Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 10

VII.

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L'Idola è furente contro Totò!... Totò, invece di mostrarsi amabile, invece di essere «entrante e discorsivo» con i giovinetti e con i giovinotti della sala da ballo e del tennis, rimane duro, impettito, non parla con nessuno, non si lascia avvicinare da nessuno!

— Sei noioso! Sei impossibile! — borbotta. Poi dà un'alzata di spalle e se ne ride. — Noiosissimo ed anche cretino!

Totò è geloso. Sotto l'anglico aspetto, batte un cuore meridionale, sensibilissimo. La classica musoneria di Totò, adesso non è più una posa elegante; è uno stratagemma d'amore. Tenendo tutti a distanza, spera di tener tutti distanti da Remigia.

Lì, a Villars, ha paura più che mai e, per conseguenza, è più che mai geloso, sospettoso, imbronciato. Nelle sue inquietudini c'entra anche il numero tredici. Come tutti gli innamorati e i disgraziati, anche Totò è diventato superstizioso e teme la jettatura. Nella spedizione del bagaglio, il suo baule è toccato il numero tredici! All'albergo gli hanno dato la camera numero sessantasette: sei e sette, tredici!

Villars gli deve portar sfortuna!

Anche Totò aveva subito notato, con un respiro di soddisfazione, che alla Tête-pointue il don Luciano numero due, non c'era. Ma poi il respiro s'è fermato a mezzo:

— Se ancora non c'è, può capitare da un momento all'altro!

Con la faccia marmorea impassibile dietro la pipa di radica, fra una boccata e l'altra di fumo, indifferente e distratto in apparenza, ma con il cuore stretto dall'ansietà, egli interroga ogni giorno il signor Trüb e il segretario sul movimento dei forestieri: ad ogni arrivo è un'inquietudine... Ad ogni partenza un sollievo.

Poi, anche senza il don Luciano numero due, può forse sperare il misero Totò, in un'ora di pace?

Con Remigia?... Innamorato di Remigia?... La pace?... — Mai!

Quando lui e lei si trovano soli, — cioè soltanto con mammà, papà e compagnia, — quando viaggiano in carrozza o nel vagone riservato, allora, ma allora soltanto, gli concede Remigia, qualche buon quarto d'ora. Lui ne approfitta subito per fare raccomandazioni, recriminazioni, prediche; per sospirare, supplicare e ottenere promesse inverosimili di serietà e di docilità... Remigia, lì, mentre sono soli, lo ascolta senza collera, quasi con sommissione... Non ride, ma sorride tenera, affettuosa e sembra promettere e sembra concedere... — Ma appena arriva gente, di qualunque razza, — uomini s'intende, — l'incanto è rotto, Remigia si agita, parla forte, ride forte, gli occhi guizzano, lampeggiano... E l'Idola gli sfugge, non è più sua, è un'altra, è tutta per gli altri!

È una febbre, una smania che ha addosso quella civetta, di piacere, di far colpo!... Chi si sia, non importa! Persino vuol far colpo sul signor Trüb; se non c'è di meglio... persino sul portiere!

— Che disperazione, che inferno!... Proprio che inferno, — borbotta Totò — voler bene... così, a una donna, ad un essere... così!

A Villars egli non fa altro che ripetere, con Mimì, con la duchessa Cristina e con papà — con la Remigia non osa: — Fra tanta gente, non vedo ancora una persona per bene! Non c'è chic! Ho scorso il libro dei forestieri, — non c'è niente; non c'è un nome noto. Per ora non c'è da fidarsi. Non voglio far conoscenze per non correre il rischio di dover fare presentazioni. Per il tennis siamo già in quattro, con mademoiselle: si giuoca fra di noi!

Niente conoscenze, dunque; niente presentazioni!... — Così il buon Totò, crede e spera, ma poveretto si è troppo dimenticato del numero tredici, e ha fatto i conti senza Din e senza Don!

I due neri barboncini sono altrettanto amabili e socievoli, quanto l'orso innamorato è selvatico e feroce. Essi ruzzolano festevolmente fra le gambe dei forestieri e rispondono alle carezze frullando il codino monco dalla nappina lanosa.

