Читать книгу Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì - Страница 13

PARTE II – LA MANO DI MALACHITE
Capitolo 10

Оглавление

Novembre 1160 (555 dall’egira) Balermus


Amjad fece presto a radunare in seno alla comunità araba di Palermo i sostenitori della causa almohade. La casa di Naila divenne da quel momento la base di coloro che cospiravano contro il Regno e il quartiere saraceno della città il mare da cui pescare nuove reclute da risvegliare alla jihad45.

Nel giro di pochi mesi, Amjad, trasformato in predicatore, aveva raggruppato attorno a sé una considerevole cricca di fedeli pronti alla rivolta. Tra di essi vi erano alcuni fuoriusciti dell’esercito del Regno, che avevano preferito vivere in clandestinità, e pochi giovani di famiglia agiata, cresciuti nell’ambiente opulento di Palermo, la cui noia li aveva portati a covare risentimento verso le istituzioni del Palazzo Regio. Adesso avrebbero aspettato che Abd al-Mu’min preparasse la flotta e desse un segnale, e allora nel cuore del Regno si sarebbe scatenata la guerra santa contro gli infedeli, preparando così il terreno all’arrivo del califfo. La restrizione di Majone che proibiva ai saraceni di portare armi aveva certamente svantaggiato gli uomini di Amjad, tuttavia aveva avuto la conseguenza di fare inabissare il loro raggruppamento nel silenzio e nell’ombra, senza che nessuno si preoccupasse della sua esistenza.

Col passare dei mesi le file dei rivoltosi si ingrossarono, sennonché quell’atteso segnale che avrebbe dovuto richiamare alla guerra i saraceni di Sicilia tardò ad arrivare. Una causa che si regge su una promessa prossima a realizzarsi è sicuramente una causa destinata al fallimento quando l’attesa supera l’aspettazione… E così per Amjad tenere uniti tutti quegli uomini, specie i meno convinti, divenne sempre più complicato. L’entusiasmo, che era alto in primavera, andò scemando in estate e parve scomparire del tutto in autunno. L’eunuco dovette attingere allora alle migliori argomentazioni per rinvigorire lo zelo che quelli avrebbero dovuto conservare per la battaglia. Ma fu adesso che la paura della defezione si materializzò con la più terribile delle sorprese.

La giovane Naila aveva limitato la sua complicità negli affari del fratello alla sola disponibilità dell’abitazione. Sapeva bene in quali guai Amjad si stesse cacciando e aveva assistito alla sua progressiva radicalizzazione sin da quando questi era entrato in contatto col vecchio Forriāni. Comunque sia, indottrinata dall’amato congiunto, aveva anche riposto le sue speranze nell’avanzata degli almohadi, affinché ricostituissero le basi per una nuova Sicilia islamica. Nondimeno, all’ingresso di novembre, qualcosa in Naila parve improvvisamente cambiare.

Un giorno questa informò il fratello che attorno al suo appartamento circolavano da qualche tempo alcune guardie reali, e che alcune voci dicevano che stessero lì per indagare riguardo a certe riunioni di rivoltosi. Amjad ci credette e prese le sue precauzioni, salvo scoprire poco dopo che Naila si era inventata tutto. Per l’eunuco del Re quella ragazza aveva da sempre rappresentato la più forte ragione di vita, l’unica persona che aveva amato quasi come si ama una moglie. Amjad ne uscì deluso, tradito, e una gelosia mai provata prima lo pervase da testa a piedi. Avrebbe potuto affrontarla, avrebbe potuto ricercare una spiegazione direttamente parlandole, tuttavia conosceva già quella malattia che induce le donne a mentire; Margherita di Navarra era stata colpita da un simile cambiamento il giorno in cui Majone era entrato nella sua vita e aveva cominciato a tradire Guglielmo. Amjad ne era sicuro, Naila si era innamorata di un uomo e costui si stava sostituendo al suo affetto e alle sue cure. Decise allora di indagare e non ci volle molto per scoprire che Naila, senza la presenza di un protettore che la limitasse nelle libertà, lasciava giornalmente la sua abitazione per incontrarsi con un tale raccoglitore di conchiglie di nome Vittore. Amjad rimase sconvolto. Se si fosse trattato di un circonciso se ne sarebbe fatto una ragione, ma saperla tra le braccia di un infedele demolì la sua anima. Inoltre Naila era una donna raffinata e molto bella; che cosa poteva avere mai in comune con uno che vendeva conchiglie e pesce al mercato del porto? Amjad proprio non si dava pace e, non riuscendo neppure a guardare in faccia l’amata sorella, decise che avrebbe posto fine a quella relazione sentimentale affrontando quel giovanotto che abitava sulla punta del Cassaro.

