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I PRIMORDI DELLE SIGNORIE E DELLE COMPAGNIE DI VENTURA
DI
AUGUSTO FRANCHETTI
XII

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Di tutt'altra natura fu la dominazione esercitata su Pisa e su Lucca fra il 1313 ed il '16 da Uguccione della Faggiuola, gentiluomo romagnolo, prode capitano, ma anche meno dello Scaligero, degno di rappresentare (come fantasticò qualche studioso) il Veltro dantesco. Più volte podestà d'Arezzo ed anche di Genova, di Gubbio, di Pisa e d'altre città, ora chiamato ed ora remosso, ora campione ora sospettato traditore dei ghibellini, egli mirava a farsi uno Stato; e vi riuscì un momento prendendo Pisa per volontaria dedizione e Lucca per forza. Benchè battesse i guelfi toscani e i reali di Napoli nella gran giornata di Montecatini del 1315 (il quale avvenimento porse occasione in quel tempo ad ma ballata anonima mirabile di fervente ispirazione partigiana), fu poco dopo cacciato a furia di popolo dalle sue due città, e morì combattendo sotto le bandiere di Cangrande.

I Lucchesi, liberatisi da Uguccione, elessero capitano e poi signore per un anno il loro concittadino Castruccio Castracani, che aveva passato la gioventù trafficando e militando in Francia e in Inghilterra, ed era stato rimesso in patria da Uguccione stesso insieme cogli altri fuorusciti ghibellini. Ma in quel momento era in carcere e condannato a morte, non ostante il valore mostrato a Montecatini, per cagion di certi omicidi e ladronecci commessi in Lunigiana. Era invero una natura d'uomo e di tiranno, tra tanti, originale e singolarissima: feroce ed ardito, accoppiava le arti civili e politiche colle virtù militari; procedeva senza scrupolo in ciò che gli consigliava la ragione di Stato, e riusciva pure a farsi adorare dai soldati e dai sudditi. Meritò insomma che il Machiavelli ne facesse il protagonista d'una specie di romanzetto storico che intitolò dal suo nome. Bandì trecento famiglie, ne sterminò altre (fra le quali i Quartigiani suoi primi fautori), abbattè trecento torri, servendosi dei materiali per costruire una fortezza, riordinò le milizie cittadine e mercenarie, le esercitò alle finte battaglie, e le capitanò vittoriosamente nelle vere. Accorto parlatore, sempre primo a farsi innanzi in ogni frangente, bastò talvolta la sua sola presenza a sedare un tumulto o a ricondurre le schiere all'assalto. Dopo quattro anni si fece attribuire la signoria perpetua; e, ripresa la guerra coi Fiorentini, li sconfisse a Altopascio nel 1325, inseguendoli poi fino a Signa; il che fu cagione che Firenze si desse a Carlo di Calabria. Già si era impadronito di Prato e di Pistoia; Lodovico il Bavaro con cui entrò in Pisa e che accompagnò a Roma, lo aveva fatto duca, ed egli sfidava una crociata banditagli contro dal cardinale legato Giovanni Orsini, quando morì nel 1328. Nè i figliuoli di lui poterono mantenersi in istato.

Troppo lungo sarebbe enumerare le signorie a cui soggiacque Pisa, innanzi e dopo quella di Uguccione; la prima fu, tra il 1284 e l'88, del conte Ugolino della Gherardesca, la cui catastrofe è sì famosa, e sulla cui memoria pesa una taccia di tradimento, che il mio amico Del Lungo con sagaci ragioni persuade, se non a remuover del tutto, almeno ad attenuare; l'ultima fu del tristo Jacopo d'Appiano, che nel 1392 assassinò il suo predecessore Piero Gambacorti, di cui era cancelliere e familiare; il figliuolo Gherardo nel 98 vendette il dominio a Giangaleazzo, riserbandosi Piombino e l'isola dell'Elba, dove la famiglia durò fino al secolo XVI.

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