Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 5

II.

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— A Bex? Dobbiamo restare a Bex fino alle tre?

— Con la pioggia e col vento?

— Tutto il giorno fermi in stazione?

— Dio che noia! Ma c'è da morïre di noia!

— Signor Zaccarella!... Signor Zaccarella! — gridano insieme varie voci infuriate.

Il signor Zaccarella non risponde; forse non può sentire. Lo si vede scalmanarsi in fondo alla tettoia, in mezzo al fracasso, tra i facchini e i servitori che hanno appena due minuti di fermata per trasportare tutto il bagaglio; sessanta colli di bagaglio!

— O Rosalì! — La vecchia duchessa di Moncavallo si volta verso suo fratello, il principe Rosalino di Sant'Enodio, che vede sempre intento a studiare l'orario. — O Rosalì! Un'altra corsa non c'è? Non si può partire più presto per Villars?

— Non c'è. Cristina cara; non c'è!... Abbiamo perduta la coincidenza!... Sai che gli orari in Isvizzera sono fatti apposta dagli albergatori per far perdere le coincidenze!

— E colazione?

— Dove si fa colazione?... In questo piccolo buco di caffè?

— Hanno il coraggio di chiamarlo Le grand restaurant de la gare!

— È un orrore, zio Rosalì!

— È impossibile!

Si torna a chiamare, a invocare il signor Zaccarella. Questi fa cenno con la mano di aspettare, di aver pazienza.

— Vengo subito!

Il signor Zaccarella sudato, trafelato, si arrabbia e gesticola come un ossesso.

— Non basta far presto a scaricare! Bisogna far presto anche a portar la roba al riparo, all'asciutto, o va alla malora! E le bollette?... Presto! Le bollette! Bisogna riscontrare il numero delle bollette!

Con tutta quella roba, con tutto quel da fare, c'è un solo impiegato rintontito che non sa spiegarsi in nessuna lingua, e un capo-stazione mutria, sempre fermo e che non fiata!

Il signor Zaccarella grida, continua a gridare ingarbugliando il francese, il tedesco e l'italiano. Come lui e attorno a lui, gridano tutti. I servitori con i facchini, i facchini con i servitori: e le cameriere, — che hanno perduto «il sacco rosso con il nécessaire di donna Maria Grazia» e «l'astuccio più grande con i colori e i pennelli della duchessina Remigia» — strepitano a loro volta fermando i duri e arcigni conduttori del treno che stizziti da quella confusione babelica le piantano bestemmiando e sbattendo gli sportelli. E con tanto baccano, con tanto disordine, con tanta furia di far presto, sempre l'acqua che viene a dirotto... e sempre, fra le gambe, due piccoli barboncini neri, legati insieme con una catenella d'argento, che corrono di qua di là, annusando, cercando i padroni, sempre abbaiando, abbaiando disperatamente, finchè i viaggiatori sono tutti a posto, finchè tutto è chiuso, pronto per la partenza, finchè batte a campanella, il mostro fischia e il treno riparte, finalmente, ansando, sbuffando, lasciando dietro di sè grandi nuvole di fumo... poi la quiete e il silenzio nel bigio uniforme della campagna triste e deserta.

— Eccomi! — Il bagaglio è tutto a posto sotto la tettoia e il signor Zaccarella corre vicino al gruppo delle signore e dei signori. — Eccomi, donna Maria! Domando scusa, signora duchessa! Con queste marmotte di svizzeri, c'è da perdere la testa!

— E colazione? Avete pensato dove si fa colazione? — ripetono insieme la duchessa e il principe Rosalino. La bellissima donna Maria Grazia D'Orea, la figlia maggiore della Moncavallo, appoggiata con un braccio al suo alto ombrellino da passeggio, non dice più una parola; non ascolta, non bada agli altri. I suoi grandi occhi neri e pensosi guardano lontano; il quadro di mestizia che la circonda, è penetrato anche nella sua anima.

— Si fa colazione al grand hôtel de Bex! — risponde il signor Zaccarella. — Ho fissato due landò...

— Pronti, capitano! — interrompe Pasquale, il maggiordomo. — Vengono adesso!... Dall'altra parte della stazione!

— Per far presto, ho telegrafato da Losanna!

— Benissimo!

— Bravo!

Donna Maria Grazia si riscote con un brivido: quel freddo improvviso della burrasca in montagna l'ha intirizzita.