Adesso, finito lo scompiglio dei primi giorni, Din e Don fanno regolarmente i loro pasti quotidiani, subito dopo la colazione e dopo il pranzo dei padroni, ed è lo stesso signor Trüb in persona, con le falde del lungo abito nero spiegate al vento, che porta sulla terrazza le due scodelle di zuppa. Il rubicondo e gongolante signor Trüb sfida ormai le occhiatacce di missis Eyre.

Shocking!

La schifiltosa e superba colonnellessa è scandalizzata e indignata contro il «taverniere», il «bettoliere lustrascarpe». — Ecco il vero coco, — non le riesce di dir cuoco, — il vero coco dei cani!

L'Idola, si sa, non manca mai al pasto dei tesöri «cari cari!» Vi assiste circondata da tutta la sua corte con quel carabiniere mutria di Totò, che fa la guardia a due passi di distanza.

Specialmente quando c'è gente e si vede osservata, ella si mostra piena di tenerezze, di moine e di premure per i suoi barboncini.

Mon Dieu! Mon Dieu! Se a Villars mi prendessero il cimurro! Che disperazione! Ho sempre paura, signor Trüb! Tanta paura!

Il signor Trüb, sgambetti e saltetti, la rassicura.

— A Villars?... Con questo clima?... Con quest'aria balsamica?... Finchè i suoi morettini restano alla Tête-pointue, garantisco io! E poi io me ne intendo; è la mia specialità! Tocchi, signora duchessina: hanno il naso fresco e le orecchie calde. Segno infallibile; stanno benone!

— È sicuro che non c'è il più piccolo ossicino nella zuppa?

— Sicurissimo! L'ho fatta preparare io stesso, sotto i miei occhi!

— Il brodo? Ha allungato il brodo?

— Due terzi di brodo e un terzo di acqua! Non dubiti, signora duchessina! Si fidi di me! Io ho sempre avuto passione pei barboncini!

— Dio! Dio! — Remigia è mezzo spaventata e mezzo in collera. — Ma signor Trüb! Caro signor Trüb! Questa zuppa scotta; scotta terribilmente!

Il signor Trüb protesta, poi si scusa.

— Non è possibile! Garantisco! È tiepida! Appena tiepida! — Alza gli occhiali in mezzo alla fronte, gonfia le gote e col faccione che gli diventa rosso e tondo come la luna, soffia e risoffia sul brodetto, mentre la duchessina, ritta in punta di piedi, alza e tende le braccia, adagio adagio, con le due scodelle colme, per allontanarle dai musetti avidi, bramosi delle affamate bestiole che spiccano, latrando, salti e volate.

— Giù! Giù!... Adesso no! Ho detto di no!... Obbedienza!... Bravo Din! Sì, sì!... Anche il mio Don è bravo, è buono!... Amöre! Tesöro!... Tanto bene io! Tanto bene a tutti e due, ma adesso ancora no! Ancora non si può! Aspettare! Aspettare!.. Pazienza e aspettare!

La piccola bionda, la piccola rosea, è la grazia, la vivacità, la giovinezza. La sua voce armoniosa, melodica, è un canto... un invito.

La schiera dei giovinetti e dei giovinotti, fra i quali primeggia il campione del tennis, — l'inglesino dalla lente e dal garofano già notato da Mimì e da Remigia, — si avvicina irresistibilmente. — E anche la barba al lucido Nubian; anche l'ammiratore del bel piedino e del bel vitino!

« — Des barbets superbes!

Qu'ils sont beaux, ces petits chiens!»

Il Danova, dimenando i fianchi, si avanza un passo più degli altri:

— Magnifici cani! È la gran moda, adesso, a Parigi, i barboni neri! Due cani così, sono capacissimi, quei ladri, di farli pagare anche tre o quattro mila lire!

Je crois bien; ils sont de race!

Ma per quel giorno, basta; tanto più che la duchessa madre, al braccio del principe fratello, è lì che ascolta e osserva, girando attorno alla figliuola. Restano tutti muti, in circolo, ad ammirare i due cani che slappano avidamente con il muso affondato nella scodella e la duchessina che continua a vezzeggiare, a garrire amorosa i suoi tesori, a ridere, a scherzare, spiegando con ogni parola, con ogni gesto, con ogni atteggiamento, nuove grazie e nuove attrattive.

— E così Idola, cara?... — domanda la madre con un'espressione subitanea di dolcezza e di compiacenza che le illumina il bel viso severo. — I tuoi morettini hanno buon appetito?

