Читать книгу La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani - Страница 6

II.

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IL CONTADINO CHE AVEVA TRE FIGLIOLI[1].

C'era una volta un contadino che aveva tre figlioli. Passava un ortolano per vendere i cavoli, l'erba, l'insalata; vede i tre figlioli di questo contadino; dice:—«Che son vostri figlioli questi?»—«Sissignore.»—«Me ne potresti cedere uno per menarmelo nel mio appartamento? Sto benone, sapete? Sono una persona che sta benone. Potrei far felice il vostro figlio.»—Il giovanetto che sente dire che quell'omo l'avrebbe preso con seco, comincia a dire:—«Oh babbo, babbo, mi mandi.»—«Mandare, ti manderò: ma bisogna che tu tomi presto, perchè io senza vojaltri non posso fare il mio interesse.»—Gli consegna il figliolo a quest'ortolano con il dire che lui in capo a un po' di tempo gnen' avrebbe portato indietro, perchè lui ne avea bisogno di quel giovinetto. Vanno via camminando per andare a i' posto di quest'ortolano. Cammina, cammina, cammina, cammina! era tanto che camminava questo giovinetto.—«Oh che è tanto lontano i' vostro posto?»—«Eh fra breve tempo te lo farò vedere.»—Alla lontananza di un mezzo miglio questo ortolano gli fa apparire un bellissimo palazzo:—«Vedi tu, giovanetto, quel palazzo là?»—«Eh lo vedo!»—«Quello è i' mio appartamento.»—«I' vostro appartamento?»—e lo guarda da capo a piedi.—«Sì.»—«Uhm! un ortolano che gli debba avere un palazzo a quella maniera!»—Si spalanca la porta quando sono vicini. Entrano drento: entra drento l'ortolano, entra drento il giovanetto; occhiano da tutte le parti.—«Vedi? questa è tutta mia ricchezza.»—«Eh, la vedo! E andate a vender gli erbaggi?»—«Eh! un'arte bisogna ch'io la faccia. Dimmi un poco, come tu ti chiami?»—«Mi chiamo Luigi.»—«Bravo Luigi. Ora è l'ora d'andarsene a rinfrescarsi, a mangiare, a bere; e poi anderemo a riposare.»—Ogni grazia di dio nella stanza da pranzo: mangiano, bevono.—«Per bacco!»—fa questo Gigi—«si sta bene qui.»—«Ehn, te l'ho detto io, che starai benone? Ora è l'ora d'andarsene a riposare.»—Una bellissima camera a Gigi; e una bellissima camera aveva quest'ortolano. Se ne spogliano e se ne vanno a riposare. Nella nottata riposano e tutto. Ecco la mattina che s'alza Gigi.—Alzati, che l'ora è tarda!»—Sente questa voce straordinaria: lo guarda in viso, all'ortolano, Gigi:—«Guarda, com'egli è strafigurato! Che affare è questo?»—«Senti, Gigi; t'ho da dire quarcosa. Vedi tutte queste ricchezze?»—«Sì, le vedo.»—«Se tu ti porterai bene, alla mia morte ti faccio erede di tutte queste ricchezze. Abbi da sapere, caro Gigi, che io vado a fare un giro. Alzati e vieni con meco.»—Quello s'alza e va con seco; e gli consegna non so quante libbre di carne umana:—«Vedi tu questa carne? Nel tempo insin che non torno nel mio quartiere dev'esser mangiata.»—«E chi l'ha da mangiare?»—«Te, l'hai da mangiare. Ahn!»—dice—«che te la mangi, sai, sennò guai a te. Addio: che al mio ritorno sia digrumata tutta questa carne.»—Lui dice di sì e il mago va via. Questo Gigi cosa ti fa?—«Io devo mangiare questa carne? Cheh! Or' ora la troverò bella!»—Va in giardino, ti fa una buca e sotterra quella carne che lui doveva mangiare. Gigi fa:—«Oh non la trova più qua. La può passare alla liscia che io l'ho mangiata, inclusive che è sotto terra. Manco male: la passerò pulita.»—In capo a d'i' tempo, eccoti i' mago a casa.—«Gigi!».—«Comandi!»—«L'hai mangiata quella carne che io ti diedi?»—«Sì.»—«Vieni con meco.»