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I.

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Della donna fiorentina ne' secoli XI e XII, sul cominciar del Comune italico, non potremmo desiderare più autentica imagine nè più efficace. Nella mirabile rappresentazione che, tra i fulgori del cielo di Marte, Dante fa del vecchio Comune fiorentino, ponendone sè ascoltatore devoto e commosso dalla bocca di Cacciaguida degli Elisei, cavaliere e crociato; alle memorie cittadine, ai titoli gentilizi, ai desiderî ai rimpianti della vita civile, antecedono le ricordanze casalinghe, gli affetti soavi della famiglia, le santità della culla e della tomba: e su tutte queste figurazioni, che fanno di quel canto del Paradiso[7] un vero idillio domestico, diffonde la sua luce, mite e modesta regina, la donna. E non la donna idealizzata dall'amore e dall'ingegno: Beatrice in quell'episodio si sta in disparte, e solo accompagna con benigno sorriso il colloquio fra l'Alighieri e il trisavolo;[8] ma la donna del focolare, la compagna della vita, quella che con l'uomo, suo amore ed orgoglio, partecipa le gioie e i dolori, che gli guarda l'avere, gli educa i figliuoli, lo conforta al bene e ne lo fa degno, lo affida nelle avversità e nei pericoli, soccombente lo incora, nelle vittorie lo affrena, gli fa quieta e riposata la casa perchè la patria lo abbia cittadino operoso. Alla custodia di lei sono commesse le due virtù che il Poeta pone come principali del viver sociale, parsimonia e pudore:

Fiorenza, dentro dalla cerchia antica,....

si stava in pace sobria e pudica.

Non cerca sfoggio d'ornamenti,

che fosse a veder più che la persona.[9]

È allegrezza e consolazione della casa dov'ella è nata, e che non muterà con quella dello sposo, se non a tempo debito, e contentandosi, essa e l'uomo che riamato ama lei, di dote ragionevole; cosicchè «nè il tempo nè la dote faranno al padre paura». L'austerità del costume le risparmia le frivole cure e gli artifizi procacciativi di bugiarda bellezza: ella «vien dallo specchio senza il viso dipinto»; e «contenta al fuso e al pennecchio», prepara di propria mano le semplici vestimenta al marito. Un solo amore comprende nell'anima sua la convivenza non interrotta con esso, e il luogo del comune estremo riposo nella dolce terra nativa: sentimento che il Poeta chiama «la certezza della sepoltura», e «Oh fortunate!» esclama con una di quelle note che insegna l'esilio. La giovine sposa «veglia a studio della culla», e acqueta e sollazza la sua creatura; mentre la nonna, filando, racconta ai grandicelli le luminose leggende delle origini italiche e della potenza latina,

favoleggiando con la sua famiglia,

de' Troiani, di Fiesole e di Roma:

però che essa, la donna del Comune italiano, indovina e sente che questo è l'erede e il rinnovatore legittimo di quel glorioso passato; e nel nome augusto di Roma, che i fanciulli imparano dalle labbra materne a chiamar madre della loro città, sublima il concetto della patria in quelle tenere menti, e ve lo impronta non cancellabile.

Dico, la donna del Comune italiano: e quel che dalla storia di Firenze verrò, di figure femminili, delineando e colorendo, s'intenda che sia in gran parte com'un ritratto della donna italiana nella vita de' nostri liberi Comuni.[10] Però che anche rispetto a questa gentile imagine del nostro passato, le diversità e le contingenze regionali sottostanno alle ragioni di somiglianza, anzi alla identità di certe generali condizioni storiche, entro le quali si rimase involuto fino ai giorni presenti il benaugurato germe della unità nazionale. Se non che la storia di Firenze è forse la più ricca di qualsiasi altra delle città nostre, rispetto a notizie e documenti di carattere particolare e domestico; è altresì quella, dove, per le ragioni della lingua, anche tale ordine di fatti e di cose sia stato rappresentato con maggior larghezza, e sia più universalmente noto, per opera di storici, di novellatori, di trattatisti, di poeti, di comici, che la città non tanto ha avuti quanto dati alla nazione.

La donna fiorentina del buon tempo antico

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