Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 12

IX.

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L'arrivo dei D'Orea a Villars è già stato telefonato solennemente da Bex, dal capitano Zaccarella «per il prossimo giovedì: dopodomani»... Remigia è più che mai nervosa e Mimì comincia a sentirsi molto inquieta. Ha osservato che l'Idola è... troppo diversa dal solito. Fa il chiasso, vuol mostrarsi allegra, ma s'è accorta che quell'allegria non è naturale.

Soprattutto, la sensibile e romantica Mimì è inquieta per un altro verso:

— Perchè Remigia si tien sempre vicino quell'egiziano inverniciato, odiosissimo?...

È sera tardi: Mimì Carfo è già a letto e aspetta che l'amica sua venga a salutarla e a fare le solite chiacchiere. Addossata ai guanciali, sta sciogliendosi i capelli, lisciandoli, acconciandoli per la notte e intanto sospira e tien fissi gli occhi sull'uscio aperto, tra la sua camera e la camera dell'amica.

— Perchè Remigia, stasera, tarda tanto a venire?...

Un'idea molto brutta, le gira per la testa. È un'oppressione, un incubo angoscioso.

— Perchè tarda tanto, stasera?... Che cosa fa?

Mimì aspetta ancora un momento, poi chiama forte:

— Remigia!

— Gioia!

— Non vieni a salutarmi?

Si sente, dall'altra stanza, il rumore di una finestra che si chiude, poi Remigia appare nel vano dell'uscio: sta sciogliendosi la larga cintura di seta bianca moarè, che le fa un vitino lungo e sottile, da vespa.

— Com'è che sei ancora vestita?

— Non ho sonno stasera!... Non ho voglia di andare a letto! Non sono una talpa come mademoiselle! A quest'ora dorme e russa col fischiettino!

— Vieni qui!...

— Aspetta!

Remigia finisce di spogliarsi, andando innanzi e indietro da una stanza all'altra, sempre chiacchierando. Sparisce, e ritorna in gonnellino. Sparisce ancora, poi eccola di nuovo: ha i capelli sciolti sulle spalle, e un cortissimo giubbettino rosso scarlatto, sulla sola camicia da notte.

— Vieni qui!

Remigia siede sul letto: le due amiche si abbracciano baciandosi.

— Sei stata alla finestra, fin ora? — domanda Mimì Carfo.

— Sì.

La piccola getta via di colpo le babbucce e si accarezza l'un l'altro, incrociandoli, i piedini nudi, cantarellando sottovoce: « — La luna immobile — Inonda l'etere — D'un raggio pallido!»

— E chi c'era con te, a sospirare alla luna?

Remigia ride:

— C'erano... tutti e tre. La sigaretta sul terrazzo...

— Sir Wood, commenta Mimì.

— La pipa di radica alla finestra del terzo piano.

— Numero sessantasette: sei e sette tredici, — povero Totò.

— E al primo piano, al balcone d'angolo, la pipa turca!

— No! No! — supplica Mimì. — No! No! Il Danova, no! — Ha la voce velata di lacrime.

Remigia diventa seria: dà la solita scrollatina di capo, con la quale sembra mettere a posto i riccioli e le idee.

— Cara gioia, ragioniamo. Bisogna, sai, ragionare! Domani arrivano a Villars mia sorella, mio cognato e l'uomo di maggior... peso della famiglia Sua Eccellenza!

La piccola, che ha sottolineato il peso, chiama Giacomo «Sua Eccellenza» con lo stesso tono che dà al «capitano» del signor Zaccarella.

— E per questo?... Che ti fa?...

— Che mi fa?... Mi fa che quando c'è lei, tutto per lei!... E io non sono più nulla!

— A Villars, non sarà così! Vedrai!

— E poi Sua Eccellenza!... Quel caro Giacomino! Pieno di brio, esilarante... come il precipitato di piombo! Quello lì, non si muove mai senza un occulto pensiero che si manifesta poi sempre in una operazione aritmetica: la sottrazione! Luciano spende troppo e Giacomo viene a Villars, vedrai, per predicare l'economia. — Economia! Economia! Bisogna fare economia! Bisogna ridurre le spese gravose! — Fanfan, s'intende, non è una spesa gravosa. I gravosi, sul bilancio D'Orea, siamo noi: io, mammà, lo zio Rosalì, tutti noi! — Remigia soffia, sbuffa; è irata contro il destino — Uff! Sono stufa! Stufa!... Sono stufa di essere mantenuta da questi bottegai! Sono stufa di dover essere continuamente al seguito di donna Maria Grazia, sono stufa del rancio che vien distribuito alla compagnia, e non sempre con molta grazia, dal capitano Zaccarella! Sono stufa, stufa, stufissima!

