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VIII.

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I FIGLIOLI DELLA CAMPAGNOLA[1]

Un certo Re (che era sempre giovinotto, e non aveva che la su' mamma viva, ma vecchia e superbiosa) andava così a spasso un giorno fuori della città e capitò a una casa di campagna, dove ci stavano tre ragazze. E queste ragazze, tutte da marito, discorrevano in fra di loro, sicchè dalla finestra di terreno, che era spalancata, si sentiva tutto quel che loro dicevano. E la maggiore diceva:—«Se dovessi pigliar marito, io per me lo vorrei fornaio, perchè allora non mi mancherebbe mai il pane, che ora si pena a guadagnarselo, e di molte volte ci tocca a stare senza.»—La mezzana diceva:—«Io poi il marito lo vorrei calzolaio, per non andar più scalza nè di state, nè di verno.»—E la più piccina:—«Per me il marito ha da essere il figliolo d'un Re: o quello, o niente! E al primo parto gli farei tre allegrezze di figlioli: un bambino con i capelli d'oro, e due bambine, anche loro con i capelli d'oro, e di più con una stella luccichente in sulla testa.» «Eh! dille grosse, almanco,»—bociarono la maggiore e la mezzana,—«chè tanto, chè tanto, è come bramar l'acqua nel deserto.»—Il Re, chè s'era fermato sotto alla finestra, sentito questo contrasto, gli venne la voglia di conoscere quelle tre ragazze, sicchè dunque picchiò di repente all'uscio.—«Chi è?»—Risponde il Re:—«Degli amici! Apritemi, chè ho bisogno d'un bicchiere d'acqua: ho tanta sete.»—Gli aprirono e lui entrò dentro. E, quand'ebbe bevuto l'acqua, si messe a sedere in una scranna; e cominciò a dimandare a quelle ragazze, chi erano e come campavano, e tant'altre cose. Poi gli disse:—«Prima d'entrare i' ho sentito un po' po' i vostri discorsi: fatemi il piacere, i' vorrei ascoltarli daccapo, per saper meglio la vostra idea circa al pigliar marito.»—La maggiore e la mezzana gli replicarono in che modo gli sarebbe piaciuto il marito, per non mancare di pane e di scarpe: ma la più piccina, da prima si peritava a dar fuori il su' pensiero, fino a che poi anche lei disse, che lo voleva figliolo d'un Re. Dice il Re:—«E se vi toccasse il figliolo d'un Re, gli manterreste proprio la promessa di quelle tre allegrezze?»—«Di sicuro, che farei tutti gli sforzi per tenere la mi' parola.»—«Ebbene!»—dice il Re:—«Sappiate che io sono figliolo di Re e il padrone spotico di questo paese. Dunque la mi' volontà è di sposarvi, perchè mi facciate que' bambini che avete detto. Fra qualche giorno tornerò a pigliarvi e vi menerò al palazzo con meco e sarete Regina.»—E detto fatto se n'andette. Le tre ragazze rimasero lì sbalordite, e poi le due più grandi cominciarono a dire:—«Chè, è una sbeffatura che quel forestiero ha fatto a te per la tu' mattia! Se fosse davvero il figliolo del Re, bada! ma che ti pare che volesse sposare una povera campagnola?»—Dice la più piccina:—«Guà! sarà così: io però ci ho fede in quel che ha detto quel signore. Non aveva punto la cera d'imbroglione. E poi si vedrà.»—Il Re, arrivato al palazzo, va su dalla su' mamma:—«Sapete, mamma: piglio moglie.»—Dice lei:—«Bene, ci ho gusto, chè almeno tu avrai l'erede al trono. E chi pigli?»—E lui gli raccontò quel che gli era accaduto. La Regina s'imbizzì a sentir quella nuova:—«Oh! che sie' matto? Un Re sposare una tangheraccia campagnola, che non si sa chi sia? E ti sie' lasciato acchiappare da simili promesse impossibili, come un mammalucco. Metti, metti giudizio, che ho paura che tu scherzi.»—«No davvero, mamma, che non ischerzo,»—dice il Re:—«Io ho detto di sposar quella ragazza e la sposerò.»—Insomma, dopo dimolti contrasti, bisognò che la Regina si chetasse, perchè lui volse fare a su' modo. Infatti, passati varii giorni, il Re ordinò un bel corteo, e presa la su' ragazza in carrozza, la menò al palazzo e gli diede l'anello di sposa. Ma la mamma di lui non la poteva patire questa sposa, e a mala pena la guardava, e la trattava come se fosse una serva. Infrattanto un Sovrano, che stava lì vicino, mosse guerra al Re; sicchè al Re gli convenne radunare i soldati e portarsi a combattere i su' nemici. Prima però di partire, fece di molte raccomandazioni perchè gli tenessero bene la sposa, che era di già gravida vicina a partorire e che