Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 9

VI.

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Appena quelli di Villars sanno dalla «cara Maria» che don Luciano è finalmente arrivato a Bex, mandano anche a lui, in un mazzo, per telefono, «saluti e tenerezze» e poi basta: silenzio prudentissimo.

I giorni passano senza altre notizie, e quelli di Villars li lasciano passare senza chiederne: «nessuna nuova, buona nuova».

Di tanto in tanto, la duchessa madre e il principe Rosalino si scambiano con gli occhi, soltanto con gli occhi, qualche interrogazione:

— Come mai?... Il nostro Luciano e la cara Maria Grazia, non annunziano ancora il loro arrivo quassù?... Ancora non ne parlano?... Ancora non si fanno vivi?

Sssst!... Tutti cito! «Fra moglie e marito non ci va messo un dito!»

Tutti cito, e tutti allegri!

Per la duchessa Cristina e per il principe Rosalino, ogni giorno che passa senza la presenza di Luciano è un giorno guadagnato, un giorno di più di sollievo, di piena libertà e di pompa magna senza il cruccio delle spostature, dei musi, delle continue contradizioni. Per Remigia, ogni giorno che passa senza Maria è un giorno guadagnato per le sue conquiste e per le sue vittorie. La duchessina rimane oscurata dall'immediato confronto con la sorella Maria. Quando è presente la bellissima D'Orea Moncavallo, la povera Piccola, non è più che una bimba allegra, un giocattolo divertente! Punto primo, la signora D'Orea è maritata, Remigia, ancora signorina: Maria è la grazia, la soavità, l'amore: lei il capriccio, il diavolo a quattro!... E poi i capelli neri, quando sono così neri, vincono sempre i capelli biondi e la poesia, la dolce e malinconica poesia degli occhi di giavazzo, dalle ondate di luce tenera e languida vince il sorriso e l'arguzia degli occhi ceruli e giocondi!

Sì, sì! Rimanga a Bex! Che Maria Grazia rimanga ancora a Bex, finchè anche lei possa aver trovato un don Luciano... magari vecchio e brutto come il barone Danova. Non importa! Sarà in tal caso più buono e più docile.

Il solo che si mostri inquieto, in tanta pace, è il signor Trüb.

In que' giorni a Villars c'è un tempo splendido! Fin troppo splendido e troppo caldo!... Il meteorologo signor Trüb prevede non lontana una nuova burrasca e teme che i rimasti a Bex, invece di salire, facciano scendere anche gli altri! Il signor Trüb si aspetta sempre una qualche spiacevole improvvisata dalla volubilità degli italiani e il suo cuore non sarà soddisfatto e sicuro, finchè la grande famiglia di prim'ordine non sarà tutta riunita alla Tête-pointue.

— E così, signor principe?...

È col principe Rosalì, che il signor Trüb può sfogarsi a parlare. La duchessina è gentilissima, affabile, ma scherza sempre, non gli dà retta; egli comincia a sospettare che lo prenda un po' in giro. Gli altri sono molto sostenuti. Rispondono ai suoi inchini, saltetti e sgambetti con un cenno di testa e non tutti i giorni. Col maggiordomo, con i servitori, non c'è verso di poter dire due parole senza stappare una bottiglia!

— E così, signor principe?... Ha ricevuto qualche notizia?... Si sa quando arrivano il signor duca e la signora duchessa D'Orea? — In tanta confusione di titoli, il prudente locandiere li crea tutti duchi per non sbagliare.

— Ancora non hanno scritto niente! Vuol dire che laggiù si trovano bene!

— Impossibile, signor principe! Con questo caldo?

— Eppure... vorrà dire che a Bex, farà fresco!

Il rubicondo Trüb fa un inchino, un saltetto, scoppiando in una sonora risata: scherza sempre, è sempre pieno di brio, il signor principe!