—Lo piglia per un braccio e lo mena in camera sua. Apre un libro. Carne non mangiata, ci diceva in questo libro appena aperto.—«Dunque non l'hai mangiata? Vien con meco!»—e te lo porta con seco. Apre un uscio e te lo pianta drento. Là con una scure gli tramezza i' capo e te lo divide in due parti, Gigi, povera creatura! Con un gancio l'attacca alla testa e l'attacca a i' muro all'uso prosciutto; e dall'altra parte i' corpo, quest'ignorante di mago! Raccomoda i' baroccino e si riaffaccia da i' medesimo contadino. I' padre di Gigi che sente la voce dell'ortolano, subito scappa fori.—«Eh, l'è lui; è lui; l'è lui! Eh galantomo, venite qua. O che fa egli i' mio figliolo? perchè non me l'hai riportato?»—«O vo' vedessi, come l'è ingrassato! Sta veramente bene! Voi non lo riconosceresti neppure!»—Figliolo d'una tenerissima![2]—«Rimane ozioso un po' essendo solo. Non mi potresti dare anche i' mezzano? Allora si divertono dippiù.»—«Ed io? ch' ho a rimanere senza figlioli?»—«Eh vi dirò una cosa. Se mi date il mezzano anche lo piglio volentieri, che si divertono tutti e due. Come vi riporto questi due figlioli, allora mi prendo i' minore.»—«Ecco, babbo, la mi mandi, la mi mandi anche me. Gigi è ingrassato, si diverte: mi divertirò anch'io.»—«O pigliate anche questo! Ma se non me li riportate, i' minore non ve lo mando, perchè ne ho bisogno per i' podere. Vai!»—I' caro ortolano si porta via anche codesto dei figlioli.—«Addio, addio, babbo!»—e seguitano i' suo viaggio. Quando gli erano per la strada, seguitando a camminare:—«O che gli è molto lontano ancora il vostro posto?»—Fa apparire i' solito palazzo, lui.—«Guarda, ecco là i' mio appartamento.»—Questo ragazzo comincia a chiamare:—«Gigi! Gigi!»—«E che cosa chiami Gigi? Gigi lo vedrai quando sarai a i' posto.»—Spalanca la porta; entran drento tutti e due; e rimane stordito vedendo quelle ricchezze ancor lui.—«Vieni qua con meco. Vuoi vedere i' tuo fratello? Te lo farò vedere. Tuo fratello è in villa, sai? È in villa i' tuo fratello. Te rimarrai qui adesso, infino a che 'un ritornerà di villa.»—Lo porta alla tavola d'i' pranzo: mangiano e bevono tra lui e i' giovanetto.—«Ora ce n'anderemo a riposare e domani ci si alzerà a buon'ora, perchè io ho da andare a fare un giro.»—«Oh bella! e che mi lasciate solo senza i' mio fratello?»—Si rizzano da tavola e se ne vanno a riposare.—«Come ti chiami?»—gli fa i' mago. Dice:—«Francesco.»—«Ohm! domani t'alzerai a buon'ora e verrai a vedere i' tuo fratello.»—«Ah, mi pare mill' anni a vedello.»—La mattina che la sera erano andati a riposare, la mattina si sveglia i' mago e grida:—«Francesco!»—«Che affare è egli? Guarda un coso brutto che è questo!»—«Alzati perchè l'ora è tarda e io devo partire e andare a fare i' mio interesse.»—«E i' mio fratello 'un l'ho a vedere?»—«Lo vedrai, quando io partirò di quì.»—Vestito s'era e tutto, Francesco.—«Vieni con meco!»—e gli consegna quelle tante libbre di carne umana.—«Nel tempo che io son fori devi mangiare queste tante libbre di carne.»—«Cheh? io l'ho a mangiare? Io non la mangio, sa Ella?»—«Tu non la mangi? Allora vieni con meco. Se non la mangerai, sarà peggio per te.»—E apre lo stanzino:—«Ecch' i' tuo fratello, lo vedi? Questo è i' tuo fratello!»—«Oh poero Gigi! oh poero Gigi! oh poero Gigi!»—«Eh, non c'entra poeri Gigi! Se non mangi quella carne che io t'ho dato, quel che ho fatto a tuo fratello, lo farò a i' mio ritorno ancora a te.»—E va via. Rimase solo lì a piangere e sospirare la disgrazia d'i' fratello.