gli scrivessero quando aveva partorito; anche volse che gli custodissero la su' cagna da caccia, lei pure gravida nel mese. Dopo, assieme all'esercito, se n'andò a dar battglia a' confini del regno. In quel mentre che il Re si trovava nell'accampamento, alla Regina sposa gli cominciarono i dolori, sicchè la messero nel letto e chiamarono subito due balie per assisterla. E da prima partorì un bel bambino con tutti i capelli d'oro; poi, una dopo l'altra, due bambine co' capelli ugualmente d'oro e di più con una stella luccichente in sul capo. La Regina vecchia quando vedde che la nora la premessa fatta al su' sposo l'aveva mantenuta, crepava dalla rabbia, e tutta invelenita pensò di tirarne vendetta con un brutto tiro: subito corse nel canile dove la cagna del Re aveva partorito tre cagnolini, gli prese in braccio e d'accordo colle du' balie, gli messe nel letto della sposa invece de' su' figlioli, e questi, rivoltati in du' cenciacci gli serrò dentro in una cesta e gli fece buttare nella gora che passava a piè del palazzo: poi rivenne in camera della sposa. Dice la sposa:—«Oh! fatemeli vedere i miei bambini. Dovo sono, che non gli sento?»—E la Regina vecchia, con un visuccio tutto dispettoso:—«Eh! sì, che ve ne potete tenere de' be' figlioli, che avete regalato al Re vostro marito! Non ve gli hanno fatti vedere per non darvi ascherezza. Ma tanto non c'è rimedio, e bisogna che in tutti i modi vo' gli vediate. Belli! mirate che be' canini vi son sortiti di corpo.»—A quella vista la sposa si svenne e gli entrò una gran febbre addosso, sicchè vagellava e non sapeva quel che si dicesse: ma intanto quella vecchiaccia della su' socera aveva scritto al Re che tornasse subito; e lui, fatto una pace all'infuria, veniva via a spron battuto, chè non gli pareva che il cavallo corresse mai abbastanza. A male brighe arrivato e sentite le novelle, s'incattivì a buono, e la su' mamma l'aizzava. Sicchè lui ordinò che venissero de' muratori; e, cavata di letto la moglie, la fece murar viva in cucina vicino all'acquaio con solo una finestrina per dargli tutti i giorni un po' d'acqua e un po' di pane, tanto perchè non morisse; e i servitori dovevano sbeffarla e maladirla in pena della su' mal'azione. Ma torniamo alla cesta co' bambini dentro, buttata nella gora del palazzo. Questa gora finiva in un bottaccio di mulino, e, come si sa, i mugnai ogni tanto s'affacciano per vedere se c'è acqua per far girare le macine. Il mugnaio di quel mulino s'avvedde dunque una mattina che nel bottaccio c'era una cesta a galla che veniva adagio adagio in verso la cascata: lui, lesto, corre e piglia una pertica, e tanto fa che tira a proda la cesta, e quando l'ebbe aperta ci scopre que' tre bambini sempre vivi e che piangevano dalla fame. Pigliò allora la cesta e diviato la portò in casa alla su' moglie, e tutti e due almanaccavano per indovinare chi mai avesse abbandonato lì a quel modo quelle tre creature. Finalmente disse il mugnaio:—«Senti, moglie: tu ha' sempre del latte e in casa ci sono du' capre. S'alleveranno questi bambini e si tireranno su alla meglio; e quando saranno grandi, ci potranno aiutare assieme[2] cogli altri nostri figlioli. Che te ne pare? Non sarebbe carità a lasciargli morire.»—«Sì, sì,»—dice la moglie,—«facciamo così. Si potrebbe anche ritrovare di chi sono.»—Passò del tempo e i bambini crescevano a vista d'occhio, ma belli, che avevano l'aria di signore dipinta nel viso; ma più che crescevano e la mugnaia gli aveva a noia. Non gli poteva soffrire a paragone de' su' figlioli veri, perchè loro erano bastardi; sicchè gli mandava fuori a guardare i maiali, e alle bambine gli dava della stoppaccia liscosa a filare, e quando tornavano a casa la sera, se i fusi non erano ben pieni, la mugnaia glieli sbatteva in sulle mani da farle piangere; e del pane e del companatico a que' poveri bambini gliene toccava a pena per tenersi in piedi. I bambini, che non sapevano chi fosse il loro babbo vero e la loro mamma vera, ma si credevano figlioli de' mugnai, erano disperati e si struggevano in lacrime sentendosi tanto maltrattati, e delle volte tra di loro si consigliavano come fare; ma il rimedio non c'era verso che lo trovassero, sicchè i giorni gli passavano senza consolazione. Un bel dì, che s'erano allontanati da casa co' su' maiali più del solito, arrivarono a un rio, e lì seduta ci stava una vecchina. Dice:—«Bambini! chi siete? che fate? dove andate?»