Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 6

III.

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Al Grand hôtel di Bex, la colazione, ordinata per le dodici, non è ancora pronta alle dodici e mezzo. Si comincia con un brodetto cosparso di qualche lacrima insipida; un altro quarto d'ora d'aspetto, e finalmente, accolto con viva gioia, ecco l'apparizione di un bel rosbiffe, rosolato e fumante.

Ma, subito, un nuovo incidente e un nuovo ritardo. Il principe di Sant'Enodio e il signor Zaccarella hanno appena il tempo di emettere un lungo — ah! — di soddisfazione, che già echeggia nel corridoio un festante latrato, e Din e Don, come due saette, sciolti dalla catenella e inzuppati d'acqua e di mota, precipitano nella sala, saltano sulle ginocchia, sulle sedie, persino sulla tavola, ormai fatti indocili e indomabili dalla fame e dall'odore del bove arrosto.

L'Idola è di ritorno con tutta la sua corte. Grande gioia della madre, gioia più tranquilla dello zio, un sorriso di Maria Grazia e fremiti d'ira a stento frenati dal povero Zaccarella, che deve alzarsi, cambiar di seggiola, fare cerimonie, dare nuovi ordini, e quindi sospendere il pasto, proprio nel momento di incominciarlo!

— I cani!... Giù! Giù! Fuori i cani! Fuori!

Il signor Zaccarella non può sfogarsi nemmeno contro i cani! La contessina Mimì ha preso Din per il collarino, mademoiselle ha pigliato Don, le cameriere portano spugne, asciugamani, spazzole, pettini, acqua di Colonia e incomincia la toeletta.

— Zio Rosalì, amore, dammi una fetta di rosbiff! Anzi, due grandi! — Remigia è già seduta a tavola.

— Prima una tazza di consumé!... Prendi una tazza di consumé, Idola!

— Ma che! Ma che! Figurati! Ho fame di rosbiffe!... Mi dà le patate signor Zaccarella? Maria, gioia, dammi la senape! — Tutti la servono e l'Idola divora. — Ho una fame, mammà! Una fame! Una fame!

— Brava!... Così, vedi, mi fai contenta, felice!... Per altro, anche una tazza di brodo ben caldo!... — Ogni boccone che ingolla la figliuola è un raggio di gioia negli occhi materni!

— Squisito!... Eccellente, questo rosbiffe! Non è vero, Totò?

Totò, che pure non ha perduto tempo, è seduto accanto a papà, e dinanzi a quel roastbeef si sente inglese più che mai. Annuisce con un cenno dignitoso del capo.

— Bravo Totò, il britanno! Signor Zaccarella, ancora patatine! Mimì! Mademoiselle! Asciugate bene bene e fregate forte forte! Povero Din e povero Don!... Che non prendano la tosse!... Tesöri!... O mammà! Che bellezza vederli a nuotare!

— Adagio, mangia adagio, non così in fretta, cara! Sei stata buona a ritornar presto! Non hai preso freddo, spero. Non ti sei bagnata?

— Ma che! È un'innondazione artificiale!... Tutto in Isvizzera si fa artificialmente! L'innondazione, come il ghiaccio del Rodano con la grotta azzurra! Pur di mungere le borse al misero viandante! Esempio: io, Mimì, Totò, non abbiamo più un soldo! Signor Zaccarella gentile e buono, ancora un po' di senape! Grazie.

— Come? Non ti sei divertita, Idola mia? — La madre è adesso inquieta per un altro verso.

— No. Non c'era niente di bello da vedere! Un mare?... Che! Un lago morto; non è vero, Totò? Un lago caffè-latte, dal quale non spuntavano qua e là, altro che le cime di qualche alberello, e più giù, mezzo campanile! Zio Rosalì, amore, leggi il menù, con alta e chiara voce!

Poulard de Bress aux champignons.

— Benissimo! Bravo! Evviva i champignons! Sai, mammà? Un'innondazione senza innondati! A nuoto, soltanto Din e Don!... Brutta gentaglia sudicia; certi visi sparuti che frignano miseria per spillare quattrini! Ha finito mademoiselle? Allora faccia il favore, metta a Din il nastro giallo, e a Don il rosso!