— Ah! Ah! Ah!... Fresco a Bex! Ci sono trenta gradi! Scappano tutti!... Ogni giorno mi arriva un monte di telegrammi!... Famiglie di prim'ordine, titolate, dall'America, persino dall'Australia, che vorrebbero fermarsi alla Tête-pointue, tutta la stagione! Io non fo altro che rimandar gente! Sono venuti a sapere che le più belle camere con i due saloni del primo piano tenuti a disposizione del signor duca e della signora duchessa D'Orea, sono tutt'ora vuoti, e mi tormentano!

— E voi rispondete che sono pieni, e vi lascieranno in pace! Finchè mia nipote non viene quassù, vuol dire che giù si trova bene, ed è inutile scrivere, telefonare, voler sapere... Sapere che cosa?... «Chi sta bene non si muove!» Eh! Mi par naturale!

Dalla grande terrazza dell'albergo, in certe sere chiare di luna, profumate dal tepido odor di pino, si scorgono laggiù, in fondo in fondo, nella parte più bassa e più buia della valle, alcuni punti di luce giallastra: è la cittadina di Bex.

Che caldo, che soffoco, deve fare in quella pianura arsa, cocente, se a Villars, a mille trecento metri, non c'è un filo d'aria!... E che tormento deve essere Luciano... retour de Paris!... Che musi! Che scene!...

Ma la madre non vuol lasciarsi vincere dai tristi pensieri, e interrompe il beato silenzio del fratello che sonnecchia, nell'ora placida della digestione, al chiaro di luna.

— Chi sa, anche questa volta, che bel regalo!

— Regalo?

— Che bel regalo avrà portato Luciano da Parigi alla mia cara Maria!

— Eh!... Certo!

— L'altra volta le ha regalato un filo di perle, del valore di sessanta mila lire!... Regali, bisogna proprio dire, gliene fa molti, sempre magnifici e di buon gusto!

— Eh!... Certo!

— Maria, in fondo, siamo giusti, non ha che da parlare e ha tutto ciò che vuole!

— Tutto!...

— Quante ragazze si augurerebbero di essere la mia Maria! Si sa, a questo mondo, ogni rosa ha la sua spina!

— Eh! Si sa! Ogni magione ha la sua passione!

Così, il cuore della madre si mette in pace, e può quindi gioire senza scrupoli vedendo l'Idola a scherzare, a ballare e a divertirsi.

Appena arrivata, appena scesa alla Tête-pointue, la duchessina Remigia col panama dalla larga tesa messo alla birichina, con la sua scioltezza disinvolta e la sua aria signorile, ha subito fatto colpo sui primi forestieri nei quali si imbatte e che stanno a crocchio davanti al portone dell'albergo.

Din e Don non vogliono lasciarsi prendere, non vogliono lasciarsi legare al guinzaglio e Remigia approfitta subito della loro disubbidienza per farsi ammirare. Li insegue correndo, con movenze agili eleganti; si finge crucciata e li chiama forte, battendo i piedini, frullando, trillando come una lodoletta, con la sua voce fresca, d'argento.

Din! Don! Subito qui!... Qui subito!... Qui! Da bravo! Così, bravo il mio Don! È un tesoro il mio Don!... Anche Din! Sì! Sì! È obbediente anche Din. Anche il mio povero Din, caro, caro, caro!

— Che bel piedino! Che bel vitino!.. E che ginger la biondina! — Il barone Marco Danova è incantato. — Congratulazioni, signor Trüb!

Il signor Trüb non sente nemmeno il complimento sussurrato a mezza voce. Inchini, sgambetti, saltetti; nel ricevere la grande famiglia italiana di prim'ordine sembra addirittura un maestro di ballo!

La duchessina è come un piccolo generale: sente l'odore della battaglia, e assapora la gioia del trionfo! Villars, sarebbe stato il suo regno e il luogo di delizie di Din e Don!

Che fortuna per lei che Maria Grazia sia rimasta a Bex!

Un'occhiata fra le signore sparse nel giardino, una occhiata fra le altre che leggono o passeggiano sotto l'atrio e Remigia ha subito capito il genere: Le francesi sono di Ginevra, le inglesi, Cook e Co; sono in maggioranza le tedesche e però nessun buon gusto, anche in chi vuol fare del lusso, e invece una grande varietà in camicette, dai colori più pappagalleschi.