L'ira, il dispetto sono vinti dal dolore. Ella raggrotta le ciglia e si morde le labbra per non piangere.

Mimì l'abbraccia angosciosamente.

— Porta pazienza!... Porta pazienza ancora un po'! Sei tanto, tanto bella! Sei tanto cara! Aspetta e vedrai! Io prego tutti i giorni la Madonna...

L'Idola interrompe Mimì con un'eretica alzata di spalle:

— Ma che Madonna d'Egitto!

— No! No! Non bestemmiare! — Mimì, spaventata, si fa il segno della croce.

Remigia ride: il dolore e l'ira sono già spariti.

— Ma no, gioia, non scandolizzarti! Voglio dire appunto che la mia Madonna, quella che mi protegge, quella che mi ha ispirato di tentare il gran colpo, è la Madonna... d'Egitto.

Mimì non si mette a ridere come l'amica: Mimì continua ad affannarsi.

— Quale?... Quale scopo vuoi tentare? — Pur troppo ella sospetta la verità.

— I D'Orea non hanno fatto la loro fortuna con la mortadella? E io farò la mia col lucido Nubian!... Milioni! Milioni! Milioni! Io voglio tanti milioni!

Mentre Mimì Carfo si dispera, l'Idola salta dal letto e salta per la stanza a piedi nudi, esclamando allegramente:

— Milioni! Milioni! Evviva i milioni!

— Vieni qui! Vieni qui! Ascoltami! — supplica ancora la desolata Mimì.

Remigia, d'un salto, torna a sedere sul letto, facendo risonare l'elastico:

— Eccomi, parla, ma io non ti ascolto! — Comicamente si tappa le orecchie con l'indice delle mani.

Mimì, abbracciandola con grande tenerezza, cerca di toglierle una mano dall'orecchio.

— Ma pensa, Remigia! Pensa!... Quell'uomo così brutto, così volgare, vecchio.

Mimì diventa rossa mormorando una parola sulle labbra dell'amica.

— La dentiera?... Cara mia, porteremo in comune con Re Faraone, le gioie, la gloria e le fatiche del regno, ma la dentiera continuerà a portarsela lui solo!

Mimì, sempre rossa rossa, sempre con la bocca quasi sulla bocca di Remigia, riprende ancor più sottovoce con un tremito di angoscia e di terrore:

— Tuo... marito, Remigia!... Tuo marito! Ma pensa, pensa, che cosa vuol dire ma-ri-to...

— Appunto, perchè non mi faccia cattiva impressione, lo sposerò senza pensarci.

— Che orrore! Che orrore! I baci di quell'uomo!... Un bacio solo di quell'uomo!... C'è da morire di ribrezzo! C'è da morir soffocata!

Remigia scrolla ancora la testa poi risponde:

— Sai come si fa? Si chiudono gli occhi... — Remigia fa seguir l'atto alle parole — e si tiene il fiato: — resti come morta e non senti niente. Io fo così, quando mi bacia lo zio!... E anche quando mi bacia Totò! L'uno, o l'altro... — L'Idola fa un'alzata di spalle. — È la stessa cosa e lo stesso odore! Tu sì, gioia, che hai il profumo fresco e delicato di un mazzolino di mughetti! Cara! Cara! Cara! Gioia! — La fanciulla bacia Mimì con impeto. — Ma quegli orribili omacci?... A me sembra di baciare o di essere baciata da una pipa! Ah, mon Dieu! Che penitenza, il matrimonio! — Qui, Remigia fa un sospirone tra il serio e il comico. — Sempre la pipa sotto il naso! Giorno e notte! Notte e giorno! Ma anch'io, sai, come quel tesoro di missis Eyre farò grande uso di — Proibitissimo! — Defendu! Tutto defendu! E farò mancare spessissimo il tabacco e i fiammiferi! Cara! Cara! Cara! Il mio fiore! La mia rosa! La mia mammoletta!... — Remigia continua a baciare Mimì con foga, con furia, ma senza trasporto, senza passione, non per altro, al solito, che per far la matta e far del chiasso.

La Carfo si difende; fa forza per allontanarla:

— Non soffocarmi!... Ti supplico!...

Si tira più su, a sedere contro i guanciali. Vuol far ragionare l'amica; vuol persuaderla.

— Senti, cara... Sta quieta, un momento! Ascoltami! Lasciami parlare!

— Parla, bella viola del pensiero!

— Anche se tutti gli uomini, proprio tutti, ti fanno l'effetto di una pipa...

— Pipa, e tabacco caporal!

