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PARTE III – LA SPIAGGIA DI MADREPERLA
Capitolo 12
ОглавлениеFine agosto A.D. 1160, dintorni di Balermus
Si dovrebbe stare sempre attenti a parlare di prosperità… La prosperità e la miseria di un popolo sono spesso giudicate in funzione alle alterne vicende dei facoltosi, ma, tristemente, nessun cronista si è mai preso il tempo di valutare il contenuto delle tasche della gente comune. Gli Altavilla avevano creato sì una nazione prospera, ma sarebbe stolto concludere che non esistessero più i poveri.
Vittore apparteneva proprio ai miserabili di Sicilia. Pescatore figlio di pescatore e discendente chissà fino a quale generazione da gente che aveva praticato lo stesso mestiere. Faceva parte dei cristiani dell’Isola che da secoli parlavano il latino del popolo e che potevano essere giudicati, insieme a quelli che si esprimevano in greco, come i veri indigeni di Sicilia. Inoltre, già ai tempi del primo Ruggero, la famiglia di Vittore era stata tra quelle che avevano abbandonato il rito orientale per abbracciare la stessa confessione praticata dai normanni e dal papa.
Vittore aveva la tempra e il carattere di chi ha dovuto lottare contro tutto e tutti: contro la nobiltà che desidera imporre l’asservimento, contro i dannati alla ricerca di un tozzo di pane, contro le tasse del Re e contro le forze della natura. Era figlio del mare che sostenta la vita, figlio del vento che sospinge le vele e figlio della terra che l’aveva partorito. Sapeva che il fato domina tutto: dai capricci delle correnti marine ai terremoti, dalle eruzioni del Mons Jebel50 all’alternarsi delle stirpi e dei governanti. Tuttavia, grazie al suo fisico e alle sue abilità, era scampato alla morte un paio di volte; adesso perciò si era convinto che al di là del destino egli potesse dir la sua in ciò che succede sotto il cielo. Vittore era il poveraccio più presuntuoso di Palermo e per tale motivo non tirava solo a campare, ma si dava da fare in tutto e per tutto per ribadire il proprio stato di uomo libero e fiero. Oltre al suo mestiere di pescivendolo e pescatore, quando imperversava la tempesta e le barche restavano a riposo sulla discesa per il mare, si recava sulle spiagge del contado per raccogliere le più belle conchiglie che le onde avevano vomitato sulla battigia. Ne faceva monili e piccole gioie, oggetti di modesto pregio destinati alle ragazze del popolo. Non c’era una sola persona tra la gente comune che non conoscesse Vittore, il “venditore di conchiglie”. Per via dei suoi modi, egli era inoltre l’amico di tutti gli uomini e il sogno di tutte le fanciulle illibate di Palermo.
Gli ultimi giorni di agosto tutti i cittadini rimasero rinchiusi al di qua delle proprie porte e finestre, segregati a casa a causa del meteo avverso. Il forte vento scoperchiava i tetti, le copiose piogge allagavano le vie più basse e il mare grosso impediva a pescatori e marinai di prendere il largo. Un susseguirsi di temporali di fine estate che ogni pomeriggio si ripresentarono funesti, giungendo come tenebre dal mare e a volte prendendo le sembianze di vere e proprie trombe d’aria.
Vittore, com’era solito fare, aspettò che vi fosse mezza giornata di tregua ed uscì per fare il pieno delle sue famose conchiglie. Si recò dunque in una delle calette che risultano schiacciate tra il mare e il fianco settentrionale del Bel Grin51, la “montagna vicina”, quella che domina Palermo con la sua ombra. Qui vide che le mareggiate avevano disseminato sulla spiaggia, pure a molti passi dalla battigia, una bianca distesa di gusci… preziosa madreperla da rivendere al mercato. Immerso tra le valve iridescenti delle ostriche, che avrebbe intagliato per farne medaglioni, e le complesse spirali dei gasteropodi, con cui avrebbe fatto dei ciondoli, sorrise, comprendendo che il bottino fosse ghiotto. Dopo alcuni minuti si accorse che in un angolo riparato della spiaggia, presso le rocce, era stato stipato un mucchietto di conchiglie pregevoli, le più grosse e belle viste quel giorno. Comprese che qualcuno fosse passato prima di lui, tuttavia, credendosi il padrone della spiaggia e del monopolio delle conchiglie, cominciò ad arraffarne quante ne poté.
«Ehi, ehi!» urlò qualcuno.
Adesso Vittore vide sbucare da dietro la macchia mediterranea due giovani donne. Una di queste veniva correndo per la trazzera che si districava tra le asperità ai piedi del monte.
