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L’IMPIEGO DEGLI ELICOTTERI

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Notizie flash e previsioni meteo: a Merano è stata rapinata una banca e il tempo resterà bello. Max apre l’armadio in camera da letto. All’altezza degli occhi c’è una pila di magliette alta come una torre. Estrae una T-shirt rossa di Ralph Lauren, la pila viene giù e una catasta di biancheria cade per terra come la frutta troppo matura in autunno. Serve qualcosa di nuovo, magari una cabina armadio. Max si piega sulle ginocchia, tira fuori una pila di vestiti dal mucchio, sceglie un paio di pantaloncini beige e getta gli altri sul letto. Niente calze, si metterà i sandali. Le calze nei sandali fanno un’impressione strana. Da bidello. Il custode della scuola tecnica commerciale indossava calze di filo grigie con i sandali. Le tirava su fino ai polpacci secchi e subito dopo non c’era niente, solo le ginocchia nude e sopra il grembiule da lavoro grigio con le tasche sformate, erano sempre sformate. Il custode non ci metteva dentro le mani e non tirava fuori niente, come se nelle tasche ci abitasse qualche topo.

Katharina è in bagno, di fronte allo specchio. Lui la spinge fuori, si lava i denti e si fa la barba.

Notburga sta scarabocchiando su una pagina del “Dolomiten”. “Questi qui con le loro abbreviazioni! Cosa ne so io di come si abbrevia Oberstudienrat?” Max si china sul giornale: “OST, mi sembra”.

Il nuovo televisore, certo. Devono consegnarlo. È già stato ordinato e arriverà presto. Notburga prende la tavoletta, poi spiega un foglio di carta bianco, ci mette sopra la tavoletta, infila la matita nel foro, chiude gli occhi e prende le mani di Max. La tavoletta scrive: “Brutta aria. La lite finirà male”. Non dice nient’altro, come se fosse offesa. La tavoletta lo sa: Fausto e Franco litigano parecchio. Sono giorni che Franco non fa che rimproverare Fausto e lui ieri è saltato in piedi con il pugno serrato, Max ha dovuto mettersi tra i due. Si tratta di qualche femmina? Max non lo sa e non vuole saperlo, ma bisogna stare tranquilli. Proprio adesso!

Ha chiamato Luigi, era ora. Si incontrano al distributore di benzina poco prima di Bolzano. Luigi parcheggia la Fiat accanto all’autolavaggio e sale sulla Range Rover.

Confine con l’Austria. Il doganiere italiano fa un giro intorno alla macchina. Una vera Range Rover! Max abbassa il finestrino, gli allunga i passaporti. Ma il doganiere non li guarda nemmeno, infila la testa nell’auto, ammira il cruscotto, chiede del numero di cavalli e della cilindrata e se Max con la Rover va nei boschi. Lui si è fatto il deserto algerino con una Lada Taiga. Nessun problema sulla sabbia, ne sono venuti fuori dappertutto. Là non ci sono strade, solo piste, percorsi di sabbia dalla lunghezza infinita dove si può restare bloccati. E in mezzo al Sahara una donna beduina gli ha regalato una mela. Luigi tira fuori un pacchetto di Marlboro dal taschino della camicia azzurra di Pierre Cardin. Max gira la chiave dell’accensione, l’Adamo del deserto continua a sproloquiare sulla sua Eva beduina e sulla sua preziosa mela. Luigi si accende la sigaretta, soffia il fumo attraverso il finestrino aperto. Dietro la Rover si è formata la fila, i guidatori suonano il clacson. Max mette in moto l’auto, si avvia lentamente al controllo passaporti austriaco, il doganiere gli fa un cenno.

Luigi impreca contro il caldo, dopotutto sono in Austria e in mezzo alle montagne, dovrebbe fare più fresco. Max posiziona l’aria condizionata su freddo glaciale. Si fermano a un autogrill e Luigi compra due bottigliette di Coca Cola. La cassiera non accetta le lire, Luigi tira fuori dal portafoglio imprecando una banconota da cento scellini. La cassiera gli restituisce soldi austriaci. Tra poco ne avranno molti di più.

