Читать книгу Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì - Страница 12
PARTE II – LA MANO DI MALACHITE
Capitolo 9
ОглавлениеInverno 1159/1160 (554 dall’egira) Balermus
Nel giro di pochi anni tutte le città d’Africa appartenute ai siciliani finirono per ribellarsi. A Sfax seguirono Gerba35, Tripoli d’Occidente36 e molte altre. All’ingresso del 1159, di quell’impero che era stato il simbolo della grandezza di Ruggero, rimaneva solo Mahdia37. Tuttavia né Omar di Sfax, figlio di Forriāni, né gli altri capi locali che si erano scossi di dosso l’ingombrante giogo dei cristiani, riuscirono a mantenere a lungo il loro potere. Se alcuni di questi infatti furono in grado di resistere al contrattacco dei siciliani, non poterono nulla contro Abd al-Mu’min, califfo degli almohadi38. Questi giunse dall’Andadus39 e dal Maghrib40 per sottomettere tutto ciò che gli capitasse a tiro, e nella seconda metà del 1159 cinse d’assedio la fortezza di Mahdia, presso la quale si rifugiavano i cristiani e quei saraceni che gli erano avversi.
Benché il presidio cristiano fosse sotto ogni aspetto in svantaggio rispetto agli almohadi, esso poteva contare sulle formidabili difese della città e sul valore dei soldati, il fior fiore degli uomini in armi del Regno. Abd al-Mu’min, accompagnato da Hasan, l’emiro ziride41 di Mahdia cacciato da Ruggero anni prima, circondò allora per mare e per terra la penisola su cui sorge la città. Era una questione di tempo e presto la fame sarebbe sopraggiunta, piegando pure i più abili ed irriducibili soldati siciliani. La richiesta d’aiuto partì veloce per la corte di Palermo, ma la flotta di Guglielmo fu avvistata solo dopo molti giorni.
Il naviglio cristiano era numeroso, esperto e potente; perfino Costantinopoli aveva dovuto chinare il capo di fronte alle galee siciliane. Comandava la flotta un certo gaito – così come ormai venivano chiamati i capi, o per dirla all’arabesca i qā’id – di nome Pietro. Questi era un eunuco saraceno convertito al Cristo per avidità e convenienza, e asceso al ruolo di comandante.
Guardando la fila di centocinquanta galee giungere dall’orizzonte, perfino Abd al-Mu’min, la cui fede lo portava sempre a valutare l’impossibile, ammise che sul mare non vi fosse speranza alcuna di battere i siciliani. Il califfo fece perciò schierare sulla spiaggia l’esercito e si preparò ad un prossimo sbarco. Quel giorno, tuttavia, pure il vento gridava Allahu Akbar42, soffiando avverso ai cristiani. E così, quando i saraceni si accorsero della difficoltà con cui i siciliani arrancavano controvento, saltarono a bordo e ingaggiarono lo scontro. Dopo non molto il gaito Pietro se ne tornava con la coda fra le gambe, avendo tremato innanzi alla marea umana dei soldati sulla spiaggia, avendo perso alcune imbarcazioni, volendo preservare il resto della flotta, e forse – e di questo l’avrebbero accusato in patria – non volendo combattere contro un così glorioso servitore di Allah… Dio degli almohadi e segretamente Dio suo.
Abd al-Mu’min sapeva che la flotta di Guglielmo sarebbe tornata. Adesso, però, tentennava a dare il colpo di grazia sul presidio, temendo che se avesse compiuto un massacro su quei cristiani, avrebbe innescato la vendetta della corte di Palermo, la quale probabilmente si sarebbe rivalsa sugli stessi mori di Sicilia. Poi, inaspettatamente, giunse tra le sue mani una missiva… ed allora gli fu chiaro cosa fare.
A Palermo, Amjad si adoperava per la sconfitta del suo signore, e come la più abile delle spie e il più spregiudicato dei traditori, si muoveva nell’ombra per favorire in tutto e per tutto Abd al-Mu’min. Egli, essendo il confidente della Regina, poteva usufruire di un canale privilegiato dal quale recepire le informazioni più sensibili. Non che la Regina presenziasse alle sedute della Curia Reale43, ma presenziava allo stesso letto di Majone e da lui poteva sapere molte cose.
