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LE LETTURE FIORENTINE SU LA VITA ITALIANA NEL TRECENTO
I
ОглавлениеArduo assunto il mio! Dovrei descrivervi la sala, il pubblico, l'ora del tempo e l'infida stagione, gareggiare con l'artista, squisitamente elegante, che in pochi tocchi sa cogliervi la fisonomia del “dicitore„ o, come oggi lo chiamano, del conferenziere; dovrei riepilogarvi in brevi parole più d'un lungo discorso. E, ahimè, la penna non si addice a simili miracoli; è sempre quell'arnese, di cui scriveva il Giusti alla nipote, la povera signora Guglielmina, che “quanto più si sa tenerla in mano e più scotta„.
La sala è ad ogni descrizione ribelle: gli splendidi arazzi delle pareti, dove con vivi colori sono intessute antichissime storie, i fregi dei lacunari di legno intagliato, la cristallina iridescenza delle lumiere veneziane, le linee armonicamente severe d'un camino scolpito da settignanesi scalpelli, e il formicolio delle teste aspettanti con impazienza curiosa l'ora del raccoglimento e dell'attenzione, e l'incrociarsi degli sguardi balenanti da pupille di ogni colore, e la varietà degli abbigliamenti e delle acconciature, e il pissi-pissi confuso di frasi e parole d'ogni idioma e di ogni pronunzia… son tutte cose che non si mettono in carta e non si stampano, nemmeno co' lenocini della cromo-tipografia. E il pubblico? l'ho già detto altre volte: non si ritrae. Occorrerebbe un catalogo di nomi, garbatamente aggettivato sul gusto di quello che leggesi in certo capitolo del Piacere di Gabriele d'Annunzio; e ad ogni nome dovrebb'essere sovrapposta una piccola corona od altro segno blasonico, ornandone le iniziali con il profilo d'una testa muliebre. Poi, a compiere il quadro, bisognerebbe illuminarlo con la luce discreta che piove da' finestroni d'un antico palazzo, nell'ora in cui il sole, indorando le case di faccia, richiama i pensieri a' bei tramonti primaverili, quand'esso frastagliasi tra le chiome dei lecci e delle querce delle Cascine.
Meglio presentarvi, uno alla volta, i lettori che hanno salito trepidando i due scalini della cattedra del palazzo Ginori, salutati sempre da un applauso cortese che, nel suo muto linguaggio, avrebbe voluto dir tante cose.
Badate, avvertivano quei battiti di manine impazienti, badate di non passar quel termine, oltre il quale anche una conversazione criminosa languisce! Badate; il pane della scienza deve avere, mercè vostra, il lievito delicato di quello che ha l'onore e la fortuna d'essere morso da' nostri dentini! Via le orribili citazioni latine che l'orecchio non sente! ci bastan quelle del nostro paroissien, che leggiamo magari a rovescio, o l'altre del nostro blasone. Le date non son per noi, che vogliamo scordar quelle della nostra cronologia! Della storia, come della vita, non c'importano i fatti, ma le persone, e queste vogliamo vederle, conoscerle come se ci fossero presentate da un amico intelligente e discreto. Della letteratura dovete parlarci come se ci raccontaste un romanzo o una commedia; scegliete pochi libri, pochi autori, e svelateci il segreto loro spiegandoci perchè ci commuove un sonetto angelicato di Dante e sorridiamo a una novella del Certaldese. Se così farete, vi promettiamo, fra un'ora e non più, di cavarci il guanto sinistro per dare un po' d'aria ai brillanti e alle turchesi e per applaudirvi quasi foste la Duse o Sarah Bernhardt, accompagnando l'applauso d'un piccolo e rauco grido come quando il Tamagno si confessa disonorato in cospetto del pubblico… e noi, al solito, ci abbiamo tanto piacere!
E il lettore o l'oratore a cotesto applauso fa un bell'inchino, e s'accomoda sul seggiolone dorato che deve allora sembrargli imbottito di nòccioli…