—«Ora l'ho acquistata anch'io! Io quella carne non me la mangio di certo.»—Gira con questa carne Franceschino che non sapeva in dove te la piantare. Andato, scese due scale; trovata una cantina, fece una buca e ci sotterra la carne in questa cantina.—«Gua'! è sotterrata; crederà che io l'abbia mangiata.»—Quand'è un certo tempo, eccoti torna a casa i' mago.—«Francesco!»—«Comandi!»—«L'hai mangiata quella carne?»—«Sì.»—«Vieni con meco.»—Te lo piglia per un braccio e te lo porta n'i' suo quartiere. Prende quel libro, lo spalanca, trova subito: Carne non mangiata!—«Ah birbante! non l'hai mangiata neppur te! Vieni, vieni a fa' conversazione con tuo fratello!»—Te lo piglia per un braccio e te lo straporta in quello stanzino. Costì con una scure e' lo divide in mezzo ancora Francesco. Con due ganci, gnene attacca per la testa e l'attacca accanto a i' suo fratello, un pezzo per di qua e un pezzo per di là.—«Oh!»—dice—«ci siete tutti e due!»—La mattina di poi, ti prende i' baroccio e se ne va a vendere l'ortaggio, gridando l'ortaggio per la strada. I' contadino riconobbe subito la voce:—«Ecco l'ortolano!»—Corre per vedè' s'egli avesse tutti e due i suoi figli con seco. E fa:—«Oh per bacco! oh galantomo! oh i miei figlioli dove sono?»—«Oh i vostri figlioli non verrebbon via neppure a regalargli tutto l'oro d'i' mondo! Come stan bene tutti e due! Ci dovete portare quell'altro nostro fratello e dirgli a i' nostro signor padre che si tornerà indietro tutti e tre insieme. Ma almeno s'ha a divertire anche quell'altro nostro fratello.»—«Babbo, babbo! ci vo anch'io, veh?»—«Bene, bene; ma con questo che torniate indietro tutti e tre.»—«Addio babbo! addio babbo! addio a quando ritorno!»—E gli era i' minore che i' padre gli voleva un bene! voleva bene a tutti, ma più a i' minore che si chiamava Antonio. Viavà con l'ortolano: cammina, cammina, cammina!—«Ditemi, galantomo, che è molto lontano i' vostro appartamento?»—«Eh in breve tempo lo vedrai.»—Gli fa apparire i' medesimo palazzo.—«Lo vedi là? Quello è i' mio appartamento.»—Tognino comincia a chiamare i fratelli.—«Cosa chiami?»—gli fa l'ortolano.—«Non ti posson sentire; sono a i' divertimento.»—Spalanca la porta, entran drento tutti e due. Comincia a chiamare Gigi e Franceschino.—«Ma cosa chiami Gigi e Franceschino? Gigi e Franceschino sono nella mia villa a divertirsi. Domani li vedrai tutti e due. Tempo è d'andare a riposassi.»—Mangiano e bevono: dopo mangiato e bevuto, se ne vanno nella sua camera, Antonio e l'ortolano; se ne spogliano e se ne vanno a diacere ognuno n'i' suo letto. La mattina a mala pena che spunta l'albore d'i' giorno, si sveglia i' mago:—«Antonio!»—E i' fanciullo si sveglia e comincia a tremare.—«Non siete più l'ortolano. Voi siete un brutto mostro e di qui voglio sortire,»—fa Antonio. Gli risponde i' mago:—«Di qui tu non sortirai. Hai viste tutte le mie ricchezze? A una mia morte, dev'essere tutto tuo.»—«Ma i miei fratelli?»—«Adesso te li farò vedere. Abbi da sapere che io vado a fare un giro. Ti lascio padrone spòtico[3] di tutte le mie ricchezze. Queste le sono quelle tante libbre di carne. Quando io ritornerò a i' mio appartamento, che questa carne sia mangiata.»—«E chi l'ha da mangiare?»—fa Antonio.—«Che l'ho da mangiare io?»—«Sì.»—«Cheh! io non la mangio di certo.»—«Vieni, vieni con meco: se non la mangi, farai come hanno fatto i tuoi fratelli; e se la mangerai, sarà ben per te. Vieni, vieni a vedè' i tuoi fratelli.»—«Oh dove sono?»—«Vieni con meco.»