Un giorno Margherita di Navarra, guardando il suo amante rivestirsi e avendo nelle orecchie i racconti di terrore che giungevano da Mahdia, chiese:
«Sono sicura che voi non avreste fallito di fronte a quel sanguinario predone.»
«Se il gaito Pietro ha mancato il colpo, ben poco avrei potuto io.»
Dunque la Regina, ancora distesa sul letto, allungò una mano per trattenere Majone, come se paventasse un qualche pericolo in quella stanza.
«Temo che il Re mandi voi questa volta!»
«Vostro marito si cura più dei propri sollazzi che della perdita del presidio di Mahdia.»
«Sapete bene come la guerra per lui faccia parte di uno di questi sollazzi. Egli impugnò personalmente la spada quando ci fu da sedare la ribellione dei baroni.»
«Allora era in gioco la sua stessa corona. E poi non offuscherà il mio consiglio per imporre il suo. Quando mai Guglielmo ha preso una decisione risoluta per il Regno?»
«Si fida di un uomo più capace e degno di lui!»
«Sappiate perciò che non partirò, né salperà una sola galea.»
Margherita si sedette sul letto, spostò i suoi lunghi capelli e fece meravigliata:
«I figli dei nostri servitori e i cadetti delle nostre nobili famiglie sono in quel presidio…»
«Si arrendano e conservino la vita; poco mi importa! L’incolumità di un pugno di soldati non è mai stata una priorità per nessun ministro o sovrano. Difendere Mahdia è uno sforzo che non possiamo permetterci.»
Majone spiegava la questione e liquidava i timori della Regina, adducendo come giustificazione il bene del Regno, tuttavia ben altri motivi albergavano nel cuore del perfido Ammiraglio…
Majone e Margherita si incontravano da qualche tempo nella locanda sita presso la porta di Sant’Agata, scelta tra tutte le altre perché da quella strada l’Ammiraglio ci passava per tornarsene a casa. La Regina, che per quegli incontri adulterini godeva della complicità del suo eunuco più fidato, quella notte se ne tornò a Palazzo tutta intristita e seria.
«Voi non siete voi questa sera.» commentò Amjad una volta che ebbe accompagnato la Regina nel suo appartamento.
Margherita espresse dunque tutte le sue ansietà riguardo al futuro dei poveri soldati di Mahdia e al mancato intervento dell’Ammiraglio.
«Vi è il figlio della cuoca di corte tra quei poveretti che devono difendersi dall’assedio del saraceno. Quando ho provato a dirlo a Majone, lui mi ha risposto che nell’esercito del Regno i poveracci ci entrano su base volontaria… che l’hanno scelto loro questo destino.» aggiunse, scendendo nel particolare.
Amjad si sfregava le mani; adesso era sicuro che Abd al-Mu’min avrebbe vinto. Quella stessa notte scrisse di suo pugno una lettera indirizzata al califfo, in cui lo informava che non sarebbe giunto nessun aiuto o vettovaglia a ristorare il presidio cristiano. Assicurò la missiva a dei commercianti arabi diretti a Tunis44 e quindi si mise ad aspettare che l’informazione sortisse l’effetto desiderato.
In effetti la notizia piacque molto ad Abd al-Mu’min, tanto che rigirò il messaggio proprio al contingente siciliano arroccato nella fortezza della città. Così intendeva scoraggiarli e indurli alla resa, far crollare la fiducia che nutrivano per il Re ed il Regno, e proporre loro l’abiura e il tradimento. Ma gli assediati, che avrebbero potuto tradire Guglielmo ma non Dio, scelsero comunque di tenere ancora duro.
Nei primi di gennaio del 1160 i siciliani arroccati nella fortezza arrivarono a mangiare i propri cavalli e allora fu loro chiaro che per sopravvivere avrebbero dovuto inginocchiarsi al nemico. Chiesero perciò ad Abd al-Mu’min di conservare la vita, i propri beni e la libertà. Il califfo rispose che era disposto a concedergli anche di più, ma solo se si fossero convertiti all’Islam. Quel contrattare la propria vita durò per ancora qualche giorno e alla fine Abd al-Mu’min, persuaso dalle loro parole, li liberò e li rimandò in Sicilia. Così il califfo almohade scongiurava possibili ripercussioni sugli islamici di Sicilia e concedeva la libertà a gente che lo avrebbe d’ora in poi stimato più del vile Re che servivano. Il 21 di gennaio l’Africa siciliana cessava di esistere.
