Читать книгу Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì - Страница 11

PARTE II – LA MANO DI MALACHITE
Capitolo 8

Оглавление

1156 (551 dall’egira) Balermus e dintorni


La folla si stringeva compatta attorno alla scena, senza dir parola e senza commentare. In molti erano infatti i saraceni che osservavano silenziosi, oltre le spalle delle guardie reali, oltre quella coltre di fumo che si innalzava al cielo congiuntamente alle loro preghiere. Sulla sponda sinistra della foce del wādī al-‘Abbās27, appena fuori dalle mura della città, quel giorno del 1156 il boia aveva appiccato un fuoco che non sarebbe durato fino a sera… ma che tuttavia avrebbe continuato ad ardere per anni nel cuore di Amjad.

Per ogni giovane islamico non esiste ricordo d’infanzia più importante del khitān28, e per Amjad, che immaginava la circoncisione come una sorta di festa in suo onore, quel giorno della sua fanciullezza sarebbe stato ancor più cruciale.

Suo padre era appena morto in battaglia mentre combatteva nell’esercito di Re Ruggero contro l’Imperatore d’Occidente. Sua madre se n’era andata poco dopo, dando alla luce la piccola Naila. E così Amjad e Naila erano finiti nelle mani dello zio, un uomo tanto povero quanto spietato. Questi, dichiarando di non poter togliere il pane dalla bocca dei figli per darlo agli estranei, aveva infatti deciso che avrebbe coperto le spese per crescere la piccola Naila con i proventi derivati dalla vendita di Amjad. L’aveva dato ad un mercante e questi, valutando che il bambino era bello, fine e dalla voce aggraziata, l’aveva rivenduto agli agenti del Palazzo del Re. Ed ecco arrivare quel giorno, quando all’età di nove anni era stato convocato per il khitān. Amjad non poteva saperlo, ma, in luogo del suo prepuzio, i medici di corte stavano per rimuovere ciò che gli avrebbe impedito d’ora in poi di essere considerato un uomo. Amjad era stato evirato, sfregiato nella sua virilità, affinché potesse comparire nelle stanze private dell’harem. In seguito, poche settimane dopo, aveva subito anche il battesimo, ricevendo un nuovo nome: Mattia, come l’apostolo chiamato a sostituire il traditore di Cristo.

Per un ragazzino di nove anni la vita di corte, con i suoi sfarzi e la sua opulenza, esercitava sicuramente un fascino irresistibile. Quando Amjad accarezzò le sue morbide vesti di seta, quando assaggiò la prelibatezza dei cibi del Re, quando si ritrovò a maneggiare l’oro e i gioielli destinati alle concubine, si convinse che la sua vita fosse migliorata.

Verso i quindici anni cominciò ad attirare le attenzioni degli uomini che gravitavano attorno alla figura del Re. I suoi modi raffinati e la sua pelle liscia costituivano una sfiziosa deviazione rispetto alle usuali donne di malcostume. Così Amjad crebbe in fama e potere, e ben presto, poco più che ventenne, giunse nelle camere della nuova principessa, una ragazza sedicenne di nome Margherita, proveniente dalla Navarra e data in moglie all’erede Guglielmo. Di Margherita ne divenne presto il confidente e, quando lei venne incoronata Regina, rifulse parte di quella gloria divenendo uno degli eunuchi più potenti e vicini al Re. Per Amjad, tuttavia, esisteva pure un’altra donna, una che in cuor suo destava quel sentimento d’amore che per forza di cose non poteva essere accompagnato dalla passione. E proprio perché Amjad non sapeva cosa fosse la passione per una donna, proprio perché non aveva altro a cui attaccarsi se non all’affetto di sangue, che cominciò a legarsi morbosamente alla sua giovane sorella. La tolse dalle grinfie dello zio, il quale per certo l’avrebbe venduta una volta raggiunta l’età più conveniente, e la fece trasferire in un ricco appartamento del Cassaro, nel cuore di Palermo. Diede così a Naila comodità, servitrici e opportunità come mai lei avrebbe potuto avere. Inoltre, recarsi settimanalmente in casa della sorella divenne per lui più che una ragione di vita. Amjad amava Naila e quasi ne idolatrava la bellezza; mai e poi mai avrebbe permesso a qualcuno di sfiorarla.

Se da un lato Amjad aveva dato il suo cuore a Naila, dall’altro aveva riservato la passione agli uomini. Ne esistevano molti nella vita dell’eunuco, ma non con tutti aveva voluto abbandonarsi ai vizi della carne, dal momento che, se l’avesse fatto, quello strumento del potere che era il letto, si sarebbe trasformato in un semplice oggetto di piacere privo di scopo. E così, diventato più potente di molti degli uomini del Re che avevano favorito la sua scalata, adesso si sarebbe dato solo a chi avrebbe potuto renderlo influente anche al di fuori del Palazzo, così che la propria ascesa superasse il limite imposto dall’esclusività della corte.