—Apre lo stanzino:—«Li vedi?»—«Oh poeri miei fratelli!»—Piangere, stridere, scalpitare, ch'era una pietà a vedere!—«Dunque io vado via. Addio, sai. Che tu cerchi di mangiarle quelle tante libbre di carne! Sennò quel ch'io ho fatto ai tuoi fratelli ti sarà la medicina anco per te.»—Il mago va via e rimane lì Antonio dolente e tutto, pensando alla disgrazia dei fratelli. Ti prende questa carne in mano, lui:—«Cosa ne devo fare? Eh non lo so. Mangiarla, non la mangio di certo.»—Scende giù, cammina: entra in un giardino. Vede un corridojo lungo lungo che si vedeva nè quasi nè principio nè fine; gli viene di gran carriera nel fondo di questa corsia, di quest'andito: c'era due cani. E gli butta in terra quella carne. S'avventorno a codesta carne umana, te la inghiottirno in un battibaleno questi due cani e sparinno. Antonio gli torna addietro. Eccoti il mago n'i' suo appartamento.—«Antonio!»—«Comandi!»—«Cos'hai fatto della carne?»—«Mangiata.»—«Se l'hai mangiata, sarà ben per te.»—Te lo prende per un braccio e te lo porta n'i' suo quartiere.—«Dunque l'hai mangiata?»—Prende i' libro, lo spalanca: Carne mangiata.—«Bravo Antonio!»—te l'abbraccia per l'allegrezza.—«Caro Antonio! Te sarai l'erede di tutte le mie ricchezze. Abbi da sapere che io vado a girare i' mondo. So molto bene ch'è sposo un mio fratello: debbo andare allo sposalizio di mio fratello. Vieni con meco.»—E te lo mena con seco e te lo mena giù in una stalla, che ci era una cavallina ed un cavallo in codesta stanza.—«A questa cavallina gli devi dare quelle tante libbre di fieno il giorno da mangiare, gli devi dare a questa fonte qua la tal'acqua da bere. E il cavallo gli devi dare carne di quella bona da mangiare, e dargli un vassojo di paste stritolate in questo vassojo e due fiaschi di vino di quello scelto. Tutti i giorni li devi custodire così.»—«Ho capito.»—«Poi vedrai al mio ritorno che sarò io per te!»—Si dà la combinazione che i' mago va via.—«Addio! Addio! A rivedersi.»—Tanto la sera che la mattina gli dovea dare questa roba da bere e da mangiare alla cavallina; al cavallo carne di quella bona, paste stritolate n'i' vassojo, con vino scelto. La cavallina n'i' quel mentre che faceva la porzione di quello che dovea mangiare i' cavallo, fa:—«Antonio! Antonio! Antonio!»—«Chi mi chiama?»—«Antonio, son io sai che ti chiamo.»—«Che sia la cavallina?»—«Sì. I' mangiare che devi dare a me, dallo a i' cavallo; e i' mangiare che devi dare a i' cavallo, lo darai a me. Ha' tu 'nteso?»—Fatto questo discorso:—«Antonio, prendi cotesta strada di cotesto viuzzolo, cammina; e quando sarai alla fine di codesto viuzzolo, vedrai una caldaja che bolle. Ma fai lesto, sai? e pensa bene e fai quello che dico. Quando sei presso a quella caldaja che bolle, devi inzuppar la testa drento e tirarla su subito.»—«O che mi vuoi fa' fare?»—«Fai quella capelliera drento nella caldaja e tirala su subito.»—Aveva dei capelli inanellati, una cosa veramente bella, Antonio. Approssimato Antonio a codesta caldaja che la vede bollire, dice:—«Eh, com'ho da fare a metterci i' capo drento?»—ci pensava.—«Diamogli retta!»—Apparisce lui senza paura, attuffa i' capo 'rento e lo ritira subito e si vede tutti i capelli inanellati d'oro. Ritorna dalla cavallina.—«Hai tu visto, come stai per bene, ora? Più bello assai che non eri!»—Ordine d'i' mago che la cavallina e' l'aveva da bastonare tre volte a i' giorno:—«I' cavallo tiemmene di conto.»