La notizia sconvolse le coscienze dell’intera nobiltà del Regno e fu in quell’esatto momento che alcuni degli ottimati più in vista decisero che non avrebbero più incontrato la faccia di Majone se non da morto. Accusavano il Re, ma soprattutto l’Ammiraglio, di aver abbandonato i cristiani di Mahdia al proprio destino. Per di più, la maggior parte di coloro che Abd al-Mu’min aveva rimandato in Sicilia era perita in un naufragio. Tali morti era come se li avesse causati il califfo e non il mare, e quindi lo stesso Majone a causa della sua inadempienza. Accusavano inoltre gli eunuchi di corte e gli altri saraceni di Sicilia di essere in combutta con gli almohadi e di aver favorito la sconfitta di Mahdia, cospirando insieme all’Ammiraglio affinché non fossero inviati gli aiuti necessari. Il clima di contestazione non era mai stato tanto incandescente e già tra il popolo si temeva che prima o dopo qualcosa sarebbe successo.
Quando si seppe poi della missiva di Amjad, benché nessuno sospettò in particolare dell’eunuco della Regina, fioccarono le accuse e si rischiò il tumulto. Alcuni tra i baroni dicevano che gli almohadi erano già a Palermo, nascosti tra la popolazione saracena connivente e complice del califfo, e che presto si sarebbero manifestati facendo strage dei cristiani e profanando le loro chiese. Chiaramente alcune fazioni del popolo ci credettero e fecero presto a manifestare il proprio dissenso. Dunque Majone, a cui la situazione era sfuggita di mano ed era già accusato di tradimento, fu costretto ad emanare il decreto secondo il quale per i saraceni fosse proibito portare armi addosso. Così acquietava gli animi, disarmava quei nemici dell’immaginario collettivo e fugava sensibilmente le accuse rivoltegli.
Il pericolo era reale, davvero Abd al-Mu’min stava conquistando l’intero Nordafrica, ma la percezione del pericolo tra la popolazione cristiana del Regno superava di gran lunga il pericolo stesso. Chi cavalcava il consenso che solo la paura diffusa può determinare erano i nobili, avversi per interesse politico e personale all’Ammiraglio.
Margherita di Navarra non aveva ancora trent’anni, eppure dimostrava di avere tanta di quell’intelligenza da rendere evidente come la sua presenza fosse sprecata accanto ad un sovrano come Guglielmo. Intelligente e spregiudicato era invece Majone di Bari, quasi vent’anni più vecchio di lei, con cui più di una volta aveva sognato di condividere lo scettro regio e la corona.
Quando la Regina apprese che ai poveri cristiani di Mahdia fosse stato mostrato un messaggio proveniente direttamente dalla corte, non poté fare a meno di sospettare di Amjad, colui col quale si era confidata. Ovviamente ciò che le stava più a cuore non era tanto il tradimento del Regno, quanto invece il tradimento delle sue confidenze private.
Un giorno se ne stava seduta allo specchio, a tu per per tu con la sua immagine riflessa e la sua vanità. Vestiva morbidi abiti a foggia orientale e pure il suo trucco sembrava quello della prediletta di un emiro. Margherita, pur essendo straniera, non aveva saputo resistere al fascino delle mode in voga tra le donne di Sicilia, così lontane dagli austeri costumi del resto d’Europa.
Amjad, da dietro, le allacciava collane e orecchini, spostandole i capelli e scoprendole il collo affinché potesse valutare bene quale monile indossare. Margherita allora fissò allo specchio il riflesso degli occhi neri e profondi del suo eunuco e, dopo aver emesso un lungo respiro, gli disse:
«Sono stati così orribili questi dieci anni in cui hai dovuto servirmi, Mattia?»
«Mia Signora, per la piacevolezza mi sono sembrati un solo giorno.» rispose lui, non immaginando certo cosa nascondesse quella domanda.
«E da quale ora di questo giorno hai cominciato a raccontare i segreti detti in questa stanza?»
Adesso lo sguardo della Regina manifestava tutta la sua delusione.
«Cosa dite?» chiese Amjad, sminuendo col tono della voce l’accusa di lei.
«È per denaro che vendi le mie confessioni?» ripeté il concetto Margherita.
