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IV.

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Nemmeno le declamazioni volgarmente rettoriche di Liberi pensatori da strapazzo valsero a scemare l'orrore e il ribrezzo di quegli auto-da-fè, ne' quali la sinistra fantasia di Filippo e de' suoi toccò, colla squisitezza de' tormenti e colla scenica atrocità dell'apparato, per così dire, il sublime della ferocia. “La coscienza umana, esclama uno scrittore cattolico francese, non se ne consolerà mai!„ Ma col suo Sovrano che, in pericolo d'affogare, faceva voto al Dio delle misericordie,, se lo avesse tratto salvo al lido di Spagna, d'immolargli il più splendido auto-da-fè che avesse fino a que' giorni fatto fremere le viscere della Umanità, ardisce contendere in efferatezza il suo Duca d'Alba; il quale, spedito nelle Fiandre ribelli,

.... il general perdono,

Tutti escludendo, ai Batavi bandisce,[2]

e dal suo “Tribunale di sangue„ manda in pochi mesi al patibolo 17 000 vittime, costringendo all'eroismo della disperazione e inalzando alla grandezza di un'epica perduranza e di favolosi combattimenti quel gueux, che nel principio s'erano mostrati sì cautelosi, e preoccupati delle loro comodità ed interessi. Dicono che quando su due pali ferrati vide infisse le teste dei Conti di Egmont e di Hornes, già fidi e cari amici di Carlo V, copertisi di gloria per Filippo II a San Quintino ed a Gravelines, anco il Duca, nel lutto universale, piangesse; ma le lacrime non gli vietarono di proseguire implacato la mostruosa opera sua; sinchè, più che il grido d'Europa, più che la voce della coscienza, la manifesta inefficacia di cotali mezzi non ebbe indotto Filippo a sostituirgli il Requesens, che all'aperta brutalità faceva seguire ipocrita e ormai non creduta dolcezza.

La Parte cattolica che, aggredita, reagì prima; che, cullatasi nella fiducia ormai più volte secolare di un incontrastato dominio, rimbalzò con tutte le energie della stupore, del terrore, della indignazione, contro chi veniva a sturbarnela; che, nella difesa delle proprie dottrine e in quella, pur troppo non meno acre, dei proprî interessi temporali, procedette con tanto più inesorata, energia, quanto più era convinta di provvedere per tal modo alla salute eterna di que' medesimi, a' quali faceva fronte, la Parte cattolica, dico, porta in generale la maggiore, anzi presso i più, l'unica odiosità di quelle scene di sangue. Cattolico, io deploro, più che non possa qualsiasi Libero pensatore, che il Cattolicesimo abbia stimato potersi e doversi difendere nel modo, in che s'avvisarono di difenderlo Filippo, il Granuela, il Duca d'Alba, e altrettali; deploro che allora (come oggi, del resto) tanta scoria terrena si mescolasse allo zelo di certi difensori ed apologisti; ma, nel vero, i Cattolici, maggioranza numerica ed aggrediti, fecero quello che, dov'erano maggioranza, facevano i Dissidenti aggressori.

Il rogo, sul quale Calvino fece ardere Michele Servet, può parere poca cosa (al Servet non pareva certo) di fronte alle migliaia accesine dall'Inquisizione; ma Scrittori protestanti deplorano quel pazzo furore iconoclasta, che, indarno contrastato dallo stesso Principe d'Orange, sino dal principio della sollevazione spinse alla devastazione delle chiese cattoliche e al sangue i Calvinisti fiamminghi. Alla Dieta di Spira si era dovuto espressamente sancire che, ne' paesi ove dominava il Protestantesimo (ove cioè era Protestante il Capo dello Stato, qual che si fosse poi la credenza dell'universale o della maggioranza), non si vietasse da loro la Messa a' Cattolici. Alla Dieta di Augusta, dove Ferdinando I d'Habsburgo si dimostrò il più sincero amatore di pace, e fautore di reciproca tolleranza (o che così sentisse, o che così gli dettassero la tema de' Turchi e la brama di ricuperar l'Ungheria), i Protestanti non si mostrarono meno acri a oppugnare che i Cattolici a sostenere il Riservato ecclesiastico, vietante il passaggio de' beni ecclesiastici dalla Confessione cattolica alla dissidente, per mutata Fede del titolare. Nella stessa Dieta i Luterani non furono men fermi de' Cattolici a escludere dalla pacificazione religiosa i Calvinisti, i Sacramentarî, gli Anabattisti odiatissimi, gli Utraquisti di Boemia. Ferdinando adoperavasi bensì a fermare il principio che, negli Stati ecclesiastici dell'Impero, officialmente cattolici, fosse guarentita contro le persecuzioni del Principe la coscienza dei Dissidenti, che potevano anco divenir maggioranza o quasi totalità; ma i Casisti sì dell'una che dell'altra parte, i quali, secondo l'espressione d'un nostro Cronista, “cominciarono a interpretare„ si trovarono, d'accordo, beati loro! Cattolici e Dissidenti, su questo unico punto: che a' professanti Fede diversa da quella del proprio Sovrano restasse la invidiabile libertà di vendere i proprî beni, ed andarsene altrove. Le persecuzioni d'Elisabetta contro i Cattolici inglesi eran tali, che Filippo II osò raccomandarle maggior tolleranza. Non è detto se proponesse ad esempio sè stesso!