—Dice la cavallina:—«Vedi, Antonio, devi prendere quella stanga. Dagnene a i' cavallo, dagnene, lascialo anche stramortito in terra, ma dagnene più che tu non hai forze nelle mani. Devi andare n'i' quartiere d'i' mago, ci troverai bussola, specchio e pettine e ci troverai un nerbo, e questo ch'è qui con una capocchia così grossa. Prendilo questo nerbo e vieni davanti a me.»—Dice:—«Sì.»—Questo nerbo e' doveva prendere, una bacchetta che teneva accanto a i' letto e a i' cavallo dargnene:—«Non vuol dir niente!»—Come di fatti Antonio fece.—«Via, ora; si deve andà' via. Affranca la porta. Presa tutta questa roba, montami a cavallo a me.»—Antonio monta a cavallo alla cavallina e si chiude la porta. Via, via, via, a spron battuto, l'andava questa cavallina! Il fatto si è che dopo d'i' tempo eccoti i' mago n'i' suo quartiere:—«Antonio! Antonio!»—Antonio non c'era costì.—«Come va?»—Va nella stalla, apre; vede i' cavallo quasi stramortito in terra, non ci vede più la cavallina.—«Ah!»—dice—«Antonio me l'ha fatta! Antonio me l'ha fatta! Antonio me l'ha fatta!»—Va su n'i' suo quartiere; non ci trova nè specchio, nè pettine, nè bussola, nè nerbo; non ci trova neppure la sua bacchettina che lui aveva, fatata:—«Ah birbante! mi ha messo in mezzo!»—Quel cavallo, i' mangiare che lui gli faceva dare e tutto, ogni cinque minuti gli faceva cento miglia. Lui frusta i' cavallo per via che si rizzasse. Poera bestia! si rizza! ma ricascava giù. Ti prende due fiaschi di vino, d'i' meglio che lui avesse, e gli comincia a fa' de' bagnoli. Bagna oggi, bagna domani, bagna doman l'altro...—«Poerino! Guardiamo se si può trottare.»—Franca la porta, va per vedere se si può trottare, i' cavallo gli ricasca giù. E bagna di bel novo, e bagna di bel novo, consumò non so quanti barili di vino. Si riprovò a montar su.—«Trotta! trotta!»—i' mago gli diceva a i' cavallo—«Trotta, trotta.»—Poera bestia, gli trottava, ma non come gli avrebbe dovuto: gli era tutto percosso. Comincia un pochino a assodarsi. La cavallina:—«Antonio!»—«Cosa vuoi, cavallina?»—che lui gli era sopra.—«C'è il mago sai, dietro.»—«Cosa devo fare, cavallina?»—Butta in terra i' pettine.»—Butta in terra i' pettine; gli viene un bosco folto, che quasi quasi non ci passava nemmeno l'aria. Fece sì tanto i' mago con le sue sclanfie che aveva nelle mani, cominciò a buttare a terra tutto i' bosco. Butta giù, butta giù, butta giù, venne i' momento che venne a passare tutto i' bosco così folto. Dice la cavallina:—«Oh Antonio! e' ci è i' mago, dietro, un'altra volta.»—«che ho io a fare, ora, cavallina mia cara?»—«Butta giù lo specchio in terra.»—Butta giù lo specchio e gli viene una montagna crepitosa. I' cavallo non ci potea salir di certo, e poi fornita gli era questa montagna di porcherie, che quando eran saliti, sdrucciolava giù. Sdrucciola oggi, sdrucciola dimani e ce la passa poi alla fine.—«Antonio?»—«Che c'è'?»—«C è i' mago. Butta giù la bussola!»—E butta giù la bussola. E apparisce un'altra montagna più crepitosa che di quella dello specchio. Ma anche quella e' la passò e andò dalla parte di là per volerli agguantare, tanto la cavallina, quanto Antonio.—«Antonio? E' c'è i' mago un'altra volta. Ma senti, tu non hai la bacchettina fatata? Prendi e batti. Sentirai dire: Comandi, signore. Devi comandare che apparisca una montagna crepitosa, tutta coltelli.»—Antonio gli ubbidisce e fa apparire una montagna crepitosa, tutta temperini, coltelli, rasoi, trincianti, bene affilati e tutto. I' mago che si vede apparire chesta montagna:—«Birboni! me l'hanno fatta! me l'hanno fatta!»