— Per me, non c'era niente a Losanna, signor Zaccarella?

— No, donna Maria.

— E qui, all'ufficio del telegrafo?... — La voce di donna Maria non è alta, ma chiara: accarezza l'orecchio con una lenta cadenza musicale — È stato a vedere?

— No!..

— Subito! Faccia presto! Lucïano può aver già telefonato da Parïgi se arriverà da Bex o da Aigle!

Anche i due ï di Luciano e di Parigi sono accarezzanti dolcemente mentre vengono pronunziati. Eppure, a donna Maria Grazia, i dispacci del marito, — lettere egli non ne scrive mai, — sono più cagione di timore che di speranza.

— Faccia presto! La prego! E si ricordi: bisogna lasciare il nostro indirizzo di Villars!

— Non dubiti!

Il signor Zaccarella è già alla ricerca dell'ufficio telegrafico. Più della preghiera della signora, è il nome del padrone che lo fa correre.

— Per di qua, capitano!

Il signor Zaccarella, comandante onorario delle guardie forestali e campestri della nobile famiglia, è chiamato capitano, per adulazione, ma soltanto dai servitori.

— L'uscio laggiù!... A sinistra, capitano!

Il capitano continua a correre, sparisce in fondo alla stazione, e ritorna in un attimo.

— Niente! Non c'è niente, donna Maria!

— E per me? E per me? — domandano gli altri in una volta.

— Niente per nessuno! Andiamo! Presto! In carrozza! — Il signor Zaccarella, prende un tono risoluto, da vero capitano. Quando c'è fretta, non fa complimenti.

— La colazione l'ho ordinata per mezzogiorno, preciso! Nei due landò c'è posto per le signore, il signor principe, il marchesino e mademoiselle! Io e le cameriere, in omnibus. Pasquale, i servitori, tutti qui e mangeranno qui. Io non voglio lasciare più di sessanta colli e tutto il piccolo bagaglio a mano, senza nessuno!

— Bravo! Benissimo!

— Ha fatto benissimo!

Il signor Zaccarella corre avanti e chiama il cocchiere del primo landò. Il capitano non si mostra molto sensibile alle lodi e alle approvazioni della duchessa Cristina e del principe Rosalino. Egli sa, per prova, che tutta quella gente — signori e servitori — deve, poco o tanto, dipendere da lui. È in lui, in fatti, nel signor Zaccarella, che è trasmessa la volontà e il governo della cassa forte, del resto sempre aperta, del vero, del solo assoluto padrone, — perchè è il solo che abbia i milioni, — di don Luciano D'Orea.

La duchessa Cristina e donna Maria sono già in carrozza. La madre, Cristina Moncavallo di Sant'Enodio di Carpino — duchessa, principessa e marchesa — pur nella sua florida maturità conserva i tratti delicati, finissimi della figliuola; i capelli bianchi ondeggiati, — bianchi d'argento, come la bella e lunga barba del principe Rosalino, — risaltano maggiormente per la rosea freschezza del viso, per il nero del vestito e raddolciscono la sua aria di signorilità severa, quasi regale.

— E Remigia?... Dov'è?

— Era qui adesso; in questo punto! — risponde lo zio Rosalino, ritto di fianco alla carrozza, con l'ombrello aperto.

— Idola! Idola mia! — chiama forte la duchessa.

— Totò! Mademoiselle! La Pïccola? Non avete veduto la Pïccola? — Donna Maria spinge il capo dallo sportello verso la seconda carrozza.

— Era qui, adesso! — Totò, il figlio del principe Rosalino, risponde come il babbo, ma con più flemma.

È un ragazzotto lungo, smilzo, biondo, per fortuna sua, e perfettamente sbarbato come i servitori. In knickerbockers color nocciuola, fermo, impassibile dinanzi alle carrozze, prende anche tutta l'acqua, pur di essere scambiato per un inglese puro sangue.

— È in caffè, la duchessina Remigia! È in caffè! — accenna appunto la signora che era stata chiamata mademoiselle da donna Maria. — È andata con la contessina Mimì a dar da bere a Din e a Don.

I due piccoli barboncini neri, sempre legati insieme con la catenella d'argento, si chiamano così: l'uno Din e l'altro Don: Din-Don.

— Si poteva... all'albergo... dar da bere ai cani! — borbotta lo Zaccarella, abbastanza forte per essere inteso.

— Idola! Idola mia! Fa presto!