E per un pezzo e in più luoghi ad un tempo si proseguiva collo stesso sistema, e co' criterî medesimi. Pel trionfo de' suoi Indipendenti il Cromwell percuoteva di colpi non meno aspri i Cavalieri aristocratici, che i Livellatori ultra democratici; ma, più che questi, desolava con sistematiche devastazioni la cattolica Irlanda, le cui miserie datano dal Governo di questo alleato del Re Cristianissimo. In Svezia Erick XIV perseguitava i Cattolici; a Mosca Ivan IV concedeva bensì la erezione di un tempio Calvinista e d'uno Luterano, ma il furor popolare imponevasi anco al terribile, che doveva farli trasferire a due verste fuor di Città; le Carte costitutive di quelle colonie nord-americane, nelle quali i Dissidenti inglesi si rifuggivano dalla tirannide dello Stato, e della sua Chiesa officiale (established Church), consacravano solennemente la più esclusiva intolleranza religiosa.

V'era in Europa, dopo la pacificazione d'Augusta, una Confessione di più; che i Principi potevano abbracciare senza esser messi al bando dell'Impero, al bando del Diritto pubblico; ma che poi un Suddito potesse professare altra Fede da quella del suo Sovrano senza farsi ribelle, non si voleva ammettere; i diritti della coscienza religiosa individua di fronte allo Stato, la incompetenza della Società civile a conoscere in materia di Fede, l'obbligo dello Stato di restringere al campo sociale e politico l'azione propria, erano lungi dal venire riconosciuti.

Ove peraltro ambizioni e cupidigie politiche si trovassero, come in Francia, in più intimo accordo coi risentimenti cattolici; ivi, segnatamente se vi soffiava dentro lo spirito di Filippo II, l'odio proruppe più atroce. Dopochè, a Parigi, il supplizio dell'onesto e saggio Consigliere Anne Dubourg, predicatore di tolleranza, aveva, il 23 dicembre 1559, contrassegnato lugubremente il cominciamento delle influenze dei Guisa, l'aperta guerra religiosa divampava nel 1562, per mano dei Guisa stessi, colla gratuita, spietata strage di Vassy. Nello stesso anno i compagni del Calvinista Ribault, recatisi, per consiglio del Coligny, a colonizzar la Florida, v'eran sorpresi dallo spagnuolo Mendez de Aviles, e impiccati tutti quanti colla scritta: “Non come Francesi, ma come Calvinisti.„ Per Filippo II, nel Piemonte non anco restituito al suo Duca, il Governatore Spagnuolo di Milano faceva strage di quei Valdesi, che dovevan più tardi sentir l'ira, non meno feroce, di Luigi XIV. Della Saint-Barthèlemy, cui non scema o accresce orrore qualche centinaio di morti che gli Scrittori dell'una parte scemino quelli dell'altra accrescano al noverò, consigliatori e inspiratori, furono, questo è certo, Filippo II e il suo Duca d'Alba. L'uno e l'altro potevano ben ravvisare un degno loro discepolo in quel Duca di Feria, che' da Milano, eccitando al Sacro Macello (19 luglio 1520) contro i Grigioni i Cattolici di Valtellina, sperava assicurare con quello alla Spagna l'ambita conquista della Valle superiore dell'Adda. Loro degnissimo alunno quel Bedmar, la cui congiura contro Venezia non è chiaro, qualora avesse sortito i suoi micidialissimi effetti, se sarebbe servita a incremento massimo della dominazione spagnuola in Italia, o ad ingrossare di tanta e tal preda lo Stato indipendente, che il Vicerè di Napoli Ossuna sognava di procurare a sè stesso (1618). Il Governo Veneto, decadente già, ma non peranco del tutto degenere, represse l'insano tentativo con maggiore agevolezza e prontezza, che non lo stesso Governo, genovese, allorchè questo, dieci anni più tardi, ebbe a sfatare l'oscena congiura di quel Vachero, con cui si direbbe incredibile che fosse entrato in accordi tal uomo, quale era Carlo Emanuele.

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