—Andava per voler ingegnarsi di voler salire, e ora gli cascava un dito, ora quell'altro. E gli era un pezzo in su quasi per strapassarla, gli si stacca dove s'atteneva con un dito a due rasoi, gli vien di sotto e s'affetta i' mago come una rapa. La cavallina:—«Tu non sai, Antonio? Si pole andare placidamente ora. Non importa più che io corra gran cosa, perchè i' mago non esiste più nin chesto mondo. La prima locanda che te troverai, fermati; perchè ci s'ha a rinfrescare, pernottare e tutto. Ma bada con questo che quel che mangi te, voglio mangiare anch'io; e accanto a i' tuo fianco m'hai a tenere, tanto a mangiare, quanto a dormire e tutto.»—Dice Antonio:—«Cara cavallina; noi siamo prossimi a una locanda e anche a una locanda regia.»—«È quello che io bramo.»—Si ferma questo signore a questa locanda. Vanno a prender la cavallina:—«Grazie, grazie: fermi! La cavallina che non sorta da i' mio fianco.»—«Non si può mettere nella rimessa, con rispetto, nella stalla?»—«No, no, no! deve stare accanto a i' mio fianco.»—Entra nella sala di pranzo, entra, si pianta la cavallina accanto a i' suo fianco sur un divano a sedere. Gli portava da mangiare, gli dava da bere, la custodiva in tutto. Dice:—«La camera! preparatemi una camera.»—Dicono i camerieri:—Guardiamo un pò se la mette a letto la cavallina.»—In camera in dove devo stare io, accanto a i' mio letto ci deve stare un divano grande; se non basta uno, anche due assieme; e sopra a riposare la cavallina accanto a i' mio fianco.»—Il fatto si è, accomodata la camera d'Antonio, accomodato per riposare la cavallina:—«Potete chiudere i' quartiere e di drento cercherò io di mettere i' mio segreto[4].»Andato via i servitori, si chiude drento co' i' segreto, Antonio. Dice la cavallina:—«Caro Antonio, io qui non ci voglio dormire. Antonio, sai? voglio dormire n'i' letto tuo, in dove stai te, e si farà la coppia fra noi due.»—Dice:—«Una coppia di calci!»—Vanno a letto. Dice la cavallina:—«Alzati Antonio!»—Antonio s'alza:—«E che devo fare?»—«Prendi i' nerbo d'i' mago in mano. Cingitelo bene alle mani; e vieni di drieto a me. Ma senti Antonio, se te non fai questa operazione come devi, siamo traditi tutti e due.»—«Traditi tutti e due? E come debbo fare?»—Devi prendere il nerbo. Quanta forza che tu ti trovi addosso, cerca a darmi tre colpi fortissimi n'i' bel mezzo a i' codrione.»—«Ma ti farò male, sai, cavallina?»—«No, no; tu non mi fai più niente. Anzi più sode che me le dai e più meglio[5] è per me.»—Antonio si mette a far quest'operazione; ma con le lagrime agli occhi perchè temeva di non le far male. E quella si raccomandava perchè gnene desse con quanta forza aveva nelle mani. Fatto si è, Antonio le dà tre colpi ne i' bel mezzo a i' codrione, viene a squarciarsi un pezzo in qua, un pezzo in là e si viene a scoprire una bellissima femmina, che pareva che fosse di latte e sangue. Mangiato, avevano mangiato; se ne andiedono a riposare. La mattina a bon'ora si alza Antonio e dice:—«Ebbene, ora, bella femmina, con che ti devo vestire?»—«Non hai la bacchettina costì?»—Picchia la bacchettina; sente dire:—«Comandi!»—«Comando che sia rivestita da quello che lei si merita.»—A tutto in un tratto la vede tutta codesta bella femmina rivestita da Regina, con la corona in testa e tutto.—«Sai cosa devi fare? Ora devi battere la bacchettina fatata che te hai dell'Orco e comanda di essere straportati tutti e due in Portogallo.»