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PARTE I – PORFIDO ROSSO SANGUE
Capitolo 6

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8 e 9 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale


Per non gettare sospetti sullo strano sodalizio esistente con il criminale straniero, Mattia si dileguò non appena ebbe richiuso dentro la sala Alessio ed ebbe in tale modo assicurato ad entrambi un alibi. Per l’intero Palazzo, infatti, il prigioniero non era mai uscito da quella stanza.

La mattina fu Onesimo a riportare la notizia dell’assassinio dell’importante eunuco del Re. Naturalmente l’intera Palermo ne parlava, ma Alessio, segregato lì dentro, non poteva saperlo. Giunsero poi i giovani manovali affidati alla direzione del maestro straniero e questi confermarono con stupore la notizia.

Lo sguardo di Alessio restava tuttavia come stregato, perso nella luce che penetrava da oltre la loggia. Non aveva chiuso occhio e i dubbi più atroci gli torturavano l’anima. Sarebbe voluto tornare al palazzo dei Rossavilla già quella mattina, in barba ad ogni pericolo, così da comprendere cosa significava quella frase: “Qui non vi è mai stata nessuna Zoe”.

Ebbe comunque l’occasione di sciogliere almeno parte di quei dubbi già a mezzogiorno, quando si presentò Mattia in persona.

L’eunuco aveva congedato il servo preposto alla dispensazione del cibo ed ora portava le vivande con le sue mani. Quel giorno era prevista zuppa di lenticchie e cipolle.

Vedendo Mattia, Alessio chiese ai manovali e al fedele Onesimo la cortesia di lasciarli soli.

«Vi cercano, ma non verranno mai a controllare qualcuno che è già recluso.» esordì l’eunuco, stringendo una spalla di Alessio come in una sorta di blando massaggio.

«Esiste un testimone, un nobiluomo che ha provato ad uccidermi nella locanda. Avevate detto che il vostro amico se ne stava da solo!» accusò arrabbiato il greco.

«Non preoccupatevi, Mastro Alessio, chiunque esso sia non verrà mai a saggiare il vostro viso qua dentro.»

«Lo voglio ben sperare, poiché la mia fine significa anche la vostra.»

«Perciò non dovete preoccuparvi, in quanto sono pronto ad eliminare qualunque pericolo alla vostra ed alla mia incolumità.»

Alessio si spostò verso la loggia e, reggendosi ad una delle colonne, riprese:

«Il pericolo imminente che incombeva sulla mia testa è stato eliminato questa notte; dico bene?»

E si voltò a guardare Mattia.

«Esisteva un ostacolo concreto ed esso era il gaito Luca, colui che si frapponeva fra voi, la vostra sopravvivenza e la bella Zoe.»

«Perciò capirete che adesso che ho bagnato le mie mani nel sangue e ho condannato la mia anima all’inferno non desidero altro che incontrare mia figlia…»

«Succederà presto, ve lo giuro.»

Dunque il tono di Alessio proseguì volutamente più rilassato.

«Ditemi qualcos’altro di lei, vi prego… qualcosa che non mi avete ancora detto.»

«Il suo passo è leggiadro e la sua voce melodiosa. Sapete? Cantava uno stornello che parlava d’amore quando ieri mattina l’ho vista.»

«E Giordano di Rossavilla, l’avete visto?»

«Giusto stamattina se ne stava presso il porto; pare stia progettando un viaggio di commercio. Parta pure quel maledetto e lasci sguarnito il suo palazzo, così potremo agire indisturbati e riavvicinare la nostra Zoe; che ne pensate?»

Alessio ritornò a guardare i tetti di Palermo. Una lacrima incontrollata si perse nella sua barba grigia ed un’altra bagnò i palmi delle sue mani… quelle mani che adesso mostrava a sé stesso con rammarico. Non era necessario cercare altre rispose: dal momento che Giordano di Rossavilla era gravemente malato e allettato da parecchio tempo, era chiaro che Mattia si fosse inventato tutto. L’eunuco non aveva mai incontrato Zoe… anzi non l’aveva mai vista! Mattia si era approfittato di Alessio e del suo desiderio di famiglia. Aveva sfruttato il maestro d’arte facendo leva sul suo onore, su quel senso morale mostrato nei confronti della donna che un tempo aveva amato, nei confronti del risultato di quell’amore, nei confronti della sua astratta responsabilità di padre e nei confronti di Dio.

