Читать книгу La moglie di Sua Eccellenza - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 11
VIII.
ОглавлениеMaria Grazia ha scritto alla madre annunziandole il prossimo arrivo del cognato alla Tête-pointue.
Il capitano Zaccarella, a sua volta, ha telefonato all'albergo, fissando camere e salotto per Sua Eccellenza Giacomo D'Orea.
Piove, c'è la nebbia, ma non importa. Ormai per il gongolante signor Trüb il cielo della Tête-pointue è sempre sereno, anzi serenissimo!
— Aspetto un grande personaggio, — racconta gonfiandosi, ai suoi clienti a pensione. — Il ministro delle finanze — nientemeno! — del Regno d'Italia! È il cognato, precisamente, della duchessa D'Orea Moncavallo, che è stata dichiarata la più bella donna di Napoli e di Roma! — In bureau col segretario, continua a fregarsi allegramente le mani:
— Guai se non mi fosse capitata tutta questa baracca, per rimpolpettarmi! — Si ricordi: champagne di dodici franchi, non ce n'è più: finito ieri. Non abbiamo altro che champagne Irroy di diciotto, — anzi lo metta venti. Tanto non spendono del loro. Duchesse e principi, son tutta gente spiantata. Chi paga, sono i D'Orea, antichi salumieri. Hanno fatto i milioni con la mortadella!
— Già, — soggiunge il segretario. — Molini e mortadella. Missis Eyre lo conta a tutti, per vendicarsi dei cani!
— Con quella vecchia, ricordarsi: d'ora in poi, nessuna soddisfazione, nessuna preferenza! Se non può sopportare al terzo piano la «baraonda della servitù» liberissima di andarsene anche subito! Tanto, resta fissato: l'anno venturo per missis Eyre, non ci sono camere!
Sfogato il malumore contro la vecchia cliente, l'albergatore torna a stropicciarsi le mani... Ma la sua gioia, in que' giorni, non è condivisa dalla nobile famiglia italiana.
Maria Cristina interroga sovente, con gli occhi inquieti, quell'oracolo bianco-barbuto del fratello Rosalì:
— Quassù, con noi, anche il... mercante? Che ci viene a fare?
L'oracolo tentenna il capo sospirando. È l'ora dei tristi presagi:
— Mah!
La duchessa si turba maggiormente; poi sospira a sua volta:
— Era di troppo anche un Luciano solo... e adesso, averne due da sopportare!
— E questo, con la tirchieria, con l'avarizia, per soprappiù!
— Chi sa come il signor Zaccarella ci terrà a mostrarsi economo, zelante, sempre ligio agli ordini di Sua Eccellenza!
— Mah!...
Dopo un altro sospiro, il Sant'Enodio lisciandosi, accarezzandosi la barba, trova la parola del conforto:
— Speriamo!... Speriamo che Luciano e Giacomo comincino presto a bisticciarsi fra di loro! In tal caso, fra i due litiganti...
L'uomo savio interrompe il proverbio e la duchessa ripete, a sua volta, alzando gli occhi al cielo:
— Speriamo!
Remigia non vuol parere, ma l'annunzio di tutti i prossimi arrivi, — specialmente quello della sorella, — la rende nervosa.
Balla tutta sera sfrenatamente, gioca al tennis, stancando i più forti campioni di Villars, ma non ha più nessuna paroletta dolce per Totò: lo tiene in riga con occhiate minacciose, e co' suoi sgarbi e malumori ha già fatto piangere due volte, con la conseguenza di terribili emicranie, la povera mademoiselle.
Mimì Carfo, sempre buona e dolce, vorrebbe difendere l'istitutrice; Remigia strapazza anche Mimì:
— Non seccarmi! Io non sono fatta come te, che invece di nervi e sangue, sei tutta pasta reale e sciroppo!... Mademoiselle mi urta a vederla sempre con quella stessa faccia atona, da pan molle!
Co' suoi adoratori, per altro, la Remigia è sempre amabile; anzi, lo diventa di più ogni giorno.
La mattina presto, per allenarsi, gioca al tennis con sir Wood e durante il riposo si fa insegnare a portar la lente nell'occhio. La sera, infila sempre alla cintola i fiori che il Malot raccoglie per lei durante le passeggiate. A Lothar Schmidt, che si picca di letterato, ha già dato il suo album, quello riservato agli amici più simpatici, i prescelti. Lothar Schmidt, vi ha scritto una dichiarazione in versi tedeschi: Remigia, che non sa il tedesco lascia che il poeta gliela traduca in italiano... almeno una volta al giorno e la sera quando c'è la luna e anche quando la luna non c'è! Ma la corte, la vera corte assidua, insistente, chi gliela fa, proprio sul serio, è Marco Danova. L'Idola se l'è sempre lasciata fare, ma dopo la notizia dell'imminente arrivo di sua sorella e di Giacomo D'Orea, sembra voglia spingere le cose in modo da obbligare il Danova ad un'esplicita dichiarazione. Per calmare le inquietudini dei giovinetti e dei giovinotti, ormai tutti pronti a' suoi capricci ella, — quando l'egizio, ben inteso, non è presente, — lo chiama non più re, ma «papà Faraone». Lo imita come dondola passeggiando e come fa la rota, e con la punta dell'alpenstock, sulla ghiaia del giardino o sul terriccio polveroso, ne schizza la caricatura, con due tratti felicissimi e sicuri, della testa a pera, del naso a becco, della pancetta alla Mongolfier.