Tuttavia questa volta Amjad sorrise irrispettoso e fece:
«Temo per voi che se davvero io avessi raccontato le vostre privatezze, la vergogna del vostro letto non sarebbe stata presa solo per una diceria e per certo qualcuno ve ne avrebbe chiesto conto. La legge del Regno è chiara riguardo all’infedeltà della moglie, e vostro marito è molto intransigente su questi aspetti… tanto rigido da avere ispirato innumerevoli filastrocche riguardo al suo moralismo. A colei che porta la vergogna nel letto coniugale spetta la morte da parte del congiunto tradito. E se costui non ristabilisce il proprio onore, allora verrà bollato come complice e uomo che non merita rispetto. Pensate che se davvero avessi riferito le vostre confidenze, Sua Maestà sarebbe passato sopra alla vostra vergogna?»
«È dunque questa la vera natura dei tuoi pensieri, Mattia? Offendi la tua Regina parlando di vergogna… mentre sai benissimo quale peso mi è l’essere innamorata di un uomo che non è mio marito.»
Amjad non rispose, consapevole di aver toccato l’argomento più scomodo che riguardasse Margherita, ciò che ledeva il suo onore di regina e di moglie.
«Fammi provare quella d’oro col rubino.» richiese lei, ritornando alle questioni vane.
Nondimeno l’eunuco non aveva ancora finito di agganciare la collana che lei riprese:
«Da domani mi aiuterà un altro servitore ad indossare i miei gioielli.»
Amjad, che serviva quella donna sin dal suo arrivo a Palermo, sin da quando lei a soli sedici anni era stata data in moglie all’erede al trono, si bloccò all’istante, spiazzato, confuso e terrorizzato dall’idea di fare la fine dell’Ammiraglio Filippo e del più recente Forriāni.
«Che significa, mia Signora?»
«Ti sostituirà Luca, già a capo degli eunuchi dell’harem, colui che per esperienza viene appellato gaito, benché non abbia mai impugnato armi. Entrare nel mio appartamento sarà il giusto traguardo per il suo fedele servizio.»
Impietrito, Amjad non sapeva come rispondere.
«E adesso, su… cosa aspetti? Attacca questa collana!»
«Che ne sarà di me se voi mi accantonate per un altro servitore?»
«I nobili accusano l’Ammiraglio di aver mandato lui quella missiva al saraceno, e di tramare insieme ai mori di Sicilia per la fine del Regno. Niente di più falso! Smonterò le accuse che minacciano l’uomo che amo consegnando il vero colpevole alla giustizia.»
Fu adesso che Amjad non pensò più a cosa rispondere. Sopraggiunta la rabbia imbruttì il suo viso, tirò quindi a sé la collana, più di quanto potesse sopportare il delicato collo della Regina. Alle urla strozzate per il soffocamento, Amjad chinò la testa fino all’orecchio di lei e rispose:
«Voi non farete nulla di quanto avete detto, non potete permettervelo. Come reagirebbe vostro marito se gli mostrassi la chiave affidatami dal locandiere per i vostri incontri amorosi? E come reagirebbe il Re se gli facessi leggere le lettere di passione che voi e il vostro Ammiraglio vi scambiate? O credete che le abbia consegnate tutte? Le voci sono voci, è vero… ma io ho le prove! E non pensate che il vostro uomo, benché potente e pericoloso, sia in grado di cancellare la minaccia dello scandalo col sangue, poiché se voi toccate me sarà un altro ad avanzare le prove del vostro adulterio. Ho già preso le mie precauzioni, mia Regina!»
E a questo lasciò la presa, un attimo prima che Margherita di Navarra diventasse cianotica per la mancanza d’aria.
La Regina si teneva la gola, rannicchiata sul pavimento e respirando affannosamente per la paura di star per morire e per l’effettivo danno fisico subito. Quando sollevò il capo, intendendo reagire a colui che aveva osato tanto, comprese di essere rimasta sola.
Da quel giorno Amjad non vide più la donna che aveva servito per dieci anni, in quanto, ancor prima di capire se questa l’avesse accantonato veramente per un altro, decise che sarebbe stato lui a non presentarsi, consapevole che quel rapporto di estrema fiducia ormai rotto non si sarebbe rinsaldato. Ad ogni modo, dal fatto che la Regina non denunciò mai quel tradimento né l’aggressione alla sua persona, era evidente che il ricatto dell’eunuco avesse sortito l’effetto sperato.