Con la coda dell’occhio Alessio fissò Mattia, dunque pensò di gettarlo oltre la balaustra della loggia e di fargli pagare tutti i suoi torti in un attimo. Poi rifletté che un eunuco morto potesse già bastare… E poi, Zoe non era il frutto di un’invenzione, Zoe era reale! Giordano non aveva mai smentito la sua esistenza…

O forse, e a questa conclusione Alessio quasi non cadde di sotto… forse anche Giordano di Rossavilla era stato al suo gioco, con lo scopo di immischiarlo nella morte del giudeo messinese in modo da togliere ogni possibile sospetto su di lui, vero artefice di quel misfatto. Sì, Giordano e Mattia avevano fatto leva sulla sua ligia onestà per servirsene a loro arbitrio. Il primo l’aveva usato come capro espiatorio, il secondo come esecutore materiale dei suoi intrighi.

Un peso mai avvertito in precedenza piombò sulle spalle di Alessio, il senso di colpa e la dannazione per quella vita spezzata appena qualche ora prima. Più in basso, proprio nello stomaco, cominciava a configurarsi la delusione per quella speranza, la voglia di sentirsi parte di una famiglia, adesso irrealizzabile. Certamente quella donna in fin di vita si era inventato tutto, forse per vendicare l’abbandono di molti anni prima, e aveva tirato in ballo l’unico nome di un nobile siciliano che ricordava, quello di Giordano di Rossavilla.

Così Alessio trovava le risposte che cercava interpretando i segni inviati da Dio. Con rammarico comprendeva che avrebbe dovuto farsi frate e ritirarsi in contemplazione, poiché andando in direzione opposta alla sua vocazione era finito in balia dei capricci del Diavolo.

La sera, dopo aver finto per tutto il giorno che non fosse successo nulla, trattenne Onesimo oltre l’orario di lavoro. E dunque, quando il più giovane si accorse della sua inquietudine, Alessio gli afferrò un braccio e lo supplicò:

«Ragazzo, devi confessarmi!»

Il disagio nato da quella richiesta scomparve quando Alessio ammise:

«So benissimo che non è nelle tue facoltà la possibilità di impartire questo sacramento, ma sei l’unico amico che mi rimane.»

Perciò cominciò:

«Ho ucciso un uomo… un uomo innocente…»

«Allora è vero quel che si dice di voi!» esclamò stupefatto Onesimo, il quale l’aveva sempre creduto incolpevole.

«Ti stupirai sapendo che nel mio caso ho ricevuto la sentenza prima di compiere il reato…»

Sconvolto oltre ogni dire e profondamente turbato, Onesimo fece fatica a giudicare l’anima redenta oltre la carne peccaminosa che aveva davanti. Alla fine seppe solo dire:

«Vi assolva Dio che scruta i cuori.» e con una scusa si accomiatò dal suo mentore, deluso da quell’uomo che finora aveva aiutato senza riserve.

A questo punto, ancora frastornato e senza nessuna voglia di vivere, Alessio non era più sicuro nemmeno della genuinità del proprio cuore. Credette di sentirsi in tutto e per tutto come si sente un malvagio.

L’esperto maestro d’arte d’altro canto faceva parte di quel tipo di uomini che dopo il peccato e l’errore cercano in tutti i modi di rimediare – la ricerca di Zoe, dopo tanti anni dai suoi sbagli di gioventù lo dimostrava pienamente – e adesso avrebbe rimediato pure all’ultimo atroce peccato se avesse potuto. Essendo tuttavia la vita qualcosa di esclusiva competenza divina, l’uomo non può ridare ciò che toglie.

Alessio aveva abbozzato sulla calce del supporto i soggetti che avrebbe dovuto realizzare in mosaico. Si trattava di alberi esotici e palme, di animali reali e fantastici: leoni, pavoni, cervi e leopardi, ma anche grifoni e centauri. Quella sera, alla luce tremula della candela, mentre se ne stava disteso sul suo giaciglio, li vide prendere vita. Quello che sarebbe dovuto diventare il Paradiso che il Re tanto desiderava adesso si manifestava nella sua mente come l’Inferno. Alessio si addormentò fissando quelle figure, e pochi minuti più tardi quelle bestie gli sbranavano le carni e lo dilaniavano. Uno dei pavoni disegnati con tanta precisione sul muro adesso gli beccava il cuore. Alessio si svegliò di soprassalto e per quella notte ebbe timore a riaddormentarsi, sicuro che nel sonno i demoni della sua mente si sarebbero destati nuovamente per molestarlo.

L’indomani Onesimo non si presentò e questo tormentò Alessio non meno degli inquietanti sogni della notte appena trascorsa. Rimuginò per tutto il giorno su quanto inutile fosse diventata la sua vita e concluse che dopo il tramonto, quando se ne sarebbero andati tutti, si sarebbe lanciato dalla loggia. Nondimeno, quando i manovali lasciarono la sala, Mattia si presentò tutto intristito. Alessio sorrise… ora lo sfiorava una malsana idea: avrebbe reso un bene al mondo tirandoselo dietro giù dalla balaustra.

