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I PRIMORDI DELLE SIGNORIE E DELLE COMPAGNIE DI VENTURA
DI
AUGUSTO FRANCHETTI
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Non posso fermarmi sopra altre delle minori signorie lombarde, tutte macchiate di sangue, e pur non prive d'importanza.

Ma voglio ricordare, in grazia d'una canzone del Petrarca, i casi di Parma, la quale era passata da Giberto da Coreggio ai Rossi e da questi, per accordi intervenuti, agli Scaligeri, nel 1335. Sei anni appresso, Azzo da Coreggio, che già era stato avvocato dei nuovi signori, in corte pontificia, patteggiò coi Visconti e coi Gonzaga che se l'aiutavano a cacciare costoro dalla sua patria egli ne terrebbe la signoria per cinque anni e poi la consegnerebbe a Luchino Visconti. La sollevazione promossa da uno de' suoi fratelli e da lui soccorsa riuscì felicemente; ed il Petrarca, che entrò con Azzo medesimo, suo amicissimo, nella città liberata, celebrò il fatto in bellissimi versi

Libertà, dolce e desiato bene

Mal conosciuto a chi talor no 'l perde,

Quanto gradita al buon mondo esser dèi.

Da te la vita vien fiorita e verde:

Per te stato gioioso si mantene

Ch'ir mi fa somigliante agli alti dei…


E poi, con un giuoco di parole o con allusioni conformi al costume letterario del tempo, così continua:

Cor regio fu, sì come sona il nome

Quel che venne securo a l'alta impresa

Per mar per terra e per poggi e per piani;


E soave raccolse

Insieme quelle sparse genti afflitte

A le quali interditte

Le paterne lor leggi eran per forza,

Le quali, a scorza a scorza,

Consunte avea l'insazïabil fame

De' Can che fan le pecore lor grame.


E qui viene una erudita enumerazione di tiranni, per concludere, con esagerazione o meglio con finzione poetica, che Mastino e Alberto erano i peggiori di tutti.

E la bella contrada di Trevigi

Ha le piaghe ancor fresche d'Azzolino;

Roma di Gaio e di Neron si lagna

E di molti Romagna:

Mantova duolse ancor d'un Passerino.

Ma null'altro destino

Nè giogo fu mai duro quanto 'l nostro

Era, nè carte e inchiostro

Basterebben al vero in questo loco;

Onde meglio è tacer che dirne poco.


Al che tien dietro, per contrapposto, un cenno, più breve, dei principali fautori di libertà, fra i quali tutti naturalmente Azzo porta la palma:

Non altri al mondo più verace amore

De la sua patria in alcun tempo accese…


E, perchè nulla al sommo valor manche,

La patria tolta a l'unghie de' tiranni

Liberamente in pace si governa;

E ristorando va gli antichi danni

E riposando le sue parti stanche

E ringraziando la pietà superna,

Pregando che sua grazia faccia eterna.

E ciò si po sperar ben, s'io non erro;

Però ch'un'alma in quattro cori alberga

Et una sola verga

È in quattro mani et un medesmo ferro.


Per gustare artisticamente tal canzone bisogna dimenticare l'occasione per cui fu composta e i fatti che precedettero e susseguirono la celebrata liberazione di Parma. Ma per lo storico invece importa assai il ricordarli; poichè in tal guisa la poesia diventa altresì un documento psicologico, mostrandoci come uno de' più nobili ingegni di quel secolo, pronto ad esaltarsi ai nomi di patria e di libertà, si studiasse di rappresentare quali magnanimi eroi i suoi amici Da Coreggio, purgandoli dalla taccia di traditori. Questo, secondo il Carducci che ha illustrato da par suo l'intiera canzone, è l'intendimento politico con cui fu scritta, e che fa capolino nel congedo:

Tu pôi ben dir, chè 'l sai,

Come lor gloria nulla nebbia offosca.

E, se va' in terra tosca

Ch'appregia l'opre coraggiose e belle,

Ivi conta di lor vere novelle.


Del rimanente se è vero che nei primi tempi il governo dei quattro fratelli Da Coreggio parve imparziale e paterno, presto andò peggiorando; si mise tra loro la discordia; ed Azzo, assenzienti i più, finì nel 44 con cedere la signoria a Obizzo d'Este per 60 mila fiorini d'oro. Laonde Luchino Visconti, lagnandosi della mancata fede, si unì col Gonzaga e cogli Scaligeri, e ruppe la guerra; sinchè nel 46 convenne con Obizzo che gli retrocedesse la città contro rimborso del denaro da lui pagato ad Azzo; il quale poi, riconciliatosi cogli Scaligeri, ne ottenne nuovamente la fiducia, e nuovamente la tradì: “falso ed abietto uomo„ ben dice il Carducci, chè tale va giudicato sebbene il buon Petrarca “seguitasse ad amarlo e lodarlo, e gli dedicasse quasi a conforto i dialoghi De remediis utriusque Fortunae, e ne compiangesse la morte.„

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