Il signor Zaccarella, che ormai s'è calmato avendo calmato anche l'appetito, pensa lui perchè ci sia ancora da far colazione per la contessina Mimì Carfo, per mademoiselle Jenny, e anche per le due insopportabili bestiacce.

— Con tanto amore per i suoi tesori, duchessina Remigia, ella pensa alla loro toeletta, all'acqua di Colonia, al nastro giallo e al nastro rosso, ma se non ci fossi io... creperebbero di fame!

— Magnanimo capitano, grazie! Mi raccomando: zuppa soltanto, pochina e niente carne! Non posso soffrire che Din e Don diventino grassi! Odio la gente grassa!

Il signor Zaccarella, oltre ad avere la faccetta secca, gialla, da giovine vecchio, senza nemmeno un'ombra di peluria, è magro, più di un angolo in croce. Egli interpreta l'odio della duchessina contro i grassi, come un complimento a lui diretto e questa volta le perdona l'ironia del capitano.

— Sa fare, la piccola!

Il ritardo prima di mettersi a tavola, l'interruzione per l'improvvisa comparsa della duchessina, il caffè, il kirsch, poi di nuovo il thè... è venuta l'ora della partenza. In fatti i due soliti landò e l'omnibus aspettano già pronti dinanzi all'albergo, quando entra in sala il portiere con un telegramma.

— Luciano! — mormora sottovoce donna Maria prendendo il dispaccio. — Grazie.

Ella lo apre senza il più lieve sussulto, senza nemmeno un atto di curiosità. È sicura che non ci può essere per lei nessuna notizia gradevole e alle noie e alle contrarietà, ormai c'è tanto avvezza!

Legge, poi si rivolge alla madre:

— Andate voi soli a Villars. Io aspetto Luciano a Bex. — Dà il telegramma aperto al signor Zaccarella che, a sua volta, lo legge prima piano, poi ad alta voce.

— «Preso automobile». — La scusa della sua partenza improvvisa da Lucerna per Parigi, questa volta, era stata l'acquisto di un'automobile. — «Presa automobile. Una Mercedes-Janko. Tu aspettami a Bex col signor Zaccarella. Tua madre, famiglia, proseguano Villars. Saluti».

È chiaro che arrivando a Bex, Luciano D'Orea, vuol trovarsi solo con sua moglie. È chiaro, esplicito, e per la famiglia riesce tutt'altro che spiacevole quell'ordine. Quando ritorna da Parigi il caro Luciano, non è punto divertente! Musi e spostature. O non guarda nemmeno in faccia, o strapazza tutti.

Però, in quel momento, nessuno fiata: non c'è nè una parola di protesta, nè una manifestazione qualunque di dispiacere. Le carrozze aspettano sempre: le signore devono vestirsi, mettersi il cappellino e far presto per non perdere la corsa.

Il principe Rosalì è già pronto. Egli sta ammirandosi nello specchio grande che occupa una parete e continua ad ammirarsi.

— Con quella barba magnifica ha proprio una bella testa da cavaliere antico! E la persona alta, — erano tutti alti, maestosi i Sant'Enodio, — come si conserva elegante e ben formata! Eppure... i sessanta erano sonati, ma così leggermente che nessuno se n'è accorto e lui, meno di tutti.

— Buon viaggio, zio Rosalì! Arrivederci a Villars!

Il principe sorride ancora baciando in fronte con l'usata galanteria, la «pallidona sensitiva» e il sorriso, prima di compiacenza, adesso diventa arguto, maliziosetto: è lo spirito di Voltaire che rivive nell'uomo del gran mondo.

— A Parigi, hanno fatto prestissimo, questa volta, a comperare l'automobile! C'è da congratularsi... con l'Italia!... Ricordati, o soave Maria, gratia plena: a marito che torna, ponti d'oro!

Sopraggiunge la madre: sta un momento sopra pensiero, poi si decide. Si fa prestare dalla cara Maria la sua mantelletta di lontra, per le spallucce dell'Idola.