È vero, per altro, che anche fra gli uomini, un «don Luciano» ancora non s'è visto.

Quella prima sera, la nobile famiglia italiana pranza tardissimo, al restaurant. Si ferma, dopo, appena una mezz'oretta sotto l'atrio, e si ritira assai presto. Sono tutti stanchi dal viaggio, dalla giornata di pioggia, dal cambiamento d'aria. Totò solamente, sebbene sia più stanco e abbia più sonno degli altri, si ferma ancora, saluta le signore, per la fumata d'obbligo, con la classica pipa di radica. In tutto punto nello smoking di Pôole e col berrettino grigio di White, gira su e giù col passo lungo da scavalcar le montagne, il viso arcigno, seccatissimo, annoiatissimo.

Eppure, in cuor suo — altro che noia! — è invece assai agitato. Guarda e osserva a sua volta con le lenti dell'amore e della gelosia, gli ospiti di Villars. Remigia avrebbe dovuto constatare che è molto più inglese lui, di tutti gli inglesi autentici che ci sono alla Tête-pointue: ma Remigia, è tanto dispettosa e civetta!

L'Idola, in quel tempo, ha avuto altro da fare che badare a Totò! Passeggiando seria e contegnosa al braccio della madre, — non ci sono nell'atrio Din e Don e non è l'ora di fare il chiasso, — senza mai guardare in giro, senza nemmeno alzar gli occhi ha già notato che i giovinotti e i giovinetti, quelli che devono essere i campioni della sala da ballo e del tennis la seguono insistentemente con la coda dell'occhio e parlano fra di loro, — e certo di lei, — con grandissima animazione. Ha notato che anche gli uomini seri e gravi, gli uomini maturi, fanno, senza parere, dei giretti e delle fermatine premeditate per vederla più da vicino. Uno, specialmente, con una barbaccia al lucido Nubian. Quello che al primo vederla, ha esclamato, rapito in estasi, col signor Trüb: — «Che bel piedino! Che bel vitino!»

La duchessina Remigia, con Mimì Carfo e con mademoiselle, sono tutte tre al secondo piano. Le camere delle ragazze sono attigue e l'uscio di comunicazione è sempre aperto. Dopo la camera di Remigia, dall'altra parte, c'è un salottino, poi la camera di mademoiselle.

— Sai, Remigia, chi c'è a Villars? — dice Mimì all'amica, mentre ciascuna si spoglia nella propria camera.

— Chi? — domanda Remigia affacciandosi all'uscio, tutta bionda e tutta rosea, in busto e sottanino. — Chi?

— Indovina.

— Qualche cosa di bello o di brutto?... Un adoratore?... Per me o per te?

— Indovina!

La Mimì, già in camicia, un camicione lungo lungo, perchè è alta e ricca della persona, sta rimboccando le coperte del letto. I capelli pur biondi, ma di un biondo assai più scuro dei capelli di Remigia, le cascano come un largo flutto lucente, odoroso, giù per le spalle, per la vita e le anche.

— Chi è questo nostro timido adoratore?

Remigia s'è slacciato il busto e lo ha gettato sul canapè, nella sua camera. Così, mostrando gli ossicini delle spalle e con le braccine nude sottili sottili, la piccola sembra ancora più piccola e più minuta.

— Ahimè! — sospira comicamente. — I nostri adoratori sono molto timidi! Vorrebbero tutto e non hanno il coraggio di domandarci nemmeno... la mano!

Mimì dà in una risata e salta nel letto. Resta seduta, appoggiata un po' di fianco ai cuscini, si prende tutti i capelli con le due mani, lisciandoli, torcendoli, avvolgendoli e fermandoli sulla nuca.

Remigia insiste, battendo i piedi per terra.

— Rispondi, Mimì! Per te o per me? Adoratore tuo o mio?

— Non ho detto nemmeno che sia un adoratore!

— Oh, e allora? — L'Idola fa un'alzata di spalle.

— Mah! Ti divertirai lo stesso! Forse molto di più!... L'ho saputo adesso, dalla Rosa. — La Rosa è la cameriera della duchessa Cristina. — Ne ha visto il naso verde spuntare minaccioso in fondo al corridoio del terzo piano!