— Eccellente, mammà! — Remigia risponde con un trillo di gioia.

— Divorato tutto, anche le posate, signora duchessa!... A Villars?... L'aria di Villars?... È prodigiosa per la salute degli uomini e delle..

Il signor Trüb s'interrompe: sgambetti e saltetti. Non osa, dinanzi alla duchessa e alla duchessina, di chiamar bestia quei due... «amori» quei due «tesori» che costano tre o quattro mila lire. Fa cenno al portiere, fa portar via i piatti vuoti e, inchinandosi, se ne va lesto, di volo, strisciando e scivolando sul terrazzo lucido.

Il giorno dopo, — occorre dirlo?... — appena il signor Trüb si presenta con la zuppa, ecco apparire un primo giovinetto, poi un secondo «... com'augel per suo richiamo». Ecco fra i giovinotti il garofano bianco... ed ecco la barba inverosimile del barone Danova.

Guardano verso il restaurant; aspettano e scherzano con l'albergatore.

— Mi raccomando, occhio agli ossicini!

— Scotta la zuppa?... Scotta?...

Un istante ancora d'attesa, poi, finalmente, sull'alto della gradinata si spalancano i battenti a vetri: sono i due barboncini che si slanciano d'un salto, abbaiando di gioia e di fame, addosso al signor Trüb, e l'Idola, bianca e bella come un fiore, allegra e vispa come un uccellino, scende a volo sul terrazzo.

— Eccomi! Eccomi, signor Trüb!... Com'è buono! Com'è bravo!... Caro, caro il signor Trüb!...

Marco Danova ha una scossa; una voglia intensa gli corre per le vene.

— Che bel vitino! Che bel piedino!... Che capelli!... Che bocca!... Soprattutto che bocca... maravigliosa!... Con tanti danari buttati al diavolo, non ho mai avuto niente di simile!

Gli occhietti umidi e loschi scintillano, il naso a becco divampa con un tremito più vivo.

Remigia ha subito notato la smania, il turbamento del barone Nubian, ma finge di non badare altro che al pasto dei cagnolini.

— Buona la pappa?... Adagio, adagio!... Non bisogna mangiare troppo in fretta!

— Piccante!... Piccantissima! Straordinaria!

Marco Danova si avvicina a Remigia di un altro passo, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni, dondolando la pancetta arrotondata dal gilet bianco. Ha un'aria di padronanza mentre la fissa ostinatamente.

— Perchè no? — pensa fra sè — Le donne belle sono fatte per gli uomini ricchi!... Pagare o sposare è sempre comprare. Ha una voce che fa un effetto strano!... È un soffio di primavera! Fa diventar giovani!... — Perchè no?

Il milionario si sente forte anche dinanzi a quella giovinezza, a quel candore, a quel vergine nobilissimo sangue discendente dai reali di Napoli e di Sicilia.

Non esita più: la duchessa, il principe Rosalino stanno bevendo il caffè, in fondo al terrazzo. Non c'è che Totò, il quale fuma e freme. Marco Danova si rivolge direttamente alla duchessina:

— E il nome?... Vorrei sapere il nome di questi due «amoretti» «tesoretti!».

Lo ha sentito gridare cento volte, ma finge, naturalmente, d'ignorarlo. — Si chiamano?...

Un istante di silenzio e di ansietà...

— Come si chiamano? — domanda più risoluto, rivolto al signor Trüb.

Remigia risponde. Risponde abbassando il bel viso e arrossendo pudibonda.

— Uno, — questo, — si chiama Din; l'altro si chiama Don!

Din e Don?... — Il barone scoppia in una risata larga, fragorosa che mostra i bei denti nuovi, di smalto, tra i rabeschi d'oro.

La piccola rialza il capo, e mentre con la forte e caratteristica scrollatina di capo, che l'è abituale, rimette a posto i riccioli biondi, lancia sull'egiziano un'occhiata rapida, espressiva. Ella non vede in quell'uomo nè il naso a becco, nè la barbaccia ritinta: non vede in lui altro che un possibile... don Luciano, numero due!

Din e Don?... Allora... din-don!

Il Danova si riscalda, dondola il capo, imita il suono e il tocco della campana e facendo la rota attorno a Remigia, continua a ripetere: — Din-don! Din-don!... Spiritosissimo! È una trovata!