— Tu qui, puoi goderti ancora un po' di caldo! Lassù, a milletrecento metri e con questo ventaccio, ho in mente che troveremo la Siberia! — Poi diventa seria. Anche la duchessa accompagna le raccomandazioni alle affettuose tenerezze. — Salutami Luciano. Ricordati che puoi farne sempre ciò che vuoi! Basta non contradirlo! Eh, sicuro che qualche volta il caratterino è difficiletto! Ma come si fa? Il buon Dio ha dato a tutti la nostra croce da portare e io mi conforto pensando che la mia, — non per dir male di tuo padre, poveraccio, quand'era vivo, — ma è stata molto più pesante della tua. E così, sempre sia! — Le dà due baci forti, che scoccano, uno per guancia. Vede che gli occhi della figliuola sono addolorati, pieni di lacrime; allora la stringe al cuore, sospira pateticamente e se ne va, presto presto, per non sentirsi troppo commossa, fermandosi solo un momento, prima di salire in landò per cercare nella piccola borsetta, appesa alla cintura, se non ha dimenticato l'astuccino delle pastiglie.

— Addio, gioia! Addio! — Remigia saluta la sorella da lontano, in fondo alla discesa. È corsa innanzi, a piedi, con Totò e con Mimì Carfo; è corsa dietro a Din e a Don, — i ghiottoni tanto disubbidienti! — Hanno subito trovato l'usta della cucina e delle ossa e adesso non si lasciano prendere per paura del castigo!

— Addio, gioia! Vieni presto a Villars!... Din!.. Diin!... Doon!... Qui! Subito qui!

Maria Grazia rimane sola, sul grande portone dell'albergo, a vederli partire. Anche il signor Zaccarella è andato alla stazione per i biglietti, per tutto quello che c'è da fare. Quando non vede più le due carrozze seguite dall'omnibus, ella rimane ancora lungamente ritta, immobile, gli occhi pensosi a guardare lungo la strada solitaria.

Che vuoto! Che vuoto! Dio! Dio! Che vuoto intorno a lei!

Il cielo è ancora fosco, tutto coperto; ma la pioggia è quasi cessata. Maria fa qualche passo macchinalmente: non piove più. Ella continua a camminare a caso, adagio adagio, assorta, distratta. Vede una chiesuola in fondo a un prato verde, circondato da un muricciuolo... è aperta; entra. La chiesa è deserta. Un solo lumicino acceso a' piè d'una Madonna posta sul piccolo altar maggiore, nudo, con il dorsale della tovaglietta ripiegato.

La giovane signora osserva quella Madonna scolpita goffamente nel legno e goffamente dipinta: eppure ne sente il mistico fascino e la soave poesia. La guarda... siede sulla prima panca, in fondo alla chiesa, e continua a guardarla... così, senza pregare.

Pregare? Che cosa avrebbe potuto chiedere? Nulla. Che cosa avrebbe potuto sperare? Nulla.

Maria continua a guardare, a fissare la rozza immagine della Madonna, sola con lei, in quel giorno, sola come lei, nella chiesa deserta; come lei, in quel momento, abbandonata da tutti.

— Povera e cara Madonnina di Bex! Povera, sì, molto povera quella Madonnina... e brutta!

Il manto azzurro e il vestito rosso di seta, sono miseri e stinti... Non ha corona quella regina dei cieli, non ha gioielli, non ha ornamenti...

Maria sospira: sente che si dilegua anche quel po' di conforto che le era penetrato nel cuore. Le sembra, che persino la rozza immagine di legno, ripeta a lei, così bella e così ricca, quelle parole fredde, terribili, che tutti le dicono, che tutti le sussurrano in famiglia, nel mondo, come un rimprovero e come un ammonimento, quelle parole che le tolgono persino il diritto di soffrire, e di piangere:

— Di che ti lamenti?.. No, tu non puoi lamentarti! Hai la ricchezza, il lusso, lo sfarzo; hai la gioventù e la bellezza. Basta una parola tua e ottieni tutto quello che vuoi. I milioni di tuo marito sono inesauribili e la sua cassa è sempre aperta! Se non ti basta e ti credi infelice, sei ingiusta e sei ingrata! Asciuga, asciuga le tue lacrime!

.... Sente, dietro di lei, un lieve suono di passi, il rumore di una seggiola appena smossa.

Ella non si volta nemmeno. Sa benissimo chi è entrato in chiesa. È il signor Zaccarella il quale ha l'ordine preciso, dal padrone, di non lasciarla mai, di sorvegliarla sempre, di riferire tutto ciò che fa.

La moglie di Sua Eccellenza

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