Ma lui presente, tutt'altra cosa! Il «gran pascià del Nubian» diventa il «baröne, simpaticöne» con tutte le dieresi più risonanti e più tenere: e con la scusa dell'età, in pienissima maturanza, e dei sentimenti paterni, egli gode i privilegi più prelibati. Durante le escursioni, nei passaggi difficili, Remigia gli dà la mano e con la mano si lascia prendere anche il braccio e premere il vitino. Quando — «Oh, mon Dieu! Mon Dieu!» — le si slaccia a mezza strada la stringa di una scarpetta, è sempre il barone che ne rifà il nodo, mentre stringe, sdilinquendosi in cocolezzi, anche il «bel penin... piccinin, piccinin!...»
La sera, tra i vortici del ballo lancia al Danova, che non la perde mai di vista, occhiate languide, tenerissime, che vogliono dire... « — nel mio pensiero ballo con te, baröne, simpaticöne! — »Sta sempre attenta alla faccia del Danova, specialmente quando balla con sir Wood, il ballerino da lei preferito e che le dà più piacere, e, appena la vede rabbuiarsi, interrompe ad un tratto la danza, si stacca dal bel cavaliere e corre a buttarsi ansante sur una poltrona a sdraio, in un angolo appartato della veranda.
— Sono stanca! Stanca! Stanca!... Domando dieci minuti di riposo!
Re Faraone, che comincia anche lui a diventar geloso come Totò, e, quel ch'è peggio, senza accorgersene, le siede accanto e brontola con la voce roca:
— Tutto il santo giorno, tennis!... Tutta la santa sera, salti!... È un'esagerazione!... Una fatica... malsana! Così perderete tutti i vantaggi del clima, della montagna...
Remigia, facendosi vento mollemente, cantarella sottovoce, fissandolo:
— Papà baröne... Simpaticöne...
L'altro non resiste; lancia in giro un'occhiata, la duchessa Cristina non c'è; barba-bianca non c'è. C'è soltanto Totò che spia, ma quello non conta... Il Danova, pone la mano sulle ginocchia della duchessina e preme leggermente:
— Siete rossa rossa... accesa e tutta spettinata!
— Devo essere brutta!... Un orröre!...
Il Danova passa dal dispetto geloso all'esaltamento, e si sfoga con immagini e similitudini addirittura mussulmane:
— Siete tutta una rosa, viva, animata... — Avvicina il naso fiutando, — profumata!... E che bocca! Il paradiso di Maometto!... Tutto il paradiso di Maometto!... Ditemi, da brava, dove potrei trovare una bocca simile, come la vostra?... La pagherei... mezzo milione!
L'Idola ride: un riso che sembra un invito ai baci.
— Anche un milione! Anche due!... Pronti contanti!
La duchessina torna a cantarellare con la sua nenia affettuosa:
— Niente miliöni!... Niente miliöni!
— Come, niente milioni?
— Proprio no. Per me i milioni non contano.
Re Faraone s'indispettisce:
— Non contano?...
— Proprio no! Proprio no! I milioni non contano! Proprio no! No! No!
Il naso-becco sembra volerla divorare:
— Che cos'è allora che conta per voi?... Sentiamo!... La lente nell'occhio?...
La fanciulla diventa seria, quasi malinconica... sospira. È addirittura incantevole.
— Voler bene tanto... da farsi voler bene sempre!
Il naso-becco batte in ritirata.
Tutto quel giro di parole «voler bene, farsi voler bene» vuol dire in conclusione: «sposatemi». Marco Danova ha scritto, ha preso informazioni: la ragazza non porta in dote altro che i suoi parenti.
Cattiva speculazione!... Pure, diventare quasi cognato di Giacomo D'Orea, potrebbe presentare molti vantaggi morali e anche materiali. Darebbe una ripulita a certe sue marachelle egiziane... Quasi cognato di Giacomo D'Orea, potrebbe aspirare alla vita pubblica, avvicinare gli uomini che sono al Governo, concludere grossi affari di ferrovie, di cambi, di valori nazionali...
Marco Danova continua a fissare la duchessina, ma, adesso, con l'aria di volerla stimare al suo giusto valore.
— Vorrei avere... quei vostri capelli! Quanti capelli!
L'Idola, fa l'innocentina:
— Vi piacerebbe... essere biondo?
« — Vorrei avere i vostri capelli, — vostri, di voi, — con voi!»