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PARTE PRIMA
Daria
IV

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Noi, dunque, bevemmo, e Sterpoli per brindare urlò: – Questa sera voglio ridere!

S'era seduto sul tavolo e brandiva il bicchiere come una clava, il bicchiere che era vuoto.

Carlo Clauss stava fermo. Con voce pacata disse:

– Tu Sterpoli sei giovane. Hai buon tempo.

– Ahi! Ah! – sghignazzò Sterpoli. – Io sono giovane? Io sono pazzo. Mio buon maestro, tutte le malattie sono contagiose. Ti sembra strano? Un granello di sabbia basta, un granello di polvere è anche troppo… Ho veduto Daria ballare… Qualcuno ha detto: – Le gambe di quella donna sono le corna del diavolo! Che te ne pare? Il diavolo non è dunque così brutto come si dipinge?

Io m'ero seduto in un angolo e stavo a guardare Sterpoli che pareva davvero impazzito. Si era arruffati i capelli, e quei suoi riccioli rossi gli davano l'aspetto tragico e buffo di una furia. Clauss levava ogni tanto su lui gli occhi senza sorridere. Sterpoli anche lo guardava di sottecchi quando taceva, e trangugiava bicchieri d'un fiato. Gli altri non gli badavano, come se non ci fosse.

– Io non capisco – diceva con tono grave uno di quei giovani, rivolto a Clauss – come possano durare pregiudizi di specie così volgare. Tizio è gravemente afflitto perchè non sa che cosa pensare dell'al di là, e cerca di passare qualche ora piacevole con Eunica, che ha le poppe forti. Caio soffre per una delusione amorosa, e invita gli amici a bere un suo vecchio vino d'uva. Eumolpo è stato fischiato a teatro o ha perduto in Borsa, e va a prendere un bagno profumato. Sempronio ha sepolto suo padre, e si regala una eccezionale pietanza di tartufi a cena. Ma, in somma, signori! Per i dolori dell'anima si deve dunque consolare il corpo? E c'è ancora chi crede sul serio che anima e corpo siano due cose distinte!

– Ahimè! – esclamò un altro. – Che c'importa dell'anima e del corpo? Che siano due o uno? Quando tu baci Clarissa, la baci con l'anima o col corpo? L'importante non è di baciare Clarissa?

Clauss rise.

– Infatti, – disse, – è Clarissa che importa.

Improvvisamente, d'un colpo, la porta si spalancò e tutti ammutolirono. Una donna, avvolta in un ampio mantello scuro che ella teneva stretto alla cintura e al collo con ambo le mani, apparve sulla soglia. Volse intorno gli occhi, dardeggiando sopra gli astanti sguardi obliqui, si avanzò di due passi e si fermò in mezzo alla stanza.

– Clauss! – disse con voce così profonda e velata che mi dette i brividi. – È la seconda volta che mi insultate in pubblico, tu e il tuo seguito di servitori. Io non posso più sopportare… Io sono stanca… Io ti odio…

Come se queste parole le avessero tolto ogni forza, ella si appoggiò con una mano all'orlo del tavolo per non cadere. Il mantello, aprendosi, lasciò scoperto il suo collo, su cui brillava un grosso smeraldo. Tutti, intorno a me, sembravano pietrificati. Sterpoli era sceso dal tavolo e guardava dinnanzi a sè, bocca e occhi aperti da ebete. Soltanto Clauss pareva calmo. Egli si era alzato e si era fermato di fronte a lei. Le sue pupille diritte fissavano senza tremare il volto della donna; senza tremare sostenevano il suo sguardo torvo e minaccioso.

– Daria, – soggiunse alfine inchinandosi, – che dite mai? Chi vi ha offesa? Chi vi ha insultata?

I suoi occhi si volsero un poco verso Sterpoli, che lentamente si era avvicinato a lui ed ora gli stava a fianco. Il volto del giovane di rosso s'era fatto cinereo. Aveva la fronte imperlata di sudore e a stento tratteneva il respiro. Pareva che volesse parlare, poichè ogni tanto moveva le labbra; ma senza fiato. A un tratto avanzò ancora di un passo, tese la mano, che gli tremava, fino a sfiorare il braccio della donna, e con un filo di voce mormorò:

– Andiamo… Andiamo via… Perchè sei venuta? Perchè?

Clauss non si mosse. Nemmeno Daria si mosse, ma un sorriso pieno di disprezzo inarcò le sue belle labbra lunghe, e illuminò il suo viso.

Paolo attendeva, con la mano sollevata, tremante.

– Infine! – esclamò Clauss con un gesto d'impazienza. – Io non so di che cosa mi possiate accusare… Sono vostro amico… Ho tentato ogni via per piacervi… Che debbo fare ancora per voi?

