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PARTE III – LA SPIAGGIA DI MADREPERLA
Capitolo 14
Оглавление13 Novembre A.D. 1160, Balermus
Le torce accese attorno al Palazzo fecero temere alla Regina e ai servitori la rivolta e l’assedio. Margherita di Navarra, la quale aveva sperato per tutta la notte che la nefasta notizia riguardante la morte del suo amato fosse infondata, dovette sorreggersi alle braccia delle sue ancelle quando vide, alle prime luci dell’alba, la testa di Majone infilzata su un’asta. Il suo pianto disperato inquietò gli animi di chi sapeva e confermò il sospetto di chi immaginava; solo il Re, il quale soggiornava in una delle residenze fuori città, poté risparmiarsi la vista delle lacrime che la moglie riversava per un uomo che non era lui.
Non poté invece tremare Amjad, dal momento che non era a Palazzo, così come Vittore non poté riabbracciare Naila, dal momento che questa non era in casa. Quando il venditore di conchiglie si rese conto, poiché gli fu riportato dai vicini curiosi che avevano assistito all’evento, che quella notte l’eunuco avesse portato via su una carrozza la giovane sorella, il pianto della sua anima non fu meno triste e doloroso di quello della Regina.
Ad ogni modo c’era da portare avanti l’opera che era cominciata quella notte, e così Vittore continuò a gridare a gran voce che era giunta una nuova era, che il tiranno era stato ucciso e che si avvicinava il tempo in cui non si sarebbero più pagate le tasse. Ovviamente per la maggior parte si trattava di promesse irrealizzabili; in quel momento tanta era la foga che Vittore avrebbe creduto che l’uomo fosse in grado di raggiungere la luna.
Il subbuglio a Palermo era enorme e presto la nobiltà cominciò a temere che quel tumulto spontaneo generato dall’odio per Majone potesse trasformarsi in una rivolta popolare, contro l’indifferenza del Re e contro l’aristocrazia che affama. Così, tre giorni dopo i primi fatti di sangue, Matteo Bonnel, conosciuto come Bonello, l’uomo che aveva ucciso l’Ammiraglio e che intanto si era rifugiato nella sua Caccamo, inviò delegati per parlare ai capi del popolo, affinché quella sollevazione non si trasformasse in qualcosa di violento e incontrollato. Poco prima di mezzogiorno un tale Manfredo, accompagnato da altri tre, si fece largo tra la folla e giunse al cospetto di Vittore, il quale in quei giorni aveva sfilato per le vie della città per poi ritornare innanzi al Regio Palazzo numerose volte.
«Credo che coloro che osservano da oltre i cancelli del Palazzo abbiano ricevuto il messaggio. Date riposo a quella testa e venite con me.» esordì l’uomo che sosteneva Bonello.
Vittore riconobbe immediatamente nel giovane Manfredo uno dei cavalieri che durante la notte del dieci se ne stava presso la porta di Sant’Agata ad osservare il popolo offendere il corpo di Majone. Calò perciò la testa dall’asta e, accompagnato da Mamiliano e Duccio, seguì gli uomini a cavallo. Intanto la folla agguantava ciò che restava dell’Ammiraglio e si azzuffava per far proprio quel nauseabondo trofeo.
Vittore venne condotto nell’atrio di un palazzo e qui, richiuse le porte, venne invitato ad accomodarsi sui gradini di una scala.
«Il Re ha accolto con giubilo la notizia che giustizia è stata fatta sull’odiato ministro che opprimeva il popolo e che desiderava usurpare il trono. Dunque non serve che voi continuiate l’opera che ha avuto inizio l’altra notte.»
In realtà Majone aveva oppresso più la nobiltà che il popolo spiccio, imprigionando i baroni ribelli di Puglia e Calabria, rendendo schiave le loro figlie e prostitute le loro mogli. Inoltre, sebbene fosse vero il fatto che il Re gioisse per l’uccisione di Majone, benché in un primo momento fosse rimasto sbigottito da tanta violenza, il motivo andava ricercato nella paura che Guglielmo provava per Bonello e per i cospiratori. Un tempo, prima che il giovane Signore di Caccamo fosse scelto per quell’opera, si era addirittura cercato di coinvolgere lo stesso Re, ma questi, all’idea di dover essere responsabile di un tale atto di sovvertimento, aveva fatto sapere di essere contrario. Nondimeno adesso, a giochi fatti, Guglielmo non poteva far altro che cercare di ingraziarsi coloro che avevano liberato la corte dalla pesante presenza dell’impopolare Ammiraglio. La nobiltà calabrese, in rivolta da qualche mese, faceva quindi sapere al Re che era disposta a deporre le armi, sempre a condizione che la giustizia regia non colpisse Matteo Bonello per il reato commesso.