Il cinque del mese, poco prima di mezzogiorno, si recò al mercato del pesce portando con sé cinquanta tarì46. Benché avesse smesso per quel giorno le sue vesti di seta e i suoi gioielli, non passavano inosservate la sua pelle liscia, la bellezza dei suoi occhi e la sua camminata raffinata; in molti si voltarono al suo passaggio e all’olezzo emanato dai suoi lunghi capelli, mormorando tra di loro che quello doveva essere sicuramente uno degli eunuchi del Re. Amjad avanzava tra la folla privo di seguito o scorta, intenzionato a risolvere la questione senza fare troppo rumore. Temeva, infatti, che se si fosse saputo l’inghippo, la reputazione della sorella ne sarebbe uscita compromessa dinanzi alla comunità islamica della città. Amjad, che già faticava a tenere alto lo zelo dei suoi, sapeva che la sua credibilità ne sarebbe uscita macchiata qualora per risolvere la questione non avesse agito con risolutezza. Prima di predicare l’epurazione della Sicilia dal male degli infedeli, ogni suo seguace gli avrebbe chiesto di ripulire la sua stessa casa. Per tutte queste ragioni Amjad doveva muoversi con segretezza.

Gli indicarono il banco del venditore di conchiglie, proprio quello in fondo alla strada e il più vicino alla discesa per il mare.

Vittore era un giovane uomo discretamente più alto della media e muscoloso. Portava sul viso un perpetuo ghigno di fierezza e una cicatrice sulla guancia sinistra appena al di sopra della folta barba. Vestiva gli abiti della gente comune, ma, controcorrente agli altri venditori, non indossava giacca e mantello, lasciando scoperte le braccia a sprezzo del clima del periodo. I suoi capelli erano scompigliati e bruni, e le sue sopracciglia folte; un aspetto selvaggio, benché non spiacevole, che rese più volte perplesso e confuso Amjad. L’eunuco dubitò perfino che quel tizio fosse davvero lo spasimante di Naila.

Vittore bandiva la sua merce, gridando:

«Pesce per i figli e collane per le mogli!»

Ovviamente lo diceva nel latino del popolo, la lingua a cui era più avvezzo.

«Volete una collana?» domandò Vittore non appena Amjad si fu accostato al banco.

«Una collana per femmina…» puntualizzò ancora il venditore, scambiandosi occhiate con Duccio, l’amico del banco accanto, e ridacchiando per via di quell’allusione sull’assenza di mascolinità del cliente appena giunto.

«Sì, una collana…» rispose l’eunuco pieno di imbarazzo.

Vittore allora gliene mostrò una decina, tutti monili creati da lui con le più belle conchiglie che era riuscito a trovare sulle spiagge dei dintorni di Palermo.

«Quale vi piace?»

E Amjad ne indicò una a caso.

Adesso tuttavia il viso di Vittore cambiò espressione e, parlando sottovoce, chiese:

«Non vorrete farmi credere che un eunuco del Re, che per certo può permettersi di indossare oro, argento e pietre preziose, si spinga fin qui per comprare i gioielli dei poveracci…»

«Se voi immaginate già qualcosa… è quello!» rispose serio Amjad, non lasciandosi intimorire dal tono sospettoso del venditore.

«Io non immagino proprio niente.» chiosò Vittore, ritornando a sorridere beffardo.

La sacca contenente le monete d’oro tintinnò adesso sul banco.

«Cinquanta tarì.»

Vittore si guardò attorno circospetto e recitò ancora:

«Voi confondete il valore di ciò che intendete acquistare.»

«La vostra insulsa collana… e che lasciate in pace la mia Naila…»

«Allora credo che la posta valga più di cinquanta monete d’oro.» spiegò Vittore, ritornando serio da far paura.

«Suvvia, pezzente, dove lo hai mai visto tutto questo denaro?»

Vittore, che era ricco d’orgoglio anche se povero di beni, emise un lungo respiro.

«Prendete il vostro denaro e non fatevi più vedere!»

E dunque, ritornando a fissare la folla, riprese a gridare:

«Pesce per i figli e collane per le mogli!»

Se Vittore passava sopra all’insulto e non rispondeva col coltello, quello con cui sbudellava il pesce per intenderci, lo faceva per non finire nei guai. Sapeva quali ripercussioni avrebbero potuto subire lui e la sua famiglia nel momento in cui avesse colpito un eunuco del Re. Comunque sia, adesso fu Amjad a dare in escandescenza.