Luigi si mette la seconda bottiglietta di Coca Cola sulla fronte e sulle guance e la fa rotolare su e giù. L’aria condizionata soffia il suo respiro gelido dentro la Rover. Ecco finalmente l’uscita Innsbruck Süd. Escono, ci sono poche auto sul raccordo autostradale. Max esamina attentamente le zone circostanti. A sinistra c’è una strada stretta difficile da notare, è piuttosto una strada forestale. Max guida l’auto su per la stradina addentrandosi per un po’ nel bosco. Sta cercando un posto riparato, trova una zona ghiaiosa. Ecco, qui possono parcheggiare l’auto. Scendono e si addentrano ancora più nel bosco, sulla collina da cui si riescono a vedere bene l’autostrada vicina e lo svincolo. Luigi indica in basso, da lì – muove il braccio e la mano a destra – arriverà il furgone carico di scellini da depositare a Innsbruck. Ci saranno dentro due uomini. Si saranno dati il cambio alla guida durante il viaggio, ma saranno comunque stanchi. Stanchi per il viaggio faticoso sulle autostrade italiane, da Bologna, dove le strade sono sempre intasate, in direzione nord. Attraversare l’Alto Adige a Ferragosto è un inferno.

Fa molto caldo già di mattina. Max infila tutte le cartucce nel taschino, indossa il berretto e sale su una Renault rossa. La Rover rimane nel bosco vicino a Innsbruck. Se i conducenti del furgone dovessero fare resistenza e si dovesse arrivare a un conflitto a fuoco, allora via sui sentieri impervi e pieni di sassi: con le loro vecchie carrette della polizia nel sottobosco non lo troveranno mai.

Max guida fino al punto di incontro. Franco è appoggiato alla portiera del guidatore. L’altra auto è un Mitsubishi Pajero grigio scuro. Franco getta il mozzicone della sigaretta sulla banchina e resta in piedi a braccia conserte. Max gli chiede perché non sale. Franco gira la testa verso il finestrino, Fausto tiene lo sguardo fisso davanti a sé con aria rabbiosa. Un’altra lite! Max apostrofa Franco: sali! Franco apre la porta del guidatore e sale in auto. L’aria è carica di elettricità, la rabbia diventa opprimente come una cappa di piombo.

Max ha bevuto un caffè e un bicchiere d’acqua. Con questo caldo deve bere molto per tenere la mente lucida. Non lo dice ai ragazzi se no si scolano una birra già di primo mattino – anche quella tiene la mente lucida. Sono nervosi, dicono. Max proibisce le bevute, niente alcol prima di aver sbrigato il lavoro. C’è un tempo per il dovere e uno per il piacere.

Max va avanti. Oggi c’è tutta Italia per strada, come se dovessero fare provviste per l’inverno o per una guerra mondiale. Vorrebbe suonare il clacson, spazzare via tutti dalla strada. Ma si costringe a stare calmo, niente liti. La tavoletta l’ha predetto, ne deriverebbero solo seccature.

“Vi uccideranno”, ha detto Notburga. Max non ha risposto, non ha detto niente, neppure ai ragazzi. Loro non gli credono. Sono testardi, sono dei bulletti pieni di foga e alla fine quel che vogliono è contare i soldi. “Non li conteremo”, dice Max, “li peseremo.”

Oltreconfine il sole del tramonto posa i suoi raggi benevoli sull’autostrada austriaca deserta fiancheggiata da verdi boschi di conifere, abeti rossi e bianchi. A sinistra compare un lago, Max guarda fuori. Sarebbe bello scendere, togliersi i vestiti, tuffarsi, fare qualche energica bracciata, proseguire il viaggio rinfrescati. Ma non c’è tempo per il refrigerio. Tasta tra i piedi, apre la borsa sportiva, tira fuori dell’acqua minerale, apre la bottiglia con i denti, si versa un po’ d’acqua sulla testa e beve il resto. Bere molto per tenere la mente lucida.

Poi getta la bottiglia vuota dietro, la sente cadere sul sedile e rotolare giù, vede nello specchietto che il Pajero è due auto dietro di lui.

Vanno ancora avanti, finalmente compare un cartello: area di sosta di Nößlach a 2000 metri. Il Pajero ha recuperato terreno, c’è Franco alla guida. Max indica l’uscita. Si fermano, bevono, si sgranchiscono le gambe, pisciano dietro i cessi perché dentro c’è troppa puzza. Max vuole impartire le ultime istruzioni, ma i ragazzi gli danno un’occhiataccia e lui ammutolisce.