Daria abbassò il capo, respinse con un moto violento della mano la mano sempre tesa di Sterpoli e si abbattè piangendo sopra una sedia.

Un profondo silenzio seguì quell'avvenimento inaspettato.

– Piange? – mormorò una voce alla mie spalle. – È mai possibile? È anche capace di piangere?

Il volto di Sterpoli esprimeva una vera costernazione. Anch'io ero sconvolto e guardavo ora la donna che piangeva con piccoli singhiozzi simili al tubare delle colombe, ora Clauss immobile, e ora Sterpoli che tremava.

– Che accade? – pensavo. – Chi è questa donna? E perchè piange?

Mi curvai un poco e le dissi:

– Non piangete… Non è il caso di piangere!

Ebbi paura del silenzio che accolse la mia voce. Daria infatti sollevò il capo.

– Chi è costui? – domandò dopo un istante. – Che cosa vuole da me?

– Nulla, – balbettai, – nessuno…

S'era fatto un gran vuoto nel mio cervello. Ma la vampa che m'affocò il viso m'avvertì che m'ero coperto di ridicolo.

– Nulla… – ripetei senza comprendere il senso delle mie parole. Dico che non si deve piangere… Come potete piangere dinnanzi a tanti uomini?

Poi mi ritrassi in un angolo e nascosi il viso fra le mani per coprire il mio rossore. Con gli occhi chiusi non udivo più nulla. La donna non piangeva più; aveva cessato di piangere, di tubare, e nessuno parlava. Di lontano, confuse, giungevano fino a noi le cadenze d'una danza turca, e un ronzìo di voci umane mescolate al rullar persistente di un tamburo. – Che accade? – pensavo senza trovare il coraggio di muovermi. Pareva che tutti fossero morti intorno a me o che tutti se ne fossero andati. Improvvisamente Clauss esclamò:

– Daria! Daria, ti amo!

Udii un grido, apersi gli occhi e vidi Daria alzarsi in piedi sconvolta. Con un gesto rapido, violento, strappò dal suo collo la collana con lo smeraldo e la scagliò dinnanzi a sè gridando: – E io ti odio! Poi si volse e fuggì.

Sterpoli ricevette il colpo sugli occhi come una frustata, restò un istante fermo con la mano distesa sulla fronte e le palpebre chiuse. Balbettò: – Non era per me! Era per te, per te Clauss, per te solo! – e brancolando uscì dalla stanza.

– Daria! Daria!

Il suo richiamo si ripetè due volte e poi si spense. La porta sbatacchiò. Parve, quando la porta fu chiusa, che sopra di noi si fosse dissipato un temporale.

– Sono dolentissimo, amici, – disse con dolcezza Clauss, – di quanto è accaduto. Veramente non c'è nemico peggiore di una donna…

– Come è possibile? – domandò con grande vivacità quel giovine che poco prima parlava dell'anima. – Ha pianto! Questo è straordinario!

– È una donna, – soggiunse Clauss sorridendo.

– Ma perchè è venuta? – domandò un altro.

– Per mentire… – rispose Clauss.

Poi mormorò: – Me ne vado.

Ce ne andammo: io solo lo seguii. Il teatro era ormai semivuoto. Un vecchio in marsina era caduto rotoloni giù per le scale e un servo cercava di tirarlo su per le falde. Fuori la notte, alta, serena e molto stellata ci sorrise, ed io la contemplai con gioia tra le due fila di case, lungo tutta la strada, da un lato e dall'altro. Lentamente c'incamminammo. Clauss mi teneva per mano. La sua mano era fredda.

– Vedi, – mi disse dopo un lungo silenzio appoggiandosi al mio braccio, – senza volere tu hai umiliato quella donna… Con molta semplicità (troppa semplicità) l'hai toccata nella sua piaga…

– Come? – mormorai. – Io l'ho umiliata?

– Sì. Se tu le avessi detto: – Orsù, Daria, non vi vergognate di piangere? – non l'avresti maggiormente umiliata ed offesa. Così l'hai ferita nel suo orgoglio. Infatti che cosa diventa l'orgoglio di una donna che piange? In un momento simile?

– È vero, è vero… – mormorai. – Io non sapevo… Ah! Clauss! Io non so niente!

– Ora, – soggiunse Clauss con dolcezza, – son certo che ella non odia nessuno tra noi quanto te. Tu solo sei stato pietoso. Tu e Sterpoli. Ma Sterpoli non conta.

Eravamo giunti dinnanzi al cancello della sua casa. Egli si fermò e mi disse:

– Ritorna domani. Ho bisogno di te. Addio!

Mi strinse la mano. Poi mi baciò sulla gota e soggiunse:

– Spero che non crederai davvero che io sia innamorato di Daria. Io non ho mai amato nessuno…

E mi lasciò solo.

Il perduto amore

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