— Missis Eyre! — esclama Remigia con un grido di gioia. Quella notizia le basta per far del chiasso, per sfogare l'argento vivo che ha nel sangue. Salta sul letto, salta addosso a Mimì, la bacia furiosamente, tirandole i capelli. Mimì si caccia fin con la testa sotto le coperte... e Remigia a batterla, a farle il solletico, a pizzicarla, continuando a gridare di tutta foga: — Missis Eyre a Villars! O gioia! O gioia! O gioia!

— Lasciami respirare... Non ne posso più... — Mimì, mezzo soffocata, butta via le coperte e cerca con le due mani di allontanare l'Idola che, tutta capelli e voce, pare impazzita. — Non ne posso più... Dio, Dio che caldo!... Lasciami respirare!

Remigia si ferma un istante: ha sentito aprire la camera dopo il salotto.

Mademoiselle?

È proprio mademoiselle.

— Si può, duchessina Remigia?

— Venga! Venga!... Sono qui!

Anche l'istitutrice ha la grande notizia.

— Sa chi c'è a Villars?... Indovini.

— Missis Eyre! Missis Eyre! Quella gioia di missis Eyre! — L'Idola ricomincia a strillare, saltando per la camera, saltando sulle poltrone e sul canapè.

Mademoiselle guarda la duchessina e sorride; ma soltanto con le labbra. I suoi occhi mansueti e smorti, non brillano mai, non hanno mai nè sorrisi, nè lampi.

— Ha già cominciato col proibitissimo! L'ho lasciata alle prese con la Carolina!

— Patapum!... Pum! Pum! — Remigia gonfia la bocca, per fare il rimbombo del cannone. — Pum! Pum! La colonnellessa Facanapia di Sbirlingonia ha aperto il fuoco!

— Sempre come alla villa d'Este! — continua mademoiselle. — Le solite ire contro Din e Don! Non devono dormire nella camera della Carolina! Shocking! Proibitissimo! Ha già dichiarato che domattina farà subito il suo bravo reclamo al bureau!

— Oh bella! E che cosa importa alla colonnellessa Facanapia che i miei cani dormano con la mia cameriera?

— Perchè la stanza della cameriera è vicina a quella di miss Eyre! Abbaiano! Fanno la ciostra! Con questa compagnia di gente e di cani, l'hôtel non è più un hôtel, è una piazza, una fiera!

— Senti, Mimì! Guerra dichiarata fra l'Italia e la Sbirlingonia! E non si dà quartiere! Domattina, prima cosa, impadronirsi del Times! Totò, fuori la pipa, e pipa a tutto andare! Nelle ore del caldo e delle dormitine pomeridiane, corse e ludi ginnici nel corridoio del terzo piano. Dichiarare all'inchinevolissimo signor Trüb che al primo pronunciamento delle parole «proibito o défendu» tutta l'Italia parte in massa per Glion o per Caux! E tutte le sere festa da ballo a piena orchestra fino alla mezzanotte et ultra! Ben inteso: a Din e Don camera al terzo piano con pensione e libero accesso nell'atrio e nella veranda!

— Tutte le sere, festa da ballo? — osserva Mimì, sempre giudiziosa e riflessiva. — Uhm! Ne dubito. E i ballerini?... A Villars, abbondanza di giovinetti e grande scarsità di giovanotti!

— Lo hai notato anche tu, Mimì? E quei pochi devono essere francesi di Ginevra, come le signore.

— Niente chic! Niente esprit! Pedanteria e conferenze! Che noia! Che noia! Uff! Nascono tutti professori, a Ginevra; anche le donne!

— Ma come fa, Dio mio? Come può osservare tutto, lei? E sta lì, così seria, raccolta... Sembra, certe volte, che non osi nemmeno di alzar gli occhi! — Mademoiselle guarda la duchessina, battendo palma a palma in rapimento estatico.

— Mah! Come gli ufficiali hanno la sciarpa e le spalline, noi, quando siamo in parata, dobbiamo avere il pudore d'ordinanza!