«Va bene, ditemi quanto volete!» riprese l’eunuco, digrignando i denti e stringendo i pugni.

«Non vendo ciò che non è in vendita… Ve lo ripeto, andatevene!»

Amjad perciò si avvicinò repentino e, sporgendosi in avanti fino ad afferrargli la maglia, gli disse:

«Voi non sapete in quale razza di guaio vi state cacciando! Chiedetelo in giro chi è Mattia… Vi scaglierò addosso tutto l’esercito del Re!»

Ma Vittore, che non poteva tollerare che quello si spingesse fino al punto di toccarlo, lo afferrò per i capelli e lo tirò sul banco del pesce. Dunque concluse quell’azione affondandogli la testa nella cesta delle sardine. I mercanti e il resto dei presenti presero a ridere come se stessero osservando la scena più divertente in cui si fossero mai imbattuti.

«Senti la puzza di pesce? È di questo che profumano gli uomini!» gli fece Vittore all’orecchio, sollevandogli leggermente il capo per i capelli.

Quando infine il venditore di conchiglie mollò la presa, Amjad indietreggiò spaesato, tanto da perdere l’equilibrio e cadere.

«Ve ne farò pentire!» urlò da per terra.

Vittore era tuttavia consapevole che il danno fosse già stato fatto. Si avvicinò perciò all’eunuco e, mentre alcuni compari del mercato impedivano all’atterrato di rialzarsi e di muoversi, gli infilò al collo la collana che precedentemente gli aveva mostrato. Per concludere lo obbligò a gattonare, conducendolo per mezzo di quel guinzagliò composto da conchiglie acuminate. Per Vittore quella fu l’apoteosi del suo successo; venne acclamato e osannato dai presenti più di quanto avessero mai fatto col Re in persona.

Ora il venditore di conchiglie improvvisò l’imitazione di un abbaio, esplicitando quale animale stesse obbligando l’altro ad impersonare. L’allusione era di natura sessuale e andava al di là della già evidente umiliazione.

Quando Amjad venne lasciato libero, fuggì via, senza voltarsi e coprendosi il viso con un lembo del suo mantello. Tornò a Palazzo con la consapevolezza che con quella umiliazione nulla sarebbe stato più come prima. Si rinchiuse perciò nella sua stanza e qui, temendo perfino il giudizio del suo sguardo, ruppe tutti gli specchi che gli capitarono a tiro. Urlò e pianse per ore… quindi cominciò a meditare la sua vendetta. Doveva risolvere la questione velocemente e personalmente, cosicché la sua immagine di fronte a quelli che vedevano in lui un liberatore fosse ristabilita. Vittore doveva morire… tuttavia il solo pensiero di doverlo affrontare nuovamente lo faceva tremare. Fu adesso che nelle turbe della sua mente cominciò a delinearsi un’idea. La persona che poteva fare a caso suo, che poteva effettuare con efficacia la sua vendetta, era già a sua portata di mano.

Da qualche settimana gli era stata affidata l’ospitalità di un maestro d’arte di nome Alessio, un greco su cui pendeva già una condanna a morte per omicidio e a cui era stata commissionata la realizzazione del rivestimento in mosaico della sala di rappresentanza del Re. Ma come convincere un prossimo condannato a morte a diventare lo strumento del suo arbitrio? Non certo col denaro. Dunque Amjad si ricordò di aver sentito dire che quell’uomo era ossessionato da una donna, colei che avrebbe voluto incontrare prima di morire. Ecco perciò come plagiarlo al suo volere: Amjad avrebbe pagato i servigi sanguinari di Alessio offrendogli la possibilità di vedere il soggetto che bramava incontrare.

La stessa sera, quella del cinque, per mezzo della lusinga e dell’inganno l’eunuco entrò in confidenza col maestro d’arte e questi cominciò a fidarsi di lui. Appena due giorni dopo, Amjad giudicò quel rapporto ormai maturo per indirizzare colui che riteneva un vero assassino contro il suo nemico. Tuttavia fu adesso che l’odio dell’eunuco dovette essere convogliato su qualcuno che finora non aveva valutato.

Nel pomeriggio si presentò in udienza privata il gaito Luca, colui che mesi or sono gli aveva soffiato il posto al servizio della Regina.

Questi gli disse:

«Tutta Balarm47 ti ride dietro, Mattia.»

«Sono stato aggredito e derubato… Balarm dovrebbe piangere sé stessa per le condizioni in cui versa!»