— Concederai, per altro, che anche tra pipa e pipa ci può essere una bella differenza!... E tu vorresti scegliere proprio la più... — Mimì non dice la brutta parola, ma esprime il proprio disgusto con un brivido e storcendo le labbra. — Peuh! Quel Danova...

— Il Danova, intanto, non è una pipa, ma un narghillè. Oggetto prezioso e di gran lusso! E come Re Faraone, ti ripeto, mi piace di più del tuo sir Arturo, del tuo bell'Apollo, con le orecchie d'asino! Non hai mai osservato, le orecchie di sir Wood? Guardalo di dietro, quando ti volta le spalle e si allontana con l'aria soddisfatta e il passo lento da conquistatore... che ha conquistato. Vedrai che vele! Sembrano le anse dell'orcio! Pipa banale e volgare il tuo bell'Apollo! Molto più chic il mio pascià. E più art noveau!

— Dio mio, è orribile! Orribile... repulsivo!

— E a me piace: art nouveau! E mi piace il suo carattere! La sua aria di meneinfischio! Di padrone del mondo! Non ha soggezione di nessuno, nemmeno di mammà; e non fa complimenti con nessuno, nemmeno con lo zio Rosalì! Prepotentissimo e impertinentissimo... Tranne con me, s'intende! Con me è un altro Din, un altro Don, din-don! Mogio mogio, quatto quatto, docile assai, basta una mia occhiata per fargli cambiar di colore: tranne la barba, s'intende! — La piccola torna seria; fa un'altra alzata di spalle, ma questa volta di dispetto e d'ira. — E poi a me che importa l'uomo... omo? Non dipenderò più da casa D'Orea! Non sarò più al seguito di mia sorella! Avrò io più milioni di mia sorella! E questa gente, l'avrò tutta supplice a' miei piedi, anche mammà, anche lo zio Rosalì!

La Carfo sospira, dolorosamente:

— Tua sorella! Appunto... Ti dovrebbe ammaestrare l'esempio di tua sorella!... Pensa quante lacrime le costano i suoi milioni!

— Perchè mia sorella è una sciocca. Ma io?... Con Re Faraone? Vedrai che diversità di trattamento! Guarda Fanfan!... Come Fanfan! Quella sa tenerlo in riga mio cognato! È dalla signorina Fanfan che bisogna imparare!

Mimì Carfo, non ha più che una speranza.

— Ma... e da parte... del Danova?... Sei sicura che quel brutto orco faccia sul serio?

— È innamoratissimo! — La fanciulla ride. — E le sue proteste d'amore? Tutte a base di milioni!... Anche questa, sai, è una bella novità e un piacevole diversivo, dopo tanta indigestione di cuore, di anima, di cielo o di angeli, al chiaro della luna e delle stelle. Il mio pascià è positivo e pratico: tutto ciò che gli piace, lo paga un milione «pronti contanti». I miei capelli? Un milione! I miei occhi? Un milione! I «bei penin piccinin?» Un milione. La bocca, due milioni, anzi, adesso, siamo già sui tre. Ma siccome io non vendo a ritaglio, capo per capo, e lo sa, così fa tutto un blocco e ci vorrà tutta la cassa! Mi ha quasi offerto di sposarmi stasera. Me l'ha offerto digrignando i denti, come un orso preso al laccio. Domani mattina mi offrirà la sua mano con bella maniera. Andiamo insieme al lago di Chavanne. Al ritorno, prima che mia sorella sia arrivata a Villars, il barone Danova avrà già parlato e fatto la sua domanda «alla duchessa madre» in piena regola.

Mimì si dispera: ha gli occhi gonfi di lacrime.

— Aspetta! Aspetta! Ti prego! Ti supplico! Pensaci ancora!... Aspetta!

— Ho vent'anni, mammoletta, mammolona! Non ho più tempo di aspettare!

— Ti prego! Ti supplico! Te lo domando in grazia! Domani no! Domattina no! Aspetta ancora un giorno, almeno un giorno...

— Ho vent'anni!... Anzi, presto, ventuno!

Mimì non può più resistere e scoppia in un pianto dirotto.

L'Idola, ancora seduta sul letto, si volta a guardarla diventando seria, mentre continua ad accarezzarsi i piedini l'uno contro l'altro, incrociandoli:

— Non piangere! Basta! Non voglio che tu pianga! Rispondi invece: tu saresti contenta se io sposassi l'elettricista povero?

— Sì.

— Anche se sposassi Totò!

— Sì, sì! Ma il Danova no! lì Danova no!