Din-don! — esclama a sua volta il signor Trüb, in tono baritonale.

Din-don! — squilla allegramente la voce della fanciulla.

Dondolano pure le testoline ben pettinate dei giovinetti e dei giovinotti che si avvicinano più disinvolti:

Din-don? Oh, very funny!

Din-don? Oh, que c'est drôle!

Din-don, les petits diablotins? Din-don?

Il ghiaccio è rotto; tutti circondano animatamente la duchessina:

Din-don? C'est bien gentil!

C'est charmant!

— È una trovata! Spiritosissima! — Din-don! Din-don! Din-don!

Il Danova ride e grida più di tutti.

Il solo Totò rimane in disparte, immobile, come impalato al suo posto: la pipa di radica non tira più!

Anche il biondo dal garofano, senza sprecare il fiato e senza perdere il sussiego, cantarella dondolando adagio, con grazia, la testolina rotonda, ben pettinata. — Din-don! Din-don! — Ma ad un tratto la lente gli cade dall'occhio e si arresta sorpreso sul Din...

Tutti ridono, tutti scherzano e si affollano attorno alla bella duchessina italiana. È il trionfo — un vero trionfo, — dell'Idola!

Dal terrazzo alto, l'allegra folata di voci e di note, unita ai latrati echeggianti e persistenti dei «due tesori» incitati dal chiasso, rompe il silenzio della valle ampia e muta e il canto e gli amori agli augelletti spauriti.

— Idola! Cara!... Ti diverti?

La duchessa, al braccio del principe Rosalino, si avvicina con lento passo e l'aria regale, sorridendo.

— Tanto, mammà! Tanto, tanto!... Villars è un paradiso e il signor Trüb, un angelo!

L'angelo albergatore, invece di volare, fa un giretto, un balletto attorno alla pomposa coppia di prim'ordine, per esprimer il suo ossequio profondo.

— Come la granduchessa di Mecklemburgo! Come Nessim bei! Come Casimir Perier!... Tutti incantati di Villars!

Nell'andarsene, passando dinanzi a Totò, sempre impalato, vede che la pipa non fuma e gli schianta un fiammifero sotto il naso.

— Permette, marchesino?

Totò lo manda al diavolo, con un'occhiata furibonda.

Il buon ragazzo non può più resistere dalla gelosia e dalla rabbia. Anche la duchessa Cristina, anche papà, non sanno stare al proprio posto!... E Remigia?... Che civetta!... Persino con quella brutta gente di Villars!... Non ha un briciolo di cuore e nemmeno d'orgoglio!

A un tratto si risolve, affronta Remigia:

— Io vado... ad Aigle!

— Bravo Totò!... Mi porterai delle pesche e anche un bel popone, se c'è!

Il principe Rosalino e la duchessa Cristina gli danno un monte di commissioni: sigarette, lana bianca, lana rossa, acqua di Colonia...

Mademoiselle, con le solite scuse e complimenti, gli dà due lettere da impostare ad Aigle. — Così arrivano più presto!

L'istitutrice ha sempre le saccocce piene di lettere da spedire a due o tre membri della sua famiglia.

Totò se ne va, con nelle orecchie la voce allegra di Remigia che lo irrita.

— Non torno più a Villars! Non ci torno più!... — Invece è già pentito, in cuor suo, di quella bravata!

Sulla terrazza, l'allegria si fa più viva, il conversare più cordiale ed espansivo.

Vouz permettez, mademoiselle?

È il biondo dal garofano che si presenta alla duchessina, facendo una smorfia per tener la lente ben ferma nell'occhio.

— Per... mette?

Ha una pallina di zucchero stretta con grazia fra l'indice e il pollice.

Din e Don, appena visto lo zucchero, si alzano insieme di scatto, e si tengono ritti sporgendo il musetto umido, bramoso e annaspando, invitando con le zampe anteriori.

Remigia risponde arrossendo, con un cenno affermativo e abbassando gli occhi. Poi, subito la forte scrollata di testa per rimettere a posto i capelli. Ma il bell'inglesino, la fenice di Mimì Carfo, non ottiene nè un sorriso, nè un'occhiata. Remigia, sulle prime, si mostra sempre molto riservata e prudente con i giovani. I giovani ardono meglio a foco lento.