— Andiamo Pïccola! Da brava! Non farti sempre aspettare!

— Va pure, — mammà! Andate pure a Bex!... — strilla un voce dal caffè. — Io resto qui!

— Come, resti qui? — La duchessa è inquieta e sorpresa.

— Non far capricci! — insiste donna Maria. — Non vedi? Lo zio Rosalì è da mezz'ora che sta prendendo l'acqua per te!

— Andate pure! Ho detto di an-daa-re! — ripete cantarellando la duchessina che si affaccia sotto la tettoia. — Io resto qui!

Din e Don, sempre legati insieme, s'intende, sbucano, intanto, tra le casse e i bauli e si mettono a correre dall'una all'altra delle due carrozze, mugolando, scodinzolando e diguazzando nella mota, facendo salti e capriole per poter salire.

— Pasquale! Prendete queste due bestiacce!... Su! Cacciatele sull'omnibus!

Il signor Zaccarella è furibondo. Ha tutto l'abito insudiciato da Din e Don.

— Questo poi no! Niente affatto signor... capitano! I miei tesori restano con me!

La duchessina Remigia, l'Idola della Moncavallo, la Piccola di Maria Grazia, esce dal caffè e si avanza passo passo sotto la tettoia, sbocconcellando un grosso pane da una mano, e una larga fetta di prosciutto che tiene sollevata con l'altra, fra due ditini soli, delicatamente.

Nell'abito blù, corto, d'alpinista, con un grande panama puntato un po' di traverso sulla massa avviluppata e spettinata dei capelli biondi e con un alpenstok lunghissimo, che avendo le mani impedite stringe sotto il braccio e strascica per terra, la giovinetta così ardita e ostinata, più assai che della «signora duchessina» ha della bimba e del monello. Le tien dietro, a poca distanza, facendo risonare gli scarponi ferrati, una specie di montanaro curvo e barbuto, che porta un paio d'occhiali neri infilati sul cappello fra una ghirlandetta di edelweis e di roselline delle Alpi. È una vecchia guida dei dintorni.

— Idola mia, sii buona! Vieni con noi! E non mangiare adesso! Non avrai più appetito a colazione!

— Ho detto di no! Di no! Ho detto di no!... Io vado a vedere l'innondazione del Rodano! Vado con questa guida, che mi farà da nocchiero! Ma pensa, bella mammà, invece delle noiosissime montagne, trovare in Isvizzera un po' di mare! «In mare luccica, l'astro d'argento!» Pensa che gioia! È tutto sott'acqua! Case, contrade, villaggi interi!... Tutto sott'acqua! È una bellezza da vedere!... Mimì! Mimì! Vieni, sì o no?

— Eccomi! Eccomi! — risponde dalla sala d'aspetto la contessina Mimì Carfo. Sta frugando con una cameriera, tra le valigie e i plaids, in cerca degli impermeabili e delle calosce.

— E Totò? Vieni anche tu con noi, Totò?

Totò non risponde. Egli ha per principio che gli inglesi veri, non usano rispondere. Ma leva di tasca e accende la pipa, il che vuol dire che prende parte all'impresa.

Mademoiselle è già smontata dalla carrozza, è già andata lei pure a cercare impermeabile e soprascarpe.

— E così?... Noi adesso che facciamo, signori miei?... Si parte per Bex o non si parte? — Il signor Zaccarella sta prendendo tutta l'acqua e ha i piedi nella mota.

Ma la povera duchessa non può rassegnarsi:

— Sii ragionevole, Idola cara! Non pigliar freddo! E poi? Se c'è pericolo!

— Pericolo di che? Nessun pericolo! — ribatte lo Zaccarella per farla finita.

— Stia sicura, di buon animo, duchessa, e andiamo a Bex, che si fa tardi. Farò accompagnare la duchessina da Pasquale, e Pasquale è un uomo prudente. C'è da fidarsi. Su, su! Signor principe! Chiuda l'ombrello! In carrozza e andiamo!

La Moncavallo, anche quando la carrozza si muove, continua a sospirare, a gemere, a fare raccomandazioni alla figliuola. Donna Maria e il principe Rosalino si guardano solo negli occhi, scrollando il capo: — quella piccola è tutto un capriccio!