«Perché non hai indicato i responsabili?»

«A quest’ora quei ceffi saranno già fuggiti via tra i monti… se li denunciassi non rientrerebbero mai in città. Lascerò che le acque si calmino e che tornino a Balarm per colpirli con la massima severità.»

«E non ti turba per intanto che perfino a Palazzo si parli di te? Ho sentito dire che questa mattina hai minacciato e corrotto i manovali che vengono per i mosaici della sala, affinché qua dentro il tuo nome non sia oggetto dei loro rozzi discorsi.»

«Tu comprendi sempre troppo… non a caso ti appellano gaito benché tu gaito non lo sia.»

«Sono stato per anni gaito dell’esercito preferito dal Re… il suo harem! Ora però offro i miei servigi alla donna che tu hai servito per lunghi anni. Ed è proprio la Regina che oggi mi ha inviato da te, per sincerarsi delle tue condizioni. Sì, Mattia, la tua umiliazione è giunta fino alle stanze più recondite del Palazzo.»

Amjad, il quale immaginava che Margherita di Navarra l’avesse cancellato pure dal cuore, rimase sorpreso e perplesso.

«L’animo della Regina è incline al perdono; dovresti saperlo.» aggiunse il gaito Luca.

Amjad allora sospettò che quello fosse a conoscenza del fatto incriminato nel litigio avuto con la consorte del Re.

«Congetturi su un passato che non ti appartiene e parli di perdono…»

«Se dopo dieci anni di servizio la Regina ha deciso che non saresti più entrato nei suoi appartamenti, il motivo dev’essere stato serio.» addusse il gaito Luca, sorridendo provocatoriamente.

«Non abbastanza serio da non poterci passare sopra. Oggi sei qui in vece sua perché si è interessata di me, e forse la prossima settimana richiederà che io ritorni al mio posto.»

Contrariamente a ciò che Amjad si sarebbe aspettato di sentire, l’altro gli poggiò una mano sulla spalla e gli disse:

«Può darsi… ed è per questo, benché sia stato investito ad una posizione inferiore a quella che ricoprivo, che sarà mio interesse impedirtelo.»

«Solo perché ti chiamano gaito credi di esserlo anche sulla volontà della Regina?»

«No, ma sono sicuro di esserlo sulla tua libertà… Lascia che renda noto che un eunuco del Re, consacrato al Cristo e legato con voto di fedeltà a questo Regno, si renda colpevole di apostasia e tradimento, tramando con i saraceni d’Africa. So tutto, Mattia, tutto quel che basta per mandarti al patibolo sulla riva del fiume.»

Il viso di Amjad cambiò colore, e le sue mani, mentre osservava il gaito Luca allontanarsi, presero a tremare. Per certo una minaccia maggiore rispetto a quella rappresentata da Vittore si materializzava nell’eunuco rivale.

Quello era un lunedì e Amjad sapeva che la Regina si sarebbe incontrata con Majone nella locanda presso la porta di Sant’Agata. Sapeva inoltre che il gaito Luca, vincolato da un rapporto di fedeltà simile a quello di cui godeva precedentemente lui, avrebbe accompagnato la sua signora. Amjad ragionò che avrebbe messo a tacere il gaito Luca proprio quella sera e proprio in quel luogo.

Amjad si presentò nuovamente da Alessio e quindi, mostrandogli i graffi sul collo, quelli stessi che Vittore gli aveva provocato tramite la collana di conchiglie, lo persuase ad uccidere il gaito Luca, accusando quest’ultimo di crimini mai commessi.

Amjad aveva fatto fare una doppia chiave per la serratura della locanda e ne aveva conservato la copia quando aveva restituito l’originale alla Regina. Adesso quell’azione fatta per l’eventualità di un ricatto si rivelava utile. Tuttavia, senza ombra di dubbio, la sua chiave più efficace risultava essere la capacità di penetrare nella mente e nel cuore di chi lo credeva un uomo fragile e sincero. Amjad chiaramente indossava molte maschere.

45

Jihad: parola araba che significa letteralmente “sforzo”. Può indicare la lotta interiore per raggiungere la fede perfetta, ma generalmente con questo termine si indica la guerra santa compiuta dai musulmani in difesa della propria fede.

46

Tarì: fu una delle monete principali utilizzate in Sicilia dal periodo arabo sino al XIX secolo. Letteralmente significa “fresco di conio”.

47

Balarm: nome della città di Palermo durante il periodo arabo.

Le Tessere Del Paradiso

Подняться наверх