«Che avete, mio Signore?» chiese l’abile artista, questa volta recitando.

Alessio boicottava la sua onestà in luogo dell’ipocrisia di chi si spaccia falsamente amico.

«Una nuova minaccia incombe sulla nostra causa!»

«Credevo che il gaito Luca fosse l’ultimo pericolo.»

«Qualcuno vi ha visto allontanare dalla locanda.»

«Vi riferite al tizio che ha provato ad ammazzarmi?»

«No, non a quello… a quanto pare il gaito Luca se ne stava da solo quando venne ritrovato. Chiunque fosse colui che vi ha attaccato aveva buone ragioni per dileguarsi prima che qualcuno chiamasse le guardie.»

Qualcos’altro non quadrava in quella storia. Il nobiluomo che l’aveva aggredito si era volatilizzato nel nulla, probabilmente perché, così come diceva Mattia, lì non doveva esserci. Si trattava forse di un ricercato? Alessio non lo sapeva né poteva chiedere in giro. Tuttavia, riflettendoci, qualche elemento in più per capire la questione ce l’aveva. Il gaito Luca, in preda al terrore, aveva gridato: «Mia Signora, ci attaccano!». C’entrava una donna quindi; ma chi? E perché in luogo di una donna era venuto giù un uomo? Si trattava forse di amanti… una relazione illegittima che il gaito Luca stava proteggendo? Alessio suppose molte cose in pochi minuti.

«Le guardie si mobilitarono non molto dopo; chi diede l’allarme?» chiese ancora il maestro d’arte.

«Vittore!»

«Un uomo con pochi anni meno di me…» descrisse Alessio, credendo ancora che quello fosse il nome della persona che l’aveva assalito.

«No, Vittore è una persona giovane.»

«Non c’era nessun giovane quella notte, né dentro né fuori la locanda.»

«Le case di Palermo hanno gli occhi, Mastro Alessio! Vittore, il venditore di conchiglie, vi ha visto, anzi ha visto entrambi… a voi uscire dalla locanda e a me starmene ad aspettarvi lì vicino. Essendo che mi ha riconosciuto quale eunuco del Re, ha bazzicato attorno al Palazzo per due giorni. Stamattina mi ha ritrovato, proprio mentre mi recavo dalla vostra Zoe… e sapete cosa mi ha detto?»

«Cosa?»

«Che avrebbe saputo indicare me e voi ad un processo. Quindi mi ha chiesto del denaro per il suo silenzio… molto denaro.»

«Dategli quanto chiede e mettetelo a tacere!»

«Non dispongo di quella cifra; forse voi sì?»

«Vi risparmio pure di riferirmi l’entità della cifra… sapete benissimo che ho perso tutto.»

«Dunque dovremo agire come l’ultima volta, rapidi e incisivi.»

«I manovali affidati al mio comando mi hanno riferito giusto stamattina che l’Ammiraglio del Regno, tale Majone, sta rivoltando la città da cima a fondo, intenzionato a prendere l’assassino del gaito Luca.»

«Sciocchezze! Neppure il Re si è scomodato a rientrare a Palermo dopo il misfatto.»

«Che il vostro sovrano sia molle e disinteressato è cosa risaputa… e che deleghi il suo ministro anche.»

Mattia sorrise e rispose:

«Avete capito tutto di questo Regno pur standovene tra quattro mura!»

«Perciò prendete tempo con chi vi ricatta e aspettate che le acque si calmino.»

«Abbiamo tempo fino all’11 del mese e poi parlerà.»

Alessio ci pensò un attimo. Con molta probabilità Mattia ne stava inventando un’altra con lo scopo di indurlo ad eliminare i suoi nemici. D’altro canto, se fosse stato vero, Alessio sarebbe andato incontro ad una morte certa… né più e né meno quello che era previsto comunque per lui. Cosa cambiava nella sua condizione? Nulla… se non altro che se quel Vittore avesse parlato, lui avrebbe pagato con la giusta pena il suo peccato. Si prospettava quindi la possibilità di scontare le sue colpe e di far cadere la responsabilità pure sull’eunuco Mattia, vera mente e vero manovratore del delitto. Alessio decise quindi che non avrebbe mosso un dito e che sarebbe andato incontro al suo destino.

«L’11 è fra due giorni!» esclamò il recluso tra i due.

«Capite perciò che non c’è tempo da perdere!»

«Domani, ma non stanotte, non oggi che i ricordi del gaito Luca morente sono ancora vividi nella mia testa.»

Così, con una scusa, Alessio prendeva tempo. Avrebbe rimandato fino al termine dei suoi giorni, consapevole che in tale modo avrebbe messo fine al male, ed il male in questo caso era lui stesso.

Le Tessere Del Paradiso

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