In quanto a Totò, a Mimì e a mademoiselle, qualsiasi raccomandazione è perfettamente inutile. Sempre ligi agli ordini e ai ghiribizzi di Remigia. A loro non è permesso di dire la piccola. Non è permesso nessun diminutivo, nessun vezzeggiativo. Molto per amore e un po' per forza, ella sa tenerli legati alla catena come Din e Don. Per amore la Mimì: adora Remigia. Per amore, — in segreto, — anche Totò; per forza, mademoiselle. Sapeva che già erano state cambiate tre governanti: la prima era troppo vecchia, la seconda troppo brutta, la terza... antipatica. Mademoiselle Jenny, per non perdere il posto... sommissione e sempre in ammirazione!

— Addio, mammà! Addio, gioia! Addio zio Rosalì!

— E badiamo, duchessina Remigia, di non farsi aspettare! — ammonisce lo Zaccarella col suo tono di padronanza. — Bisogna essere di ritorno prima delle tre. Non si vorrebbe perdere la corsa per lei, possibilmente!

— Non dubiti, capitano! Alle due e tre quarti, pronti al comando, capitano!

Quel demonietto di donnina saluta mettendosi ritta, in posizione militare, con l'alpenstok a mo' di fucile e la mano al cappello.

— Maledetta piccola! — borbotta il signor Zaccarella, sdraiandosi nella carrozza dov'è rimasto solo, e che parte al trotto, seguendo il landò della duchessa. — Maledetta piccola! — Non la può soffrire perchè lo chiama capitano, per pigliarlo in giro, e perchè ella se ne infischia allegramente di ogni sua autorità. Nessuno, del resto, incute a Remigia soggezione e rispetto. Nessuno; nemmeno sua madre. La duchessa Cristina, che era sempre stata ed è tutt'ora assai severa, fin meticolosa verso donna Maria, non avrebbe mai osato di fare la minima osservazione all'Idola, che, del resto, è proprio il suo idolo! E nemmeno don Luciano! Don Luciano, quanto è largo di quattrini con sua moglie e con tutti i parenti di sua moglie, altrettanto è facile agli sgarbi, alle scenate, agli atti di prepotenza: ma contro la cognatina, non c'è verso di poterla spuntare!

— Maledetta piccola! — borbottava Luciano con il fido Zaccarella. — Ci vorrebbe un altro sistema di educazione! Il sistema adottato per Din e Don: zucchero e... frusta! — Ma la frusta resta, naturalmente, una figura rettorica e così la piccola finisce per avere anche da «quell'odiosissimo» di suo cognato, soltanto lo zucchero!

— Se credi di farmi piangere come mia sorella, ti sbagli, sai! — aveva detto Remigia a don Luciano, la prima volta che si erano accapigliati. — A me non fai paura, perchè ti conosco bene!

Gli occhietti dell'Idolo non ridevano più, azzurri e sfavillanti: lo fissavano impavidi, con una durezza, con una freddezza d'acciaio. L'altro sentì scendere nell'animo cattivo quell'occhiata cattiva. Ne rimase sconcertato e voltò la cosa in ridere.

— Chi dovrà godersela costei starà fresco!... Meglio, molto meglio sua sorella, con tutte le sue nenie! Con sua sorella, con mia moglie, comando io! Che diversità dall'una all'altra!... Come tra una bottiglia d'inchiostro... e un bicchiere di champagne!

— Don Luciano ha ragione!

Remigia è bionda e piccola, rosea e magrolina; è tutta un sorriso e un argento vivo. Maria Grazia, alta, forse troppo alta della persona flessuosa e gentile, ma di un'eleganza armonica, ha i capelli neri bruniti, lucenti; e gli occhi nerissimi, i begli occhi nerissimi e profondi, sono pieni di pensieri e di malinconia. C'è più di un'anima in quegli occhi; c'è la poesia del dolore.

La D'Orea non ha ancora ventisette anni e ne dimostra trenta; l'Idola ne ha venti e in certi giorni di maggior vivacità e turbolenza ne dimostra quindici!

Insomma il contrasto tra le due sorelle è così vivo e così strano, che i pochi fedeli adoratori i quali assolutamente non permetterebbero un dubbio sulla rigida virtù della duchessa Moncavallo spiegano il prodigio assicurando che donna Maria Grazia assomiglia alla madre, quanto Remigia assomiglia al padre... morto, da vari anni, di paralisi progressiva, ma che, per altro, non era mai stato, in vita sua, nè piccolo, nè biondo, nè prepotente.

La moglie di Sua Eccellenza

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