L’occasione sembrò presentarsi quando a Palermo giunse da Sfax29 un certo saraceno, un uomo ormai di una certa età che per brevità venne appellato col nome di Forriāni. Costui aveva ricevuto la nomina di ‘amil30 della sua città dal Re di Sicilia, ma, dichiarandosi con umiltà troppo vecchio per governare, aveva passato le redini al figlio. Si era dunque recato a Palermo come ostaggio a garanzia dalla fedeltà del suo luogotenente ed erede. Forriāni era ovviamente un uomo potente e riverito in tutta l’Africa siciliana, e farselo amico avrebbe significato avere una base sull’altra sponda del Mediterraneo, così da provare ad approntare un qualche affare commerciale privato. Essendo comunque costui anche un uomo religioso, ligio e scrupoloso dell’ortodossia coranica, Amjad comprese presto che i metodi che gli erano tanto cari non avrebbero funzionato. Nacque tuttavia un’amicizia, un sodalizio in cui Forriāni parve interessato a voler strappare Amjad dal peccato, dall’avidità e dalla fede cristiana. L’‘amil di Sfax era una persona carismatica e persuasiva, e così, molto presto, riuscì a redimere Amjad dal peccato e a ridestare in lui i precetti religiosi d’infanzia. Fece leva in modo particolare sul sopito sentimento d’identità razziale del giovane, quel suo essere saraceno che era stato cancellato con una banale e imposta aspersione d’acqua sul capo. Inoltre lo fece riflettere sul fatto che fare gli interessi dei saraceni avrebbe significato favorire la sua amata Naila, in quanto lei non aveva mai smesso di far parte della stirpe dei mori di Sicilia. E così, alla fine, guidato nei gesti e nelle parole da Forriāni, nascosti nelle stanze dell’ospite, Amjad tornò ad inchinarsi verso La Mecca e a recitare la shahādah31. Il giovane eunuco riscopriva in tal modo di avere un Dio e si attaccava sempre di più ad un padre; tale divenne Forriāni per lui.

Sennonché, giunto il 1156, Omar, figlio e sostituto dell’‘amil di Sfax, volle ribellarsi al giogo di Guglielmo, e come gesto emblematico di tale decisione fece massacrare i cristiani della città, non risparmiandone neppure uno.

La notizia giunse rapida a Palermo, così come rapida fu la convocazione a corte del garante di Omar… ovvero suo padre… ovvero Forriāni.

Fu allora che Amjad, immaginando quali sviluppi si sarebbero potuti configurare per il suo mentore e padre spirituale, volle incontrarlo prima che comparisse davanti a Guglielmo.

Forriāni se ne stava presso uno dei giardini del Re, in quel Palazzo della Favara32 tanto caro agli Altavilla. Qui rimaneva sorvegliato a vista, benché a distanza, dalle guardie reali. Fissava da un’ora il cielo e l’orizzonte, perso sotto un palmeto e andando e venendo con le mani dietro la schiena.

«Mio padre e amico, dimmi che le notizie che giungono da Safāqis sono mendaci.» esordì Amjad, tutto concitato e preoccupato.

«È tutto vero, fratello mio.»

«Che la slealtà di tuo figlio perisca con lui!»

«No, Amjad, no… Omar mi condanna a morte, è vero, ma consacra la mia e la sua anima ad Allah.»

«Maestro, tu parli dell’opera di tuo figlio come del più eccelso degli atti che un credente debba compiere.»

«È così, Amjad. Credi che per Omar sia facile sapere che suo padre è come se fosse già morto?»

«Se ha fatto quel che ha fatto è perché egli non si cura dell’uomo che l’ha concepito…»

Forriāni riprese a camminare e, portando uno strano sorriso sul viso, cominciò a spiegare:

«Potrebbe mai un padre sacrificare un suo figliolo?»

«No, Maestro.»

«E potrebbe mai un figlio sacrificare suo padre?»

«Se io fossi stato tuo figlio non l’avrei mai fatto.»

«Ma se io te l’avessi chiesto, Amjad… se ti avessi fatto giurare per il sangue che ci lega di non curarti di me e di agire per il bene dell’Islam?»

«No, Maestro, io non l’avrei fatto.»

Forriāni si fermò e, mettendo le mani sulle spalle del suo giovane amico, gli disse:

«Hai ancora tanto da imparare, Amjad caro… Non esiste opera più meritoria del martirio, e per Omar questo dono è il bene più grande che potesse farmi.»

Dunque Amjad capì l’essenza di quel discorso.

«Hai chiesto a tuo figlio di ribellarsi al Re e di non curarsi di te?»

«Glielo feci giurare prima di partire.»

«Al cuore di tuo figlio è stato legato il peggior fardello che un uomo possa sopportare!»

«Ho addestrato bene il mio ragazzo e per lui sarebbe un fardello maggiore dover portare il disonore per aver disubbidito alla mia parola.»

«Quanto coraggio, Maestro mio!»

