nemmeno a ritardare l'assalto vario e quotidiano, interno ed esterno: i glossatori del diritto romano, che avevano dato a Bologna la prima gloria moderna, ebbero violati i sepolcri come tutti gli altri morti anonimi; dai fianchi, dall'abside, dal pronao, dalla facciata, fino alla cornice e più alto fino alle torri, quasi i mattoni germinassero, orribili e frequenti escrescenze crebbero a deformare la modestia elegante delle prime linee. Ed erano cappelle nuove di una nuova bigotteria, senz'arte e senza fede, che una ostinata perversità di ogni senso poetico e religioso ripeteva ed ingrandiva: poi nella chiesa stessa, dentro le navate si fabbricò struggendo, falsando, violando tutto, anche le finestre, le policromie, gli altari, le arche, le parole ed i versetti, la lingua e la musica.
Mai forse tempio sopportò più ignobile e tragica persecuzione.
Ma non era l'eterna guerra della natura all'opera umana, quell'assedio e quell'assalto così vivamente imaginato e significato dallo Zola nella Faute de l'Abbè Mouret, contro la povera chiesetta, sulla quale le piante s'inerpicano penetrando nelle fessure, sfaldando le pietre, coprendo del proprio manto ogni ferita, giungendo al tetto e sfondandolo per alzarvi come vessillo di vittoria un alberello sottile, ondeggiante.
Era invece una guerra cittadina e fratricida di plebee forme bigotte contro la pura forma dell'idea francescana, una rivolta del clero ignavo e schiavo contro l'asceta liberamente povero e sublime di Assisi, una arroganza patrizia e villana contro la bellezza della nudità e della povertà, che il tempio doveva opporre alla vicenda di tutte le corruzioni nei secoli.
Chi pensava allora a San Francesco, mentre Roma, a difendersi dal protestantesimo, non credeva necessarii che i nuovi pretoriani disciplinati da Sant'Ignazio, ed a consolidare il proprio stato, uscito anch'esso dall'ultima crisi delle signorie, si esauriva in una politica monarchica di brevi espedienti e di miseri compromessi?
Ma il tempio è risorto.
Bisognò anche a lui attendere il soffio della rivoluzione nazionale e che nella calma succeduta alcuni, i più eletti fra gli spiriti, si voltassero a guardare indietro per rendere giustizia al passato. E questa fu vivace se non intera, mentre in questo ultimo ventennio quasi una febbre di restauri si apprese a tutti gli eruditi, e centinaia di monumenti risorsero cittadini del nostro tempo moderno.
A Bologna si parlò persino di compiere San Petronio, una fra le chiese più belle della cristianità e deturpata anch'essa da troppe insopportabili violazioni, poi la passione si rivolse a San Francesco. Si vide allora un poeta vibrante di fede levarsi a promettere la resurrezione del tempio e gli increduli, ricchi e poveri, colti ed ignari, accendersi d'entusiasmo pagando della propria borsa per aiutare l'opera contro i grevi ostacoli della burocrazia, la sorda indifferenza del clero e la diffidente rivalità dei devoti.
Ma il poeta votato alla grande impresa non era, fortunatamente, di coloro che scrivono versi e s'adagiano sopra un letto di rime come vincitori nella stanchezza del trionfo; era solo e credeva, non aveva scelto a sè medesimo alcuna arte e sentiva profondamente l'unità di tutte; era passato attraverso i vecchi secoli e le vecchie carte ricostruendo nella propria fantasia la visione del tempio come nei primi giorni di gloria.
In lui riviveva l'anima di quegli architetti e di quegli scultori sacri, che obliavano di incidere il proprio nome sui monumenti alzati verso Dio; era solo, volle e vinse perchè primo aveva veduto e creduto.
Intorno a lui si strinse quindi un manipolo di artisti, nuovi volontari in questa campagna, che ricreando nella sua più pura verità un tempio antico dichiarava guerra ai dogmi e alle tradizioni delle accademie; forse non tutti erano credenti come lui, ma l'arte è anche essa una religione e le religioni sono sorelle.
Oggi il tempio è ormai compiuto; le tombe dei glossatori splendono intorno nella bianchezza dei marmi, l'abside è riapparsa, sugli alti fianchi le finestre lasciano passare il sole dentro le navate libere e nude nella prima bellezza: l'incantevole pala dell'altar maggiore leva sotto l'abside i suoi ordini di vescovi e di martiri quasi sorridenti nella gioia della riacquistata santità: sei cappelle dietro di loro si profondano in un'ombra mistica sotto le vetriate dipinte, e dalle pareti, dalle volte, dagli altari, dalle lampade ripetono le orazioni francescane aspettando nuove anime e voci oranti.
Solo in alto le due torri guardano malinconiche e mute, perchè le offese alla loro bellezza non furono ancora riparate e si veggono più da lungi.
Ma presto il coro delle campanelle regalate da Carlo V canterà anche lassù, e tutto il tempio esulterà cinto da un bosco di querce, lambito dall'alito di nuovi fiori; e allora Alfonso Rubbiani, il poeta credente, che resuscitandolo dalle rovine diede all'Italia e alla fede uno dei più puri monumenti, sorriderà ai compagni fedeli dell'opera nei giorni lunghi e faticosi, poi abbassando la testa si sentirà ancora solo come adesso, come sempre.
Non importa: io vi conosco, poeta credente, anonimo maestro, che vi nascondete nell'opera degli scolari, vi conosco, e vi ringrazio a nome di tutti, specialmente degli increduli, che cercano anch'essi come voi, fra i segreti del passato e nella bellezza dell'arte, un motivo alla vita.
14 febbraio 1902.