— Che importa per te, il Danova o un altro, quando per me... fosse anche Paride in persona, mio marito, sarà sempre tanto poco... mio marito? Intanto punto primo: niente figliuoli. Io non voglio figliuoli. Non voglio sforzarmi e poi... ho paura. Non voglio arrischiar di morire io, per il gusto di mettere al mondo un... beì! No, no! Mainò! Se Re Faraone vorrà un principe ereditario, se lo farà da sè! Non piangere! Finiscila! Pensa, invece, come sarebbe buffo Re Faraone, in istato interessante! Ridi! Ridi! Ridi!

L'Idola batte, pizzica, fa il solletico a Mimì finchè riesce a farla ridere fra le lacrime.

— Adesso, ascoltami bene. — Remigia fissa torva Mimì, e fa un'altra voce risoluta e dura. — Ascoltami bene: guai se tu mi compiangi o mi fai compiangere da mia sorella. Devi mostrarti incantata del Danova; devi trovarlo ultra simpaticissimo e piacente, e devi mostrarti entusiasta del mio matrimonio...

— Impossibile! Questo è impossibile! Impossibile!

— Lo voglio... o non mi vedi più!... Bada: mi diventeresti antipatica, non potrei più soffrirti!

Mimì abbassa la testa: si capisce che finirà per fare tutto ciò che le comanda l'amica sua, ma è un grande dolore per lei, un vero strazio!...

— Se invece... ti lasciassi guidare, consigliare da tua sorella?... Tu non vuoi persuaderti ma pure è tanto buona! Senti almeno dal signor Giacomo, chi è, che cos'è questo egiziano!

— Non parlarmi di Sua Eccellenza. Sai che non lo posso soffrire.

— Che cosa ti ha fatto?

— Niente, ma non lo posso soffrire. Con quella barbetta, con quel ciuffetto di capelli troppo lunghi... ha un viso da capra.

— Ha un'espressione così intelligente, così dolce...

— Ma ha un viso da capra.

— Cento volte meglio del Danova, per altro. Il Danova è... orribile, e il signor Giacomo non è brutto! Poi, è più giovane.

— Sia pure, ma il Danova è pronto a sposarmi e Sua Eccellenza non ci pensa nemmeno!

— Perchè no, se tu vuoi?

— Sua Eccellenza Giacomina?... Non mi ha mai fatto l'onore di prendermi in considerazione!

— Perchè non hai mai voluto essere gentile, amabile con lui!... Provati soltanto, e vedrai!

Remigia, dubita:

— Uhm!... Mi pare, piuttosto, che abbia del debole per mia sorella!

Mimì, che da queste parole, vede balenare pur da lontano un raggio di speranza, insiste più che mai:

— Tua sorella gli fa compassione, tu gli piacerai, se ti ci metti!... Dovrà finire anche lui come gli altri!... Tutti s'innamorano di te, se ti ci metti! Non precipitare niente, aspetta! Domattina, non andare al lago di Chavanne!.. Il Danova, tanto, non ti scappa!

L'Idola fa un sorrisetto serio, malizioso.

— No; quello lì... credo di no!

— Tienlo per un caso disperato! Dio mio, finchè c'è vita, c'è speranza!

Remigia dondola la testa e torna a cantarellare:

— Per me tutti gli uomini, tutti brutti, tutti uguali, tutti un peso, un gran peso... e una pipa!

— Ma pensa, cara, alla sua condizione...

— Finanziaria? — esclama subito Remigia. — Oh per questo sì! Di milioni ne ha di più Giacomo, anche del Danova!

— La sua condizione morale, sociale. È un uomo di talento...

— Per talento, anche il mio Re Faraone, è tutt'altro che uno stupido!

— Può ritornare... ministro!

— E in tal caso io sarei... ministressa! Governerei lo stato! Tutti i socialisti, in prigione!... Comanderei io, anche a Luciano. — «Bisogna subito piantare Fanfan! Più un soldo per Fanfan!» — Mammà con me, tu, gioia, con me: lo zio Rosalì e Totò, in Trinacria!

Tutto questo, la fanciulla lo dice ridendo, per ischerzo, ma poi, a mano a mano diventa seria. Ci pensa alla possibilità di poter conquistare... Giacomo D'Orea, e nel suo cervellino capriccioso e mobile la barba di Re Faraone perde di colore e svanisce a poco a poco. Sarebbe lei la padrona di sua sorella; la padrona di tutti!

Le braccia allungate, le mani tese, posate sul letto, gli occhi fissi fissi, sembrano guardare un punto lontano... Continua ad accarezzarsi, incrociandoli, i piedini nudi... Ad un tratto scoppia in una risata:

— E il capitano Zaccarella?... Per prima cosa, quando fossi diventata la moglie di Sua Eccellenza, il capitano Zaccarella a riposo, e senza pensione!

La moglie di Sua Eccellenza

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