Ancora pieno di zelo e preso dall’inerzia degli ultimi spaventosi avvenimenti, stringendo il pugno al cielo, Vittore rispose:
«Viva il Re e viva Matteo Bonello!»
«Ho visto come la folla vi segue… notevole per un pescivendolo e venditore di conchiglie!»
«Dunque sapete chi sono, mio Signore?» chiese lusingato Vittore.
«Ci sarà ancora bisogno di voi. Il popolo ha bisogno di eroi che vestano i loro stessi panni.»
«Ho solo smembrato un cadavere.»
«Il cadavere del Grand’Ammiraglio… un crimine per cui meritereste il patibolo; secondo per gravità solo a quello del Signore di Caccamo. Ma questo fa di voi un uomo che non si volta di fronte alle ingiustizie… un uomo valoroso.»
Vittore gongolò. L’aveva sempre saputo che prima o poi la vita avrebbe ripagato il suo modo di essere così diverso dal resto della popolazione sottomessa.
«Signore, possediamo un banco al mercato; chiediamo di essere ricompensati non pagando più la tassa per la vendita.» intervenne Mamiliano, volendo approfittare del momento positivo.
Manfredo stava per dire che non stava a lui concedere qualcosa del genere, tuttavia Vittore intervenne.
«No, Signore, niente di tutto questo. Non ho portato in processione la testa dell’Ammiraglio per un compenso o per il desiderio di potere, ma affinché il mio nemico potesse vedermi e tremare… tremare e concedermi quello che chiedo. Un malvagio eunuco si frappone fra me e la sua giovane sorella.»
Manfredo pensò immediatamente all’incontro avvenuto poco prima che Majone passasse per la porta della città e che Bonello lo ammazzasse. L’eunuco in carrozza intendeva infatti allontanare sua sorella da un uomo che non era al loro stesso livello, un uomo di cui la giovane donna si era infatuata.
«Chi è costui? E dove soggiorna?» domandò Manfredo, incuriosito.
«Si tratta dell’eunuco Mattia. Egli serve alla corte del Re. Tuttavia, mio Signore, costui mi ha teso un tranello proprio la stessa notte in cui l’Ammiraglio ha pagato i suoi torti. Mentre io ero alle prese con il sicario che egli mi aveva inviato, un certo greco ricercato pure dallo stesso Majone, la mia amata veniva prelevata e portata via, fuori città… ma non so dirvi dove.»
Manfredo conosceva la destinazione e stava pure per rivelarla… quando ci ripensò.
«Mi state chiedendo di ritrovarvela?» propose.
«E di intercedere con Sua Maestà affinché mi sia concessa la sua mano.» rispose il venditore di conchiglie, prendendo la palla al balzo.
Il biondo cavaliere si lisciò la barba e rispose:
«È poca cosa. Voi però dovrete accrescere le vostre referenze. Ingiuriare un cadavere è stato già qualcosa, ma è mostrando il vostro potere con i vivi che vi farete un nome. Vedrete che poi vi sarà concesso quello che chiedete, non per diritto… ma per timore.»
«Posso radunare trenta uomini!»
«Trenta uomini sono già un esercito! No, Vittore, per ciò che dovrete fare ve ne basteranno molti meno.»
«Chiedetemi qualunque cosa, Signore.»
«Lasciate perdere quello che avete fatto in questi giorni. Questo non è più il momento di infiammare l’animo della povera gente, ma di lasciare che i nobili avanzino al Re le richieste in nome del popolo. Vi chiedo quindi di aiutare un’infelice vedova che rischia la miseria a causa di un debitore insolvente. Il pugno di Majone si è mostrato inclemente perfino con le donne e i bambini, e l’uomo che dovrete colpire al nostro Ammiraglio ha dimostrato di essergli fedele e di volerlo imitare nel male.»