—Figlia d'i' Re di Portogallo gli era; che di faccia a i' palazzo d'i' suo signor padre batte la bacchettina fatata e fa uscire un bellissimo palazzo sulle Meraviglie, di faccia a quello d'i' suo signor padre, alle dodici e mezzo di notte, con servitù e tutto. Un palazzo bene ammobiliato! Antonio batte con quella bacchettina:—«Comandi signore.»—«Da mangiare d'i' meglio che ci pol'essere, da Regina com'ella è!»—Si mettono a mangiare tutti e due. Non istorno ad andare a riposarsi; essendo una cislonga di qua e una cislonga di là, si mettono tutti e due sdrajati in queste cislonghe, di faccia a i' terrazzino de i' signor padre. I' maggiordomo, la mattina che si alza, va a i' balcone; a un tratto:—«Ahimè, che affare è questo?»—e vede che avevano nella nottata stampato un palazzo sulle Meraviglie; I' maggiordomo tanto mira quella donna e quell'omo (due be' giovani tutti e due, ma belli! tanto belli!), che gli rimasono impressi intorno a i suoi occhi d'i' maggiordomo. Corre i' maggiordomo alla camera d'i' Re:—«Maestà! Maestà! Maestà!»—A un tratto si sveglia e dice:—«Cosa c'è? cosa c'è? cosa c'è?»—«Ah una gran bellissima meraviglia, Maestà mia cara. Di faccia a i' suo palazzo è stato fabbricato un palazzo sulle Meraviglie nella nottata. C'è due bellissimi giovani. Se è moglie e marito questo io non lo so. Ma è un gran bellissimo giovane, con capelli d'oro tutti inanellati e una gran bellissima femmina.»—«Fai lesto a farmi vestire; voglio vedere quaiccosa ancora io»—fa i' Re. Vestito che è, va insieme co' i' maggiordomo.—«Vede, Maestà?»—«Oh che belle creature che son quelle, maschio e femmina: fanno proprio innamorare.»—E i' Re si sentiva brillare i' suo core dall'allegrezza, di mirare quella bella femmina: chè, si vede, i' sangue tirava. Era sua figlia, ma lui non lo sapeva. Chiama un servitore suo, Fido, e lo manda su i' Ponte—Vecchio[6] da i' suo orefice, che gli portasse una cassetta de' più bei vezzi che lui avesse, ricchissimi. Porta la cassetta l'orefice a Sua Maestà, che sceglie un vezzo dei più ricchi che lui avesse, lo mette in un vassojo di argento e ne manda a fare un regalo a questa bellissima femmina. Il Guardaportone che v'era alla porta, dice:—«Dove va Lei?»—«Si può andare da questi signori a fa' visita?»—«Sì. Aspettate, che passo parola!»—Passa parola.—«Dite che passi!»—Passa Fido, sale:—«Signori, si compiacciano che io possi passare?»—«Passate, passate, passate;»—tanto lei che lui.—«Sua Maestà Le manda questo piccolo regalo. Scuserà che lui ha preso questo ardire.»—«Oh! Oh! anzi! che è stato a incomodarsi. Ringraziatelo fortemente.»—Lei gli fa:—«I' avrei piacere molto che con le sue gentilissime mani me lo piantasse a i' collo i' Re.»—«Io gli porterò l'imbasciata e sentiranno la risposta che i' Re gli manderà.»—Va da i' Re e gli dice:—«Questo e questo, Maestà, m'ha risposto. La ringrazia infinitamente, ma gradirebbe che Lei con le Sue mani gnene mettesse a i' collo.»—«Benissimo!»—dice i' Re:—«È quello che io ci avrò piacere. Sai, devi ritornare là e dirgli che indispensabilmente che domani a ore quattro, gradirei che fossero a pranzo da me, se lo vogliono accettare.»—Va i' servitore, prende licenza da i' Re e gli porta l'imbasciata a questi due giovani.—«Si gradisce con tutto i' vero core di venire a pranzo da Sua Maestà; è quello che si brama. Anzi, venite qua. Tieni, questo è i' vassojo e questo è i' vezzo. Riportalo addietro; che oggi quando verrò a pranzo, Sua Maestà con le sue proprie mani me lo metterà a i' collo. E ringraziatelo di bel novo.»