—Dice il bambino:—«Oh! che volete, nonna, siamo de' disgraziati. La mamma ci tratta male, senza sapere il perchè, e si mena una vita disperata a far pascere questi maiali: e quando si torna a casa è miracolo se non se ne tocca.»—Dice la vecchia:—«Lo credo io, poveri bambini! Vo' non siete mica figlioli de' mugnai. E' v'hanno ricolto dentro una cesta nel bottaccio, ora sono parecchi anni.»—«Oh! che ci raccontate?»—sclamarono tutti e tre.—«Il vero, bambini miei. Ma se mi volete ubbidire in tutto e per tutto,»—replicò la vecchina,—«potrei anche rimettervi in fortuna. Anderesti via volentieri lontano da' mugnai?»—«Eccome!»—disse la bambina maggiore:—«Basta che si sapesse come fare. Insegnatecelo voi, e vi si promette che vi s'ubbidirà in tutto e per tutto.»—E la vecchia:—«Statemi dunque a sentire. Io vi darò tre cose; ma badate d'adoperarle proprio nel modo che vi comando. Questa scatolina non la dovete aprire se non quando v'accade di avere un gran dispiacere, ma grande. Custodite bene questo cagnolino, e quel che mangiate, prima d'assaggiarlo, lo darete sempre a lui. Con questa mazzettina poi, picchiandola in terra, potrete ottenere tutto quello che vi garba. Avete inteso? Ora, tornate al mugnaio, rimettete i maiali, e poi zitti zitti e di nascosto partitevi da casa e andate pur lontano alla ventura, dove vi menano le gambe. Addio.»—E la vecchia sparì a un tratto. I bambini si sentirono tutti rinuzzolire alle parole della vecchia e allegri tornarono a casa co' maiali, e quando gli ebbero rimessi nello stalluccio, veduto che nessuno badava a loro, presero la via, come si dice, tra le gambe, e cammina cammina fino a che non arrivarono stracchi per bene in fondo a un bosco folto, che già era calato il sole e cominciava a far buio. Disse allora il bambino:—«Sorelline, non si pole andar più innanzi; dunque è meglio fermarsi qui a pernottare.»—«Ma dove ci s'ha a sdraiare?»—Domandarono quelle.—«Oh! bella: o che non ho con meco la mazza della vecchina?»—disse il bambino.—«Che volete voi? Un bel palazzo?»—«Sì sì, un palazzo e che non ci manchi nulla dentro.»—Lui battè la mazza in terra e subito una voce per l'aria dice:—«Comandi.»—«Comando un palazzo bello in questo luogo,»—rispose il bambino. E detto fatto, eccoti apparire un palazzo tutto splendente, che era una maraviglia. Subito i bambini c'entraron dentro e quando l'ebbero girato, dice la bambina maggiore:—«I' ho fame: ci vorrebbe un bel desinare apparecchiato.»— E il bambino battuta la mazza, la solita voce domandò:—«Comandi.»—E una mensa riccamente imbandita comparve in un battibaleno in mezzo della sala. Sicchè dunque, mangiato a più potere, tutti e tre preso un lume se n'andarono nelle camere, e insaccato il letto dormirono della grossa. A bruzzolo si svegliano, e quando furono levati comparisce la vecchia.—«Bon giorno, bambini! Siete contenti? state bene?»—«Altro, se siam contenti!»—«Bravi via! veggo che m'avete ubbidito, e anch'io son contenta di voialtri. E se m'ubbidirete sempre, sarà bene per voi.»—«Oh! di certo, che vi si vole ubbidire in tutto quello che ci comandate. Diteci che s'ha da fare.»—E la vecchia:—«Or'ora qui nel bosco ci apparirà il Re di questo paese, che va a caccia: e lui vorrà entrare in questo palazzo. Fategli bell'accoglienza e invitatelo a desinare. Avete vo' capito?»—«S'è capito, sì, sì, e si farà come ci avete detto.»—E la vecchia se n'andò via. Passato un po' di tempo, ecco si sentono de' corni di cacciatori. Arriva il Re e vede in fondo al bosco quel bellissimo palazzo dov'erano alloggiati i tre bambini. Dice:—«Oh! che palazzo è questo? Chi se lo pol'aver fabbricato, se non c'era qualche settimana fa, quando venni a caccia per queste parti? Vo' sapere di chi è.»—Subito corre al portone e picchia e gli aprirono i bambini. Lui rimase a vedere quelle tre belle creatore tutte bionde, e le bambine colla stella in sulla testa; e però diceva in tra di sè:—«E' paion quelle creature che m'aveva impromesso la mi' moglie!»