Avanti verso nord. Di fianco all’autostrada scorre un torrentello. Max ha studiato bene la mappa, si tratta del Grüblbach. Ora sta pensando: a come andrà, se lasciare aperta la palestra, se è meglio comprarsi una Porsche o una BMW 850. Vedremo. Dopo la rapina tenere la palla a terra fino a quando i custodi della legge andranno a custodire da qualche altra parte e a fare in modo che le brave persone non siano disturbate. Max guarda l’orologio, sono le 19. Ancora una mezz’ora. Costringeranno il furgone portavalori a fermarsi, trasborderanno i sacchi pieni di denaro, saliranno sulle macchine e taglieranno la corda. Dietro il Brennero le abbandoneranno, saliranno sui piccoli bolidi che hanno parcheggiato là e torneranno indietro. Bisognerà ascoltare la radio, guardare la televisione e controllare i messaggi sulle radiotrasmittenti. Cosa sanno i carabinieri? Ne sanno troppo? Allora piano B: proseguire verso sud, nascondersi a Vicenza, Padova o Venezia e aspettare fino a quando le acque non si saranno calmate.

Ma non ci sarà un piano B.

Max ha quasi superato l’uscita sud dell’autostrada e fa onore alla corsia di decelerazione: da centosessanta a ottanta all’ora in tre secondi. Il Pajero è incollato dietro di lui. Escono, proprio lì davanti c’è la stradina sterrata. Si dirigono veloci ai posti convenuti. Il Pajero è fermo più avanti verso sud. Quando arriverà il furgone, il Pajero lo bloccherà da davanti e la Rover da dietro, bisognerà calzare le maschere e correre fuori. Se i conducenti non dovessero arrendersi subito spareranno dei colpi di avvertimento alle ruote e poi gli punteranno contro le pistole. In ogni caso bisognerà sparare contro le ruote fino a distruggerle e sequestrare tutte le ricetrasmittenti, portare via qualsiasi apparecchio con cui i due tizi possano chiamare aiuto. Max afferra il walkie-talkie: “Sono le 19.35. Il furgone arriva da destra, a ore tre. L’informatore dice che sarà qui alle 19.50. Passo”. “Capito. Passo”, risponde Franco.

Subito dopo l’assalto il sole tramonterà. Proseguono a luci spente. Non sull’autostrada, perché li cercheranno proprio lì. Scivoleranno sulla statale del Brennero che corre parallela. Invisibili sulla strada deserta, come dei fantasmi.

Ore 19.48. Max contatta l’informatore via radio. Dov’è il furgone? Arriva, abbiate pazienza, sarà qui presto. Improvvisamente si sente un frastuono, un’auto si dirige a tutta velocità verso Max, la luce dei fari è accecante. Non è il furgone portavalori. Sulla sua testa volteggia minaccioso un elicottero. L’auto inchioda, si sentono degli spari. Saltano giù degli uomini in tuta mimetica, sono armati. Sono militari, no, poliziotti. L’elicottero volteggia sopra il tetto dell’auto e spara. Max non lascia cadere il mitra. La Range Rover è circondata da BMW blindate, saranno tre o quattro. I proiettili la crivellano, sfondano la portiera del guidatore, gli passano di fianco fischiando ed escono dall’altra parte. I poliziotti urlano: “Giù le armi, arrendetevi, immediatamente!”. Pallottole nel ginocchio, nel bacino, nella coscia. Max vede il sangue che continua a scorrere, ha caldo, sempre più caldo. La gamba… è persa. I colpi continuano a esplodere vicino all’orecchio, i finestrini sono scoppiati. La vista gli si annebbia, ha le vertigini. Non deve svenire, non adesso. Alzarsi, fuori, a terra! Max apre la portiera del guidatore e si lascia scivolare per terra, non riesce a camminare né a strisciare, non riesce neppure a muoversi. I proiettili cadono a pochi centimetri, a pochi millimetri, colpito. Un colpo alla mano. Un colpo vicino all’orecchio. Un frastuono incredibile. Il sangue di Max si riversa per terra, la inzuppa.

Prima di morire, si dice, ci passa davanti tutta la nostra vita.

Max Leitner

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