Ella non si rivolge all'inglesino per ringraziarlo, ma cerca di nascondere il rossore e di vincere il timido turbamento continuando ad ammaestrare Din e Don.

— Su! Su! In piedi!... Si resta in piedi!... Si fa l'ometto e si ringrazia!

I due cani, ritti ritti, continuano ad annaspare con le zampe riscotendo applausi e destando l'ammirazione generale.

Don!... Su! Su! Da bravo! Adesso si dà la mano!

Don, che si era messo a riposare su tre gambe, si rialza di nuovo, sebbene di malavoglia, e annaspa con la zampa destra verso Marco Danova.

Questi afferra subito la zampetta del cane e la stringe ripetutamente, da buon camerata.

— Amici, caro Don, din-don! Tesoretto caro! Sempre amici in vita e in morte! — Stringe la zampa anche a Din, costretto pure a rizzarsi di nuovo.

— Benissimo! Bravissimo! Son due gentiluomini perfetti!

Marco Danova, inaugurati così i buoni rapporti, si sente quasi ammesso nell'intimità della famiglia. Fa una rapida piroetta sulle gambette a roncolo e si rivolge con molta disinvoltura alla duchessa Cristina salutandola con una scappellata: la sommità del capo spunta, completamente calva, come una pera, dalla corolla dei capelli tinti.

— Ho conosciuto a Bologna e sono in relazione d'affari col deputato Giacomo D'Orea; l'ex ministro. Sarebbe, forse, il suo signor genero, che aspettiamo a Villars?

— No, — La duchessa accenna col capo a un saluto, guardando il barone affabilmente con l'occhialino. — No. Giacomo è il fratello di mio genero.

Il Danova, che s'è subito ricoperto per via della pera, alza la voce, le braccia e dondola la pancetta con evidente soddisfazione.

— Uomo straordinario! Grande talento, attività e gentiluomo... tipico. La sua parola vale quanto la sua firma! Uomo... straordinario!

La magnifica barba del principe di Sant'Enodio si gonfia e si muove con una leggera ondulazione. Egli parla:

— Appunto, precisamente. Giacomo è il fratello di Luciano, mio nipote. Cioè il fratello di Luciano, che è poi marito di mia nipote. Precisamente. — Il principe stende al barone la bella mano bianca e morbida. — Diremo dunque: les amis des nos amis...

— Anzi diremo i parenti! — interrompe il Danova. — «I parenti dei nostri amici...» Ho scritto appunto anche ieri, all'amico Giacomo! Se permettono, signori, mi presento da me: Marco Danova. A più di mille e trecento metri, si è superiori anche alle restrizioni dell'etichetta!

Marco Danova continua a piroettare e a dondolare dandosi l'aria d'essere il padrone di Villars e continua a parlare di Bologna, di Giacomo, di milioni e dei molini, intercalando al discorso quelle sue frequenti e grosse risate che prorompono ad un tratto, anche senza ragione, con uno scoppio fragoroso. Ma, intanto, non perde mai d'occhio la duchessina. — Che vitino! Che voce! Che ginger!

Poi ricomincia col din-don.

— Ah! Ah! Ah!... La duchessina dunque si diverte in questo nostro povero e pastorale Villars?

Remigia arrossisce ma non abbassa gli occhi. Anzi il barone riceve «in pieno» un'occhiatina tra il furbetto e il languidetto che lo fa andare in visibilio.

— Tanto!... Mi piace tanto, tanto!

— Villars non è Saint-Moritz, questo si sa, ma il clima è eccellente e l'hôtel buonissimo.

Approva la duchessa, approva il principe Rosalino. Il barone continua col vento in poppa.

— Si possono fare delle gite divertentissime; ci sono due o tre escursioni alla Chamossaire, al lago di Chavanne, molto interessanti. E poi il tennis! Alla Tête-pointue abbiamo un tennis bellissimo! Giuoca al tennis, la duchessina?...

Remigia risponde battendo le mani con un grido di gioia.

— Ma allora la duchessina avrà qui da divertirsi! Potrà fare a Villars delle partite veramente classiche! Se la duchessa me lo permette, le presento un mio amico, vincitore del campionato di Maloia!

La duchessa Cristina acconsente e Marco Danova, con la mano si chiama vicino il biondo dal garofano:

— Sir Arthur Wood! — Il campione di Villars! Un giuocatore... straordinario! Ha un colpo di racchetta di uno stile perfetto! Elegantissimo!