— Stasera, sotto l'atrio, non ho visto che un solo ballerino possibile! — È Mimì che crede di aver fatto la scoperta. — Un giovinotto biondo, elegante, con un garofano bianco all'occhiello e la lente nell'occhio?... — Quello è inglese, certissimo!

— L'ho visto anch'io, tò! Ma anche la tua fenice porta lo smoking con la cravatta bianca! C'est un crime, mia cara! — Remigia diventa seria e scrolla il capo. — Io non so che strana idea è saltata in testa a quella buona donna di mammà...

Mademoiselle capisce dall'antifona che l'Idola l'ha con la duchessa Cristina e, per cavarsela prudentemente, adduce di sentirsi molto stanca, augura la buona notte e si ritira.

Remigia, torna a saltare sul letto di Mimì.

— Davvero, sai? Mia madre io non la capisco! Se vuol farmi trovare il mio don Luciano perchè non mi porta a Saint-Moritz o ad Ostenda? Anche Villars-Ollon non mi pare la villeggiatura del coup de foudre, ma quella di una buona dote! Villeggiatura di rampolli con l'angelo custode; con accanto papà e mammà e dieci punti in condotta.

Gli occhi affettuosi dell'amica, si riempiono di lacrime. Sempre così, povera Mimì Carfo, quando Remigia tocca quel tasto doloroso del suo matrimonio.

— C'è tempo! C'è tempo! Consolati! — Ma dopo aver consolata Mimì, l'Idola sospira e diventa seria. C'è tempo... E poi, chi sa?... Lo troverò?... Ci sarà anche per me un don Luciano, numero due? Perchè, giovane o vecchio, non importa...

— Vecchio, no! Brutto no! Ti prego, ti supplico!.. — Mimì geme, per conto dell'amica.

— Vecchio o brutto, per me è indifferente! Ma non farò certo un matrimonio inferiore a quello di mia sorella! Oh, no; giammai! Piuttosto mi voto a Dio!

L'Idola, che passa con una volubilità straordinaria dai sospiri al buon umore, alza le braccia sottili e trasparenti verso l'immagine a cap'al letto di Mimì.

— Oh, sì, lo troverai certo, presto, il tuo don Luciano, e più bello, più buono di quello di Maria Grazia, e allora la povera Mimì Carfo...

— Allora?... La povera Mimì Carfo? — Remigia avvicina il viso al viso dell'amica godendo anche il dolore e le lacrime di quell'adorazione così tenera e devota. — Allora, la povera Mimì?

— La povera Mimì resterà sola, abbandonata...

— Sola, abbandonata?... In Trinacria? Mainò!

Remigia scherza, ma la Carfo dice sul serio e teme sul serio, non soltanto l'abbandono, ma pure l'oblìo.

— Giura questo, almeno: anche quando avrai trovato il tuo don Luciano e saremo tanto lontane l'una dall'altra, non mi dimenticherai?

— Giuro.

— Mi vorrai bene sempre sempre: giura.

— Giuro.

— L'amore non ti farà mai obliare l'amicizia: giura.

— Giuro! Giuro! Giuro! — L'Idola salta dal letto, torna a saltare per la camera come una matta. Sembra che abbia dell'amore un'idea tutta da ridere.

— Sai pure. Mimì, che l'amore è per me la parte noiosa della festa: dato che il matrimonio sia una festa. Innamorata, io? No! No! Giuro! Giuro! Giuro! Tu sì, che t'innamorerai subito, alla prima occasione! Io... ho un cuore senza combustibile. Flirto, qualche volta, per non far disperare mammà nelle sue mire di collocamento. Ma appena maritata... se ci arriverò... non la darò più ad intendere nemmeno a mio marito!

Mimì non risponde: l'amica sua ha colpito nel vivo. « — Tu sì, che t'innamorerai subito, alla prima occasione!» Come anch'ella sentiva che era vero questo, che avrebbe messo tutta la sua vita, tutta la sua felicità, tutta se stessa nell'amore... fosse pure dolore e sacrificio soltanto!