«Ehi, ehi!» urlò nuovamente questa.
Vittore sembrava non sentirla e continuava imperterrito nella sua opera di scarto e raccolta.
«Ci ho messo un’ora per trovare quei gusci.» argomentò la donna.
Lui perciò sorrise e le rivolse le spalle.
«Ci ho messo un’ora per trovare quei gusci!» ripeté alterata lei.
E Vittore, sbruffone com’era, la guardò e, facendo l’occhiolino, rispose:
«Grazie.»
«Voi mi derubate!» accusò ancora.
Vedendo allora che lui non si curava di niente e che si allontanava con gli oggetti contesi nella sacca, la donna raccolse la conchiglia di una lumaca di mare e gliela gettò addosso, prendendolo sulla nuca.
Vittore smise di sorridere e questa volta, prestandole attenzione, le disse:
«Sono stato educato con voi, Madonna. Vi ho ringraziato per quello che non vi appartiene e vi ho trattato con rispetto nonostante le vostre accuse.»
«Quelle conchiglie le ho raccolte io… ma non per darle a voi!»
«Voi non avete cosa farvene… io ci campo! Ma potete sempre pagarmele se le volete.»
A questo punto l’altra donna, una più adulta e giudiziosa, trattenne la prima per il braccio e la rimproverò in arabo.
«Dovreste ascoltare la vostra serva… meglio lasciar perdere!»
«La spiaggia è di tutti e sono giunta prima io.» rintuzzò tuttavia lei, replicando in tal maniera sia alla serva che al raccoglitore di conchiglie.
«La spiaggia è mia e vi giunsi anni or sono… Ora, se volete scusarmi, Signore mie… io ho da lavorare.»
Improvvisamente un tuono echeggiò su tutta la superficie del mare e per il fianco scosceso del Bel Grin. Si addensarono allora i nuvoloni e qualche goccia di pioggia cominciò a bagnare la rena della caletta.
Dunque le due donne si dettero una mossa per rientrare e passarono a lato di Vittore.
«Spero che abitiate in queste contrade, altrimenti dovete essere impazzite se credete di rientrare a Palermo prima che sopraggiunga la tempesta. Questa mattina ho impiegato quasi due ore per arrivare fin qui, e io porto calzoni e scarpe robuste.»
Le due si consultarono.
«Potete stare lì a discutere quanto volete, ma state perdendo solo tempo.» ribadì Vittore.
«Dove si rintanano quelli come voi in queste occasioni?» chiese la giovane.
E lui indicò la montagna, mentre un forte vento prese a soffiare dalla direzione del mare, tanto forte da scoprire i capelli delle due. Vittore perciò prese ad inerpicarsi sul declivio fino a giungere sull’ingresso ampio e spazioso di una caverna.
«Vostro marito non vi vedrà tornare se non prima di sera.» la buttò lì Vittore, una volta al sicuro.
«Verrà a cercarmi quando non mi vedrà rientrare.»
«O forse si consolerà con le altre sue mogli!» esclamò il venditore di conchiglie, ridendo altezzoso allo scopo di screditare le usanze dei saraceni.
«In tal caso sappiate che sono la prediletta di un uomo molto potente.»
Vittore, che intanto si era seduto, la guardò dalla testa ai piedi. Effettivamente la ragazza era molto carina… aveva grandi occhi neri e labbra carnose e sanguigne per natura. Era abbastanza slanciata, anche se il benessere le aveva donato dei fianchi rotondi ed un seno prosperoso. Era agghindata e abbigliata come le signore dei ricchi funzionari del Re, ma tradiva il suo stato civile per via di quella disinvoltura tipica di chi non ha conosciuto la costrizione del matrimonio.
«Esco per raccogliere conchiglie e mi ritrovo con una perla tra le mani… Chiederò un riscatto a vostro marito, così anche voi saprete quanto gli state a cuore.»
«Non sapete quello che dite.»
«Non è in mio potere farvi quello che mi aggrada mentre ve ne state nella mia caverna?»
«Non parlate seriamente.»
Vittorie si era fatto serio ed ora si metteva in piedi minaccioso.
Quindi la serva, la quale quasi non se la faceva sotto, spronò l’altra ad andarsene finché ne erano in tempo.
«Dovevate pensarci prima… Adesso, invece di frignare, andate a chiamare il vostro signore e ditegli di portare con sé duecento tarì e cinquanta mute di seta.» ordinò Vittore proprio alla serva.