Fatta così la presentazione, col gradimento della madre, seguono le altre.

— La sera, che non si può più giocare al tennis, si balla... disperatamente! E ballo anch'io! — Le presento Monsieur Henri Malot — parigino puro sangue — ballerino instancabile! E anche il mio giovane amico Lothar Schmidt, di Francoforte!

Così, via via, uno dopo l'altro, sfilano dinanzi alla duchessa, alla duchessina e al principe Rosalino tutti i giovinetti e tutti i giovinotti, tutti i ballerini e tutti i giocatori di tennis della Tête-pointue!

Marco Danova sembra, ormai, che sia amico da dieci anni di tutti i Moncavallo e i D'Orea vicini e lontani.

— Perchè la duchessa non scrive, non telefona a Bex, a sua figlia donna Maria Grazia, di venire a Villars, ad aspettare don Luciano? Ha torto, molto torto! Si mettono le vedette lungo la strada e appena l'automobile di don Luciano è segnalata a Montreux, discende a Bex e si trova pronta a ricevere il marito!

Scherza con Mimì Carfo e con mademoiselle alle spalle di missis Eyre e fa ridere la duchessina e tutta la sua corte imitando i saltetti e gli sgambetti del signor Trüb, uomo barometro!

Remigia ha l'allegrezza, la gioia negli occhi, nel sorriso! Si diverte mezzo mondo alle spiritosaggini, ai lazzi del barone, e il barone, a sua volta, è sempre più incantato di quel «bel folletto» di quel «bel diavoletto» e sempre di più si accende.

Marco Danova ha una fiera passione per la donna magra ch'egli nel suo gergo brutale e volgare di apprezzatore che può spendere, ma che sa spendere, definisce «vulcano e terremoto». E una massa di capelli, di bei capelli, — ma biondi, li vuol sempre biondi, — lo fa diventar matto e co' suoi amici bei, ne spiega anche il perchè: — Mi pare di affondar le mani nell'oro, in un oro caldo e vivo!

— Che capelli maravigliosi, proprio d'oro, vero oro, i capelli di quel folletto... del Vesuvio! E che bocca! Soprattutto la bocca! Ci sarebbe da accontentarsi dovendola pagare anche mezzo milione!

Mimì Carfo vede gli occhiacci dell'egizio che divorano l'Idola e n'è rivoltata e persino sbigottita.

— Non tenertelo tanto vicino quel grosso pascià! Ti fissa in un modo sfacciato, odioso! Sembra... che voglia mangiarti con gli occhi!

Remigia risponde con un'alzata di spalle:

— Buon appetito!

Mimì si spaventa.

— Ma di', gioia, amore, ti lascieresti far la corte anche da quel... brutto coso? No! No! Prometti, giura, no!

Remigia non giura e non promette.

— Brutto?... Perchè?... Un uomo non è mai brutto! Basta guardarlo sotto il suo punto di vista favorevole. Quello lì, preso come un re Faraone in borghese, è bellissimo!

— È orribile!

— Mi fa ridere! È divertentissimo!

— Con quella barbaccia tinta!

— Che importa!... Un po' di colore! E poi, per me, sia bello, sia brutto...

L'Idola finisce di esprimere il suo concetto con una altra alzata di spalle.

Quando Totò ritorna da Aigle con le pesche, il popone e con la testa piena dei più coraggiosi e fieri proponimenti contro la leggerezza e la civetteria di Remigia, sente da lontano la voce alta, squillante della fanciulla che lo fa trasalire e impallidire. La voce tanto bella, la voce tanto cara, quella voce a cui non sa resistere, viene — ahimè! — dal campo del tennis!

Play!

Out!

È impegnata una seria partita: Remigia e Sir Wood contro Mimì Carfo e monsieur Malot.

Play!

Out!

Marco Danova ha fissato l'ora e il convegno; è andato lui stesso in cerca dei ragazzetti che raccattano le palle, e adesso sta rosolando al sole, seduto sull'alto sgabello del giudice di campo.

Play!

Out!

Totò abbandona in fretta al portiere le pesche e il popone, salta nel lift, corre in camera sua e si butta sul letto, bocconi.

— Il tredici! Maledetto tredici e maledetto Villars!... Con quell'egiziano! Con quell'jettatore tremendo!