Ma... l'occasione, sarebbe poi venuta? Mimì Carfo non ha alcuna speranza. È povera, senza essere stata mai ricca, senza il lustro di un grande nome, senza le aderenze e i ricordi fastosi di una grande famiglia. Il babbo di Mimì era un maggiore di fanteria ed è morto in Africa. La mamma, sola a Catania, riesce appena a strappar la vita con la piccola pensione: e fortuna che la duchessa Moncavallo — una delle sue tante cugine in grado infinitesimo — le fa risparmiare la spesa di Mimì, che, per far piacere all'Idola, tiene sempre con sè e fa viaggiare quasi tutto l'anno.

In questo stato di cose che occasioni d'innamorarsi le possono mai capitare?

Mimì Carfo, affettuosa, appassionata per indole, è retta di mente, è onesta, è religiosissima. E se l'amore è ardore e poesia per la bella fanciulla siciliana l'occasione d'innamorarsi non può avere altro aspetto che quello del matrimonio.

— Che hai, Mimì? A che cosa pensi?

— A tutto e a niente. Sono un po' stanca.

— Anch'io; ho sonno!

Le due amiche si scambiano un ultimo bacio.

— Addio, cara.

— Addio, gioia.

— Buona notte!

— Buona notte!

Quando Remigia è in camera sua, va dinanzi allo specchio, preme il bottone della luce elettrica, si slaccia e lascia cadere il sottanino: rimane così nella bianca e molle camicia di batista a guardarsi nello specchio... Ad un tratto libera i capelli dalle forcine di diamanti e con una forte scrollata di testa li scioglie tutti e se li fa tutti cadere sulle spalle. È una nuvola d'oro lucente, fluente, profumata; è una maraviglia, un incanto... Ma poi... non c'è altro! Capelli e capelli! Bellissimi capelli, capelli lunghissimi che la coprono quasi, che quasi sembran pesare con la loro massa folta, ondulata, sulla piccola e magra personcina. Begli occhi ceruli, vivi... Bella bocca, bei denti... una bella testina... Ma poi non c'è altro per poter piacere agli uomini!

Remigia si guarda, continua a guardarsi nello specchio e a mano a mano, l'espressione del suo viso diventa più seria, quasi truce... Si abbassa la camicia, — il cappio azzurro è già sciolto — un po' giù dalle spalle...

— Niente di niente e ormai non ho più speranza. I vent'anni sono sonati da tre mesi!

Come invidia, in quel momento, la bella taglia e le belle forme di Mimì!

Spegne con impeto la luce elettrica, si caccia in letto, al buio, e si volta bocconi con mezza la testa sotto il cuscino, come fa sempre quando è arrabbiatissima.

— Sei già a letto? — domanda Mimì dall'altra stanza.

— Sì, e dormo!

Mimì Carfo non fiata più, non osa più!

L'Idola, instabile e variabilissima com'è, è stata presa da un senso profondo, amaro di delusione, di sconforto, d'infelicità. L'effervescenza è finita, l'argento vivo è consumato; ella vede le cose come sono e la sua condizione qual'è realmente.

— Ah, Mon Dieu! Mon Dieu! Non mi capita più la fortuna di un don Luciano che perda la testa per me! Impossibile! Sono troppo piccola e troppo magra per il coup de foudre!... Una povera ragazza di condizione onesta, costretta a trovarsi un marito a furia di occhi bassi e di timidi rossori deve avere, necessariamente, come mia sorella, tutti gli altri vantaggi dell'appariscenza! Alla rosa mistica senza dote, e che deve esprimersi senza parole, occorrono, in compenso, le doti e l'eloquenza del quadro plastico!... — E, intanto, cerca cerca, aspetta aspetta... «Aspettare e non venire è una cosa da morire!» Uff! Che caldo!... — Evviva le grandi cocottes!... Esse non hanno bisogno di dote nè di doti per mettersi a posto! La Fanfan di Luciano, per esempio, è magrissima! Anzi, se non è una frottola inventata per consolare mammà, è persino tisica, eppure... — La fanciulla s'interrompe e sospira. — Ma quella Fanfan non ha parenti tra i piedi che le fanno la predica! Capelli e capelli! Capelli e nient'altro! Maledetti capelli! Agli uomini, devo far l'effetto piacevole di una parrucca! Uff! — Un secondo sospiro. — Giro i laghi, i monti, i mari... e finirò col dovermi accontentare del matrimonio d'amore! Ancora un anno o due e poi, svanita la speranza, far presto a sposare Totò... per non arrischiare di perdere anche Totò! — Ah, mio Dio! Per tutta la vita natural durante, appartenere al seguito di donna Maria Grazia D'Orea, come una contessina Carfo, qualunque! — Un altro sospiro e più forte.