Agli inizi di marzo Amjad ricevette la conferma di essere entrato nelle grazie del padrone alla cui presenza segretamente ambiva prostrarsi. Uno dei reduci di Mahdia volle incontrarlo mentre lui se ne stava in casa dell’amata sorella per il consueto incontro settimanale.
«Un uomo sulla porta cerca il mio Signore.» avvertì una delle serve, saracena anch’ella, a cui l’eunuco aveva affidato la cura di Naila.
Avendone dunque accertato l’identità, e nonostante lo preoccupasse il fatto che qualcuno fosse risalito con tale facilità a lui, Amjad lo ricevette in casa.
«Il mio nome è Ahmed. Ho rischiato l’arresto e la morte in naufragio per incontrarti, mio Signore. Il califfo mi ha nascosto tra i cristiani che ha rimandato dal loro re, e costoro, grati per la libertà accordatagli da Abd al-Mu’min, non hanno voluto rivelare chi fossi. Ed eccomi qui, al cospetto dell’uomo a cui il mio signore è debitore.»
«Siamo tutti debitori ad Allah! Di’ al mio signore che non mi deve nulla, eccetto che il suo braccio agisca ancora con la stessa risolutezza con cui ha colpito fino ad ora.»
«Il braccio di Abd al-Mu’min è più esteso di quanto riuscirebbe ad esserlo se egli fosse un uomo solo. Ogni persona che china il capo verso La Mecca guarda al mio signore con speranza, e grazie ad uomini come te il suo potere arriva perfino al cuore del suo nemico. Perciò il mio signore ti chiede di radunare tutti coloro che tossiscono di fronte alle malefatte degli infedeli e di portarli alla rivolta, affinché questo volgare regno muoia così come esso è nato, con dolore e patimenti, e questa terra ritorni ad essere pura del fango dei miscredenti.»
Amjad si sentì investito di un rinnovato senso di responsabilità, qualcosa di maggiore a qualunque altra funzione avesse ricoperto finora alla corte di Re Guglielmo. Poi, a suggello del ruolo a cui era stato appena iniziato, l’uomo del califfo gli donò un oggetto dal significato emblematico. Si trattava di una piccola scultura in malachite, una mano aperta avente sul palmo l’abbozzo di un occhio.
«Il verde è il colore del Profeta e cinque, come queste dita, sono i precetti del Corano… affinché tu non scordi mai che la causa del tuo signore è anche la causa di Allah, Colui che come quest’occhio vede tutto, l’esposto e il segreto, i tuoi atti favorevoli e il tuo eventuale tradimento.»
L’eunuco di corte strinse quell’oggetto nel suo pugno ed inspirò profondamente ad occhi chiusi. Quel risveglio che era cominciato con Forriāni di Sfax, adesso per Amjad diventava un sogno ad occhi aperti dai contorni vividi e reali.
35
Gerba: isola dell’Ifrīqiya, oggi ubicata nella Tunisia meridionale.
36
Tripoli: in arabo Ṭarābulus. Città storica dell’Ifrīqiya ed attuale capitale della Libia. Chiamata anche Tripoli al-Gharb o Tripoli d’Occidente per differenziarla dall’omonima città libanese.
37
Mahdia: città costiera dell’Ifrīqiya, ubicata nell’attuale Tunisia. Antica capitale della dinastia ziride, chiamata in arabo Mahdiyya.
38
Almohadi: dinastia berbera di religione musulmana che dominò il Maghreb e la Spagna dal XII al XIII secolo.
39
Andalus: nome con cui gli arabi chiamavano la Spagna musulmana. Il termine si è conservato nel nome della regione più a sud della penisola iberica.
40
Maghrib: in arabo letteralmente “occidente”. Oggi il termine indica tutta la metà del Nordafrica occidentale, ma nella lingua araba si intende in senso stretto il Marocco.
41
Ziridi: dinastia berbera di religione musulmana che dominò l’Ifrīqiya dal X al XII secolo.
42
Allahu Akbar: letteralmente “Dio è il più grande”. Si tratta di un’espressione araba comune nel mondo islamico e presente nel Corano, nel ṣalāt e nell’adhān.
43
Magna Curia: organo centrale dell’amministrazione pubblica nel Regno di Sicilia.
44
Tunis: Tunisi