Anche lì, arriva la voce di Remigia!

Play!

Out!

— Civetta! Civetta!... Che civetta!... Poterla dimenticare... o poter morire!... Finirla!... Finirla di voler bene a Remigia, — a quella civetta! — e finirla con la vita!

Play!

Out!

Totò scende tardi a pranzo; alla seconda portata. Si presenta ben pettinato, irreprensibile nell'abito di sera, ma è pallido, stravolto. Non parla altro che per inveire contro Villars, e contro la gentaglia ineducata e chiassosa che lo abita.

— Io, per me, lo dichiaro assolutissimamente. Non gioco e non ballo. In questo brutto paese e in questo pessimo albergo non voglio conoscere un... cane!

L'Idola lo lascia sfogare e gli permette di tenere il muso per mezza serata; ma poi, quando l'orchestrina comincia i primi accordi lo ferma, risolutamente, sull'uscio della veranda.

— Non comincerai anche tu a fare il don Luciano. Bada che non te lo permetto io e tanto meno te lo permetterebbe mammà!

Totò, a un simile esordio, Totò che aveva sperato con il fiero cipiglio d'incutere timore e soggezione all'Idola, Totò perde di botto tutto il coraggio; tenta ancora uno sforzo; ma gli trema la voce.

— Credo di essere padrone del mio umore... buono o cattivo!

— Ma non di fare il geloso; non di compromettermi in faccia alla gente. Questo, se anche te lo permettessi io, non te lo permetterebbe certo mammà! Bada, te ne avverto, perchè sai che ti voglio bene...

Alle parole «ti voglio bene» gli occhi del povero ragazzo si riempiono di lacrime.

— Non dirlo! Non dirlo, almeno, che mi vuoi bene! — geme sottovoce.

L'espressione, il tono di Remigia, diventano più affettuosi.

— Mammà s'è già accorta di qualche cosa; e ha già domandato due volte allo zio Rosalì, perchè tieni il muso e perchè sei sgarbato.

— E papà, che cos'ha risposto? — domanda inquieto Totò.

— Zio Rosalì non ha risposto nulla, ma ha fatto certi occhi!... Pensa, — sai che papà non fa complimenti. — è capacissimo di mandarti via da Villars?

— E tu questo lo desideri!... Lo vuoi!

— Io non lo voglio! No, non lo voglio! Tanto è vero che ti avverto del pericolo. Ma sicuro che se ti fai capire da mammà... è finita. Sai che mammà ha le sue idee, il suo piano. E' sempre in traccia anche per me... — Uff! — di questo divertentissimo don Luciano numero due. Qui non c'è: fra questa gente, fra questi ginevrini, fra questi ottimi figliuoli di buona famiglia, il mio don Luciano non c'è... e tu, invece di essere contentissimo, di essere amabile con tutti, fai il rabbioso, fai l'orso! Davvero che io non ti capisco!

Totò, s'è un po' tranquillato; ma non interamente.

— Però... quel biondo dal garofano!

— Figurati!... Studia per diventare ingegnere elettricista!.... Capirai, che non è certo l'ideale di mammà!

— E... quel... Danova?

Totò fissa Remigia negli occhi: ma la fanciulla ha uno scoppio di risa.

— Re Faraone al lucido Nubian?... Sei geloso di Re Faraone?

Il povero ragazzo ride anche lui, si sente consolare.

— Sai perchè sei così... cattivo?

— Perchè...

— Perchè non ti fidi di me. Fidati di me! — Remigia lo fissa con una dolcezza languida, affettuosa e muove le labbra quasi impercettibilmente, come per dare e per ricevere un bacio. — Sii gentile, molto gentile con tutti. Lasciati presentare a Re Faraone, al giovane povero ed elettricista e a tutti gli altri. E non voler ballare soltanto con me: fa ballare anche Mimì e mademoiselle, così mammà, anche se ha avuto qualche sospetto, non ci pensa più! — Remigia fissa ancora il giovane intensamente: — Fidati di me.

Totò legge anche negli occhi il piccolo bacio che trema sulla bocca dell'amata...

— Sì, ma e poi?... Se il tuo don Luciano non c'è... può arrivare da un momento all'altro...

Remigia si alza, un attimo, in punta di piedi per essergli più vicino con gli occhi e con le labbra:

— Fidati di me.

La moglie di Sua Eccellenza

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