— Che hai Remigia? — domanda Mimì.

— Dormo.

— Ti sento sospirare!

— Dormo.

Totò, Antonio, marchese di Villabianca, aspettando di diventare principe di Sant'Enodio alla morte del genitore, è assai ben provvisto, ma di titoli nobiliari.

— Una capanna e il tuo cuore: sposeremo Totò e così sia! Basta soltanto che non mi secchi per troppo innamoramento! In tal caso, sposo invece lo zio Rosalì!

Remigia ride. Pensa alla faccia che farebbe Totò, il britanno, al vedersi l'Idola rapita dal genitore; continua a ridere, dimenticando i suoi guai e si addormenta ridendo.

Mimì, invece, è ancora svegliata, e tarda assai prima di poter pigliar sonno. È il cruccio di Remigia che le fa pena, che la tiene inquieta. Mimì ha letto e legge nel cuore dell'Idola, e con ardore, con gioia sacrificherebbe tutto e si sacrificherebbe tutta per saperla felice! La fanciulla povera ha riposto nella dolce e cara parola «amica» tutta la tenerezza del suo cuore, tutto quel suo grande prepotente bisogno di espandersi, di voler bene!

Nella sua innocente purezza e nella sua fede cieca e illimitata, Mimì innalza Remigia al settimo cielo e la immagina e la vede, come in realtà non è. Remigia, per Mimì è un angelo; un angelo di bontà e un angelo di bellezza. Anzi, sono gli angeli stessi, che per essere veramente angeli furono creati a imagine di Remigia. Mimì adora la sua amica e le pare che tutti debbano adorarla in ginocchio; Mimì l'ammira e le pare che tutti debbano ammirarla incantati. E come la rende un essere ideale, così nel suo sogno pinge con i più smaglianti colori, e adorna delle più belle e più rare virtù quell'essere straordinario, soprannaturale, che sarà assunto alla felicità beata dell'amore e delle nozze di Remigia. E l'atteso nel concretarsi, nella feconda fantasia di Mimì, nel farsi uomo di questa terra, prende le sembianze del giovine e forte Sigfrido, ingentilito con l'animo mistico, malinconico di Lohengrin. E siccome il principe incantevole e celestiale, tarda a scendere dalle nuvole rutilanti o a varcare i mari con il candido nocchiero e Remigia, con la sua prosa birichina ne attribuisce il ritardo all'essere troppo piccola e specialmente troppo magra, la Mimì, la devota, la sommessa Mimì, come le avrebbe offerto volentieri, subito, in affettuoso omaggio, tutti i gigli e le rose della sua fiorente giovinezza!

Chi s'è addormentata subito, anche quella sera, — soltanto le zanzare riescono qualche volta a tenerla desta, — è mademoiselle. Ella dorme da un pezzo e sogna: sogna Din e Don che fuggono nuotando in una vasta latitudine allagata, e lei dietro inseguendoli, pure a nuoto. La duchessina è in barca, grida, ride, si arrabbia, stimolandola, incitandola strapazzandola. Mademoiselle nuota, continua a nuotare faticosamente. Din e Don son sempre lì vicini, alla medesima distanza, ma anche lei, nuota, nuota e rimane sempre allo stesso punto... Un solo colpo forte e Din e Don sono presi... ma non può, non può più allungarsi, non può più stendere le braccia, quell'acqua torbida si fa pesante, le impedisce ogni movimento, la soffoca...

La moglie di Sua Eccellenza

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