«Non fate sul serio.» ripeté con un pizzico di fiatone la giovane che era padrona dell’altra.
«Non appena la vostra serva partirà, noi cercheremo un altro rifugio; questa montagna è piena di caverne.»
«Il mio signore può fare dislocare molti uomini armati, tanti da circondare questa montagna e passare al setaccio ogni crepa e vallone.»
«Questo monte, che voi saraceni chiamate Jebel Grin, ha la fama di nascondere chi non vuole farsi trovare. Numerosi sono coloro che ne hanno scalato l’erta via che conduce alle sue cime alla ricerca della vergine figlia di Sinibaldo, per ottenere una benedizione, ma nessuno ad oggi è mai riuscito a trovarla. Se non si riesce a trovare una donna rinchiusa in una caverna, che mai potranno fare contro chi conosce questa montagna come le sue tasche? È più facile che si imbattano in Rosalia de’ Sinibaldi… credetemi. Tuttavia, se voi dite che vostro marito è tanto ricco e potente, allora facciamo quattrocento tarì e cento mute di seta!»
«Lasciateci andare e vi farò avere quanto chiedete.» rispose con un filo di ingenuità la giovane.
Vittore scoppiò a ridere.
«Con quale motivazione tornereste a portarmi quanto vi chiedo? Allora non si tratterebbe più di un riscatto, ma di una vera e propria opera pia da parte vostra. Poco fa, sulla spiaggia, avete chiesto dove si rintanano quelli come me… ma so che intendevate dire dove si rintanano “le bestie” come me. Conosco la considerazione che la gente come voi ha verso il popolo.»
«Vi giuro che non intendevo appellarvi a quel modo. E poi, credete che la mia gente riceva meno disprezzo?»
«Voi lo meritate! Avete spadroneggiato su questa terra per secoli. Tanta prosperità e tanta rovina adesso; la vostra bilancia è colma! Che possiamo dire invece noi poveri cristi? Messi in croce da sempre… noi che conosciamo il sapore delle suole dei sandali saraceni così come dei calzari normanni. Ad ogni modo, affinché sappiate che una bestia, un lupo come me, può anche non sbranare un innocente agnellino come voi solo perché ne ha l’occasione, vi assicuro che non vi torcerò un capello e che vi lascerò andare non appena smetterà di piovere.»
«La vostra anima è trasparente e la vostra fama vi precede. So bene chi siete: Vittore, il venditore di conchiglie! Di voi si parla in bene, perciò non ho creduto un solo momento alla vostra recita.»
«No, invece vi sbagliate… non sulla mia identità, sono davvero Vittore. Voglio però darvi una lezione. Non lasciatevi ingannare dalla fama della gente… un altro non vi avrebbe trattato con lo stesso rispetto, dal momento che l’occasione è veramente ghiotta. Giudicate invece la fame, quella che io non possiedo perché ho troppo orgoglio per dire che mi manca qualcosa che non mi sia riuscito a guadagnare.»
«Vi comprerò le conchiglie più belle!» esclamò d’impulso lei, toccata nel cuore dai discorsi di Vittore.
Tali parole distesero la conversazione, provocando sui visi di entrambi una perpetua espressione di serenità. Fuori intanto il cielo sembrava volersi congiungere col mare per come imperversava il temporale.
«Ecco come fare del bene a qualcuno come me! Come vi chiamate, Madonna?» chiese lui, tornando a sedersi sul sasso lasciato poco prima e invitando le due donne a fare lo stesso di fronte.
«Naila.»
«Cosa ci fa una delle figlie dei saraceni così lontano da casa?»
«Sfuggo alla noia.»
«Godete di un’inusuale fiducia da parte di vostro marito.»
«Egli è in viaggio.»
«Foste stata mia moglie…» accennò la sua contrarietà Vittore.
«Forse vostra moglie non si sarebbe annoiata. Voi non partite in lunghi viaggi di affari…»
«Io però non posso darle lunghi abiti di seta prodotta negli opifici reali e monili in metallo pregiato.»
«Ma forse quello che basta a vostra moglie sono le vostre forti braccia e la vostra intraprendenza.»
«Dite così solo per farmi piacere.»
«Non sminuite la mia analisi. Oggi avete ospitato due povere donne spaventate nella reggia più consona alla situazione. E sappiamo che con la vostra presenza non può accaderci nulla di spiacevole. Vostra moglie, qualora l’aveste davvero, dovrebbe sentirsi molto fortunata.»
