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LA VITA

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L’intera sua vita gli passa accanto. Passa accanto a Max e va lontano da lui, verso qualcun altro. Non starà nascendo un bambino in questo momento? L’anima di Max non volerà proprio verso questa nuova creatura? Non volerà dentro di lui? Non attecchirà in lui? E non ricomincerà tutto da capo in qualche altro luogo? Da zero, completamente? E dove sarà, in Indocina o in Africa, in Canada o in Australia? Speriamo in un posto in cui fa caldo, pensa Max, perché ora ha freddo. Ha un freddo così terribile che è convinto che non si riscalderà mai più. I proiettili piovono da tutte le direzioni. E la vita gli passa accanto. Non si ricorda della sua nascita, e quasi nulla dei primi anni. Era l’inizio degli anni Sessanta, al maso. Una casa grande con una stalla, e dietro i prati e vicino il bosco. Nella stalla c’era il bestiame, a sinistra i campi di mais.

Poi era avvenuto il grande incendio. Era notte, e tutta la casa era andata a fuoco. Era bruciato tutto tra fiamme altissime. Sua madre era corsa fuori dalla casa con i bambini e suo padre aveva creduto di poter ancora salvare gli animali. Ma sua madre era corsa da lui e gli aveva urlato: il Poldi è ancora dentro. Allora suo padre era uscito a rotta di collo dalla stalla, tanto che aveva quasi fatto cadere la mamma, era corso verso la casa ed era saltato su uno dei travetti del tetto, che si era appena schiantato in fiamme davanti alla porta. Poi era entrato, ed era tornato fuori con il piccolo. Dio sia lodato, aveva detto sua madre, e aveva pianto tutta la notte e poi ancora le notti, i giorni e le settimane successivi. Suo padre aveva parlato con quelli dell’assicurazione ma senza riuscire a ottenere niente. Era sottoassicurato, gli aveva spiegato il tizio, e suo padre aveva detto che le assicurazioni sono una massa di imbroglioni.

E poi si erano trasferiti in un piccolo appartamento. Questo Max se lo ricorda bene. Era buio e lui aveva molto freddo perché il suo letto era umido. Era sempre umido, sia d’estate che d’inverno, perché accendevano il riscaldamento con parsimonia. Suo padre diceva che faceva bene ai bambini, li induriva. E così era diventato anche lui. Duro. Non sorprende affatto che qualcuno diventi duro perché è stato sottoposto a un trattamento del genere. Lo diceva anche la maestra, che Max era troppo duro. Troppo duro, diceva, era ostinato e irriducibile. Non lo piegava nessuno. Così non andava bene. Avevano cercato lo stesso di piegarlo, e allora non era più andato a scuola. La maestra non sapeva più come aiutarlo, tanto era ostinato. E allora l’avevano spedito a Cesenatico. Dare in affido un ragazzino di neppure dieci anni, e mandarlo così lontano da casa. La scuola era così dura che Max riusciva a malapena a tenere il passo con i compiti. E il collegio non era meglio. Non mangiavi la pastasciutta? In punizione. Non ti svegliavi al mattino? In punizione. Giocando a pallone finivi coinvolto in una rissa? Una settimana in punizione. Così aveva tagliato la corda, insieme a quel ragazzo di Bolzano: erano scappati via dalla città con l’intenzione di tornare a casa in corriera. Ma erano stati scoperti da suor Chiara alla fermata dell’autobus e lei li aveva riportati indietro. Max aveva pianto ma non era venuto nessuno a consolarlo, così lontano da casa. Ottimo, aveva detto suo padre, così il ragazzo diventa indipendente. E lui lo è diventato. Completamente indipendente. E molto duro. Perché anche restare solo lontano da casa è un modo per indurirsi.

Al suo ritorno era diventato un altro. Oddio, non proprio un altro, ma un fallito. Aveva compreso che alle persone non si può dire tutto. Che ci si deve tenere dentro molte cose e ce la si deve sbrigare da soli. Che si può fare affidamento su poche persone, anzi su pochissime. Forse ora dovrebbe ridere quando ci pensa, perché si è fidato di nuovo di qualcuno di cui non poteva fidarsi. Ma non ride. Il sangue scorre, la vita se ne va, esce da Max e sprofonda nel terreno. E là si disperderà.

L’istituto tecnico commerciale. Chi aveva avuto l’idea di ficcare Max proprio in una scuola commerciale? Forse la maestra della scuola elementare? Aveva messo lei la pulce nell’orecchio a sua madre che Max un giorno sarebbe potuto diventare un impiegato? Un contabile con le mezze maniche che si porta il caffè da casa nel thermos insieme al panino con lo speck? Al terzo anno aveva lasciato la scuola.

E poi il primo crimine. Allora conosceva già Franco. Si erano ficcati dei collant in testa ed erano entrati in banca correndo, con in mano delle armi giocattolo. L’impiegata della banca, che nella giornata mondiale del risparmio distribuiva salvadanai e il gioco in scatola “Non t’arrabbiare”, si era spaventata, tremava come una foglia dalla gran paura ed era bianca come un cencio. Max aveva spinto la borsa sul tavolo e l’impiegato l’aveva riempita, poi erano scappati. Un colpo da ragazzotti stupidi. Ma improvvisamente avevano dei soldi. Soldi da spendere in discoteca e per le ragazze. Max si era comprato la sua prima auto, una Golf quasi nuova.

La vita gli passa oltre. Max non riesce a muovere la mano, è rimasta incastrata nel mitra. Non c’è aria, ha le vertigini. Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le – Franco si è arreso – donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.

Anche Fausto si è arreso. E allora perché continuano a sparargli addosso?

Era già qualcosa, all’epoca. Così tanti soldi in una botta sola, così facilmente e senza nessuna fatica. E la vita era qualcosa, era una festa perenne. Tutto era una festa, una festa allegra dove si beveva e si rideva ad alta voce. A voce alta, molto alta. E per tutto il resto della vita Max non sentirà più nulla, solo questo sibilo dei proiettili. È l’ultima cosa che vede e che sente. Non ha più aria, non riesce a respirare. Gli hanno perforato un polmone. Ha della terra in bocca. O è sangue, ha un sapore schifoso, sembra aceto. Sente un dolore alla mano, è come un chiodo. Max non può fare a meno di sputare, di tossire, poi cala il buio, diventa tutto nero. È finita, è andata.

Per l’eternità, amen.

Max Leitner

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