«Intollerabili sono le voci che giungono dall’Ifrīqiya33. I contingenti cristiani del Re di Sicilia non mostrano alcun rispetto per la razza nostra, e numerose sono le voci delle angherie e dei soprusi che sono costretti a subire le donne e i bambini delle città sulla costa. Come potremmo continuare a lavare le nostre mani con l’acqua della purificazione se intanto la nostra coscienza è sporca dei patti conclusi con questi infedeli? Come potremmo continuare ad inchinarci per la ṣalāt34 se intanto abbassiamo il capo di fronte a questi miscredenti? Non possiamo permettere che la condizione dei nostri fratelli divenga come quella dei credenti di Sicilia. Palermo è ancora piena di minareti, è vero… e si ode ancora il canto del muezzin; ma a quale prezzo? Ho conosciuto un fratello proveniente dalle campagne… questi piangeva mentre mi narrava di come i suoi figli siano stati pronti a rinnegarlo pur di abbracciare la religione dei cristiani, una fede ben più conveniente e rimunerativa da queste parti. I re di Sicilia sviano i fedeli con il fascino dell’oro, ma nei villaggi i baroni non mostrano sempre la stessa condiscendenza; pur di non incorrere nello svantaggio sociale si preferisce allora l’abiura della retta via. È giunto il momento, Amjad, e così ho pure mandato a dire ad Omar.»

L’eunuco della Regina prese a piangere, commosso da tanto coraggio e col cuore spezzato per via della sicura condanna a morte del suo mentore.

Più tardi Guglielmo chiese a Forriāni di richiamare all’ordine il figlio, ma, com’è facile immaginare, l’anziano ‘amil negò l’intromissione. L’ostaggio, un tempo consegnatosi volontariamente come prigioniero, venne quindi rinchiuso e messo ai ceppi.

Dato che Forriāni dimostrava di non tenere per nulla alla sua vita, Gugliemo pensò allora che le armi potevano ancora essere evitate facendo leva sull’amore che un figlio dovrebbe nutrire per suo padre. Non era certo l’impressione del sangue che una guerra comporta a far tentare l’ultima a Guglielmo, ma il costo di un nuovo conflitto, qualcosa che in quel momento non poteva permettersi, impegnato com’era in Terraferma a sedare la rivolta dei baroni ribelli e a respingere la coalizione del papa e dell’Imperatore d’Oriente. In barba quindi alla giustizia di cui erano meritevoli le vittime cristiane mietute dal nuovo carnefice saraceno, Guglielmo mandò un messaggero fino a Sfax, recando minacce come ricompensa alla disubbidienza e promesse come premio ad un nuovo giuramento di sottomissione. Ma Omar, avendo già informato gli amici del padre che la volontà di questi era il martirio, ne organizzò il funerale, sorreggendo una bara vuota e mettendola in bella mostra sulla spiaggia, affinché il messaggero dei siciliani sulla barca potesse recepire una risposta esplicita.

Fu così che al ritorno dell’inviato del Re a Palermo, Guglielmo decise di attuare la punizione per colui, che a suo discapito, aveva deciso di tradire i giuramenti. E fu così che ebbe luogo l’esecuzione descritta poc'anzi, quel rogo che Amjad contemplò con orgoglio e con la promessa che la causa dei saraceni di Sicilia sarebbe stata onorata fino alla fine, così come Omar stava onorando quella dei credenti d’Africa.

27

Wādī al-‘Abbās: nome del fiume Oreto durante il periodo arabo.

28

Khitān: circoncisione rituale islamica.

29

Sfax: città costiera dell’Ifrīqiya (Africa), ubicata nell’attuale Tunisia e chiamata in arabo Safaqīs.

30

‘Amil: letteralmente “agente”. Incaricato governativo che riscuoteva la jizya e le altre tasse.

31

Shahādah: testimonianza di fede islamica che corrisponde alle parole “Testimonio che non c’è divinità se non Allah e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero”.

32

Favara: palazzo reale in stile islamico, fatto edificare dall’emiro Ja’far e riadattato da Re Ruggero. Il suo nome risale all’arabo “Fawwara”, che significa “fonte che ribolle”. Oggi è conosciuto anche come castello di Maredolce ed è ubicato ai piedi del monte Grifone, ad est dell’antico nucleo di Palermo. Era ritenuto una delle residenze più raffinate dei sovrani normanni e i suoi giardini erano famosi per bellezza e splendore.

33

Ifrīqiya: regione corrispondente all’attuale Tunisia e ad alcune parti dell’Algeria e della Libia. Letteralmente “Africa”, essendo il termine derivato da ciò che i romani e poi i bizantini definivano Africa (provincia d’Africa).

34

Ṣalāt: la preghiera canonica islamica, recitata obbligatoriamente dai musulmani osservanti cinque volte al giorno ed anticipata dall’adhān (il richiamo alla preghiera) del muezzin.

Le Tessere Del Paradiso

Подняться наверх