La serva si accostò dunque all’orecchio di Naila e le disse preoccupata qualcosa. Giudicava quelle lusinghe eccessive, in quanto rivolte ad un uomo, a qualcuno appartenente ad un partito non alla sua altezza, e per giunta facente parte dei miscredenti.
Naila allora posò delicatamente le dita della mano sulle labbra della serva, indicandogli in tal maniera di tacere.
Vittore aveva già compreso di avere dinanzi a sé una testa calda, una donna raffinata nell’aspetto, ma anche priva di controllo. Una donna rischiosa quindi, di quelle che riescono ad ammaliare gli uomini per poi trascinarli nella pericolosità della loro natura. Vittore provò un misto di attrazione e sospetto. Per certo si trattava di una di quelle donne alla ricerca di svago, ma che non bisogna mai fare entrare nel proprio cuore.
«Venite a trovarmi al mercato. Potrete comprare le conchiglie che mi avete aiutato a raccogliere… collane, bracciali e orecchini. Vi farò un ottimo prezzo.»
Naila accolse l’invito ad uscire da casa per recarsi al mercato dei pescivendoli come la cosa più eccitante che le fosse accaduta negli ultimi tempi. Vittore certo era un bell’uomo e a Naila non erano sfuggiti i robusti bicipiti e i lineamenti virili, tuttavia non le sarebbe mai saltato in mente di guardarlo come se fosse più di un conoscente. Amjad non le avrebbe perdonato neppure quelle poche ore passate insieme a causa del maltempo, figuriamoci se avesse supposto che ci fosse dell’altro… E poi Naila non era così ingenua da non considerare tutte le differenze che intercorrevano tra lei e quell’uomo del popolo. Non fu quindi l’ingenuità la causa che pochi mesi dopo avrebbe fatto deragliare interamente i sentimenti della sorella dell’eunuco e pure il suo buonsenso. Naila era completamente consapevole di dove stesse andando a parare volta dopo volta nelle sue frequentazioni al mercato del porto. Per certo l’assenza di educazione genitoriale aveva formato un carattere poco incline alle inibizioni e alle proibizioni. Inoltre Amjad l’aveva viziata e con il suo esempio l’aveva resa vulnerabile alle tentazioni. Dopo anni passati ad ascoltare le confidenze lussuriose del fratello, a poco erano serviti gli sforzi fatti negli ultimi tempi per impartirle la retta via della fede. Naila aveva infatti recepito con entusiasmo intellettivo il risveglio islamico di Amjad, ma nel suo cuore non avevano mai smesso di albergare i desideri mai sopiti del suo risveglio come donna. Naila sognava l’amore e le forti braccia di un uomo sin da quando aveva compreso che l’affetto per Amjad fosse solo un pallido surrogato del sentimento di passione che nasce tra due esseri umani in età adulta… ora il venditore di conchiglie ricalcava perfettamente ciò che aveva desiderato.
Vittore, d’altro canto, ritenne dapprima innocue le timide visite di Naila al mercato, e successivamente, ormai preso da quella costante presenza, non seppe né volle più respingerle in cuor suo.
Così Naila imparò a disfarsi della presenza della serva e Vittore cominciò ad invitare la sorella dell’eunuco del Re ad incontrarsi in luoghi più appartati e ad orari in cui era più difficile essere visti.
I primi giorni di novembre la coscienza di Naila parlò poi per la prima volta al suo buon senso. Fu allora che comprese che la presenza dei cospiranti in casa sua avrebbe potuto minacciare la vita di Vittore e che l’amore con l’uomo delle conchiglie avrebbe potuto compromettere la posizione di Amjad tra coloro che seguivano la rivolta. Decise perciò di disfarsi della cosa a cui le era più facile rinunciare e pose fine alle riunioni del fratello. Tuttavia, nascondere qualcosa a Palermo, città in cui a tutte le ore e i luoghi vi erano occhi indiscreti ed orecchie testimoni, era impossibile… Le cose erano andate storte e l’amore di Naila e Vittore aveva innescato la gelosia di Amjad.
50
Mons Jebel: letteralmente “monte monte”. In epoca araba la parola Jebel, usata senza appellativi, indicava il monte siciliano per antonomasia, l’Etna. In epoca normanna si finì per chiamare il vulcano “Mons Jebel”, unendo al termine arabo quello latino con lo stesso significato di monte. Col tempo le due parole si fusero e si trasformarono nel popolare “Mongibello”.
51
Bel Grin: probabilmente dall’arabo Jebel Grin “monte vicino”. Da questi etimi si è sviluppato l’attuale nome “Pellegrino”, famoso promontorio ai cui piedi sorge Palermo.