—I bambini lo fecero entrar dentro e lo menarono a visitare il palazzo e tutte le ricchezze e maraviglie che c'erano; e lui non rifiniva mai di guardare e rimaneva a bocc'aperta insenza poter parlare: e poi anche non sapeva farsi una ragione, come que' tre bambini fossero soli, perchè non gli era riuscito vedere punti servitori, nè padroni grandi. Da ultimo il Re stava per licenziarsi; ma i bambini gli dissero che lo gradivano a desinare con loro, e lui, nella speranza di conoscere il babbo e la mamma de' bambini, acconsentì a restarci. Colla mazzetta impertanto il bambino maggiore fece comparire una tavola bell'e apparecchiata, che non ci mancava nulla, e proprio da Re; e all'ora di mangiare i bambini invitarono il Re nella sala e lo fecero mettere a sedere: sicchè desinarono allegramente con di molti discorsi, e i bambini raccontarono al Re che loro non sapevano chi fosse il loro babbo e la loro mamma, e il Re si confondeva a tutti que' racconti. Poi, finito il desinare, il Re se ne volse andare a casa e prima di partire disse:—«Sentite, bambini: m'avete accolto tanto bene e trattato anche meglio, ch'io me ne ricorderò ogni sempre. Anzi, tra quattro giorni io torno a farvi visita e voglio che vo' venghiate a desinare a casa mia. Intendo rendervi la pariglia. E poi vi voglio tanto bene, che tanto non ve ne vorrei se fossi mi' figlioli. Addio.»—La sera, il Re, arrivato al palazzo, disse a su' madre quel che gli era intravvenuto, e che aveva invitato que' tre bambini a desinare, perchè proprio rassomigliavano a quelli che la su' moglie gli aveva promesso. La Regina vecchia si sturbò a quel racconto, ma fece le viste di non essere sospettosa.—«Oh! già, son delle vostre solite! Una volta v'incapricciste d'una campagnuola, e si vedde come andò a finire. Ora pigliate de' contadini bastardi per belle gioie, e ci almanaccate su di fantasia.»—Dice il Re:—«Non almanacco nulla, mamma. Quando gli vedrete que' bambini, conoscerete che ho ragione. E gli ho invitati a desinare, e non mancherò alla mi' parola di Re.»—«Oh! fate voi, che per me non me ne impaccio,»—gli arrispose la madre. Al quarto giorno il Re ritornò a far visita a' bambini. Intanto però bisogna sapere, che nel palazzo c'era riapparsa la vecchia e gli aveva istruiti come dovevano comportarsi.—«Se il Re v'invita a desinare, andate. Ma badate, veh! state all'ubbidienza. Non mangiate nulla insenza prima darne al cane, e non aprite la scatolina che quando vi si dia un gran dispiacere.»—I bambini dissero al Re:—«Noi si viene volentieri, ma a patto che Lei ci permetta di portar con noi questo canino. Senza lui non ci si parte da casa.»—Dice il Re:—«Menatelo pure: a me non mi dà noia.»—Sicchè tutti assieme uscirono fuori e arrivarono al palazzo del Re. Quando furono dentro, il Re menò i bambini alla presenza di su' madre:—«Guardi, mamma, che belle creature! e come sono ammodo.»—La Regina però gli guardava di traverso: poi a un tratto disse:—«Bambini, all'ora di desinare c'è tempo, e forse voi avete fame dopo una spasseggiata tanto lunga. Venite con meco in dispensa, qualche cosa da mangiare ci sarà.»—I bambini non se lo fecero dire du' volte e a salti andaron dietro alla Regina assieme col canino, che scodinzolava a tutto potere. Quando furono nella dispensa, la Regina prese una cofaccia dolce e la diede a' bambini perchè la mangiassero; ma loro, prima staccatone un pezzo lo buttarono al canino, che l'ingollò in un battibaleno, e a male brighe che l'ebbe ingollato, cominciò a dimenarsi e a buttarsi a pancia all'aria, e doppo avere sgambettato annaspando co' piedi, rimase là morto stecchito colla bava alla bocca. A quello spettacolo i bambini si messero a piangere e a urlare che pareva il finimondo: e urla e piangi, che non c'era verso di farli chetare, corse tutta la corte assieme col Re. Tutto a un tratto la bambina maggiore dice:—«Ecco il momento vero di aprire la scatolina, chè un più gran dispiacere non ci si poteva dare:»—Tira la scatolina di tasca e l'apre, e appena aperta scappa fuori un vago uccellino, che comincia a volare per tutte le stanze del palazzo. Allora sì che i bambini urlavano e piangevano più che mai, perchè quell'uccellino gli era scappato via. Si messero tutti a corrergli dietro, ma era impossibile acchiapparlo; sicchè vola di qui, vola di là, non si fermò che in cucina sopra un armadio alto e principiò a cantare:

Piulì, piulì, piulì! La vostra mamma è qui.

Il Re a sentir quel canto rimase tutto confuso e ratturbato. Dice:—«Oh! che vuol dire quest'uccellino?»—E in quel mentre l'uccellino volò sulla finestrina dov'era murata la moglie del Re; e lì daccapo:

Piulì, piulì, piulì! La vostra mamma è qui.

Dice il Re:—«Presto! comando che vengano i muratori e cavino da quella buca la mi' moglie.»—I muratori vennero e col martello smurarono quella disgraziata, che era stata tant'anni a quel modo rinchiusa, e non aveva indosso che la pelle e l'ossa, e sulle gambe non ci si reggeva. La presero a braccia e la portarono nel letto, e con de' brodi e delle medicine gli riuscì dargli un po' più di fiato. Allora il Re gli s'accostò e gli disse:—«Dite il vero e non abbiate temenza, chè son qua per difendervi a tutt'uomo; come sono andate le cose?»—Dice lei:—«Maestà! il vero è che questi tre bambini sono quelli che io gli avevo promesso di partorire al primo parto. Lei domandi alle balie che m'assisterono, chi me li portò via dal letto e ci messe invece tre cani. Lì presente c'era anche la Regina su' mamma. Senta Lei.»—Subito furono mandate a chiamare le du' balie, e loro confessarono che la Regina per astio aveva fatto lo scambio, e che gli aveva dato de' quattrini e una pensione a vita perchè stassero zitte. Si cerca la Regina, ma non si poteva trovare in nessun luogo; finalmente un servitore disse che l'aveva vista entrare dentro la carbonaia a nascondersi. Il Re ordinò che ci si mettesse foco, e a quel gran calore e fumo la vecchia dovette scappar fori, se non voleva morire affogata. Fu presa dalle guardie e legata; e il Re, radunato il tribunale de' Giudici, la fece condannare al supplizio, e senza misericordia gli tagliarono la testa. Il Re poi fece un nuovo sposalizio colla su' moglie, con grand'invito, e riconobbe i figlioli. E da quel giorno,

Se ne stettero e se la goderono, E a me nulla mi diedero.

NOTE

[1] Variante delle due fiabe precedenti. Narrata da Ferdinando Giovannini, sarto, del Montale—Pistoiese; e raccolta dall'avv. prof. Gherardo Nerucci.

[2] Assieme, insieme.

La novellaja fiorentina

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