—Quando l'è l'ora, Sua Maestà fa attaccare la carrozza a sei cavalli, la carrozza più bella di gran gala che lui avesse, per andare a prendere questi giovani. Entra in carrozza e non fa altro che svoltare e accostarsi a i' palazzo di questi due giovani. Dato di braccio la servitù a i' Re, che scendesse di carrozza e salisse la scala d'ingresso, per entrare nel palazzo di questi due giovani; entra nella sala in dove l'erano a sedere. Dice Sua Maestà:—«Signori, ben trovati.»—«Oh Sua Maestà!»—Si rizzano tutti e due; si rizzano per fargli la sua riverenza e tutti i suoi complimenti e tutto.—«State pur fermi. Ora è i' tempo di partire di qui ed entrare ne' miei appartamenti, d'i' mio real palazzo.»—«Signore»—la fa la femmina—«ora che sono arrivata nel vostro appartamento mi farete il regalo di mettermi il vezzo che mi avete mandato.»—«Più che volentieri. Fido!»—Siccome questa bellissima femmina faceva tanto per farsi riconoscere al padre che l'era sua figlia, perchè l'aveva un segnale nel collo, prossimo alle reni, d'una voglia d'un bellissimo granchio; si leva i' velo che aveva a i' collo. Eccoti i' padre che Fido gli avea portato i' vassojo con i' vezzo; prossimo a lei ci era una bellissima sieda; che i' padre prende i' vezzo per mettergnene a i' collo, quando gli è di dietro per fermargnene con la fermezza e tutto, a un tratto fa:—«Ohimmè!»—e si sviene.—«Uh! che è seguìto? cosa c'è? cosa c'è?»—«Portate roba da far rinvenire Sua Maestà!»—Rinviene:—«Se non fussi diciott'anni che mia figlia è fori della mia reggia, che rimase incantata da un mago, direi che fosse mia figlia, direi.»—«Signor padre, m'inchino davanti a Lei.»—Si rizza e s'inginocchia davanti a lui.—«Sei mia figlia, proprio?»—«Sì, mio padre, che io sono Sua figlia proprio. Chesto è stato i' mio liberatore, che due suoi propri fratelli, i' mago che incantò me, gli squartò tutti e due,»—e gli racconta tutt'i' caso com'era seguito, lei. I' Re:—«Bravo Antonio! Bravo Antonio! Bravo Antonio! Dunque sarà, figlia mia, il tuo legittimo sposo.»—«Crederei a meno, signor padre.»—I' padre te l'abbraccia e te la bacia dalla contentezza.—«Ora è l'ora d'andare a pranzo,»—fa i' Re.—«Ci anderemo a pranzo, ma un momento!»—fa i' giovane.—«So molto bene che è vivente ancora i' mio poero padre. Voglio, qui assolutamente, carissimo socero, che sia a pranzo, ancora lui.»—«Dove si va a prenderlo?»—«In un momento lo farò venire in questo palazzo.»—Entra nella sala d'udienza la sposa, la sposa che doveva essere e i' Re vecchio, i' padre della ragazza. Lui prende la sua bacchettina che aveva sempre accanto a i' fianco e la batte. Battuta che l'ebbe, si sente dire: Cosa comanda?—«Comando che n'i' mio palazzo sia apportato a i' momento i' mio povero padre.»—Apparisce i' suo povero padre, con una barba che gli arrivava a i' ginocchio, vecchio decrepito da i' dispiacere di aver perso tutti e tre i suoi figlioli.—«Signori, Maestà!»—si mette inginocchioni—«cosa comandano? Sono mezzo fori di me.»—«Poero vecchio!»—fa Antonio,—«n'avevi tre de' figli, eh? Come si chiamavano?»—«Uno Gigi, uno Francesco e uno Antonio.»—«E dovresti, buon vecchio, riconoscere vostro figlio Antonio. Lo riconosceresti?»—«Altro s'io lo riconoscerei! Nell'essendo n'i' podere tra di loro fratelli, facevano i' chiasso, cascò all'indietro e si fece una fitta nella testa sopra un sasso[7].»—Antonio che si leva i' cappello, gira la testa. I' padre:—«Se non credessi che voi fussi un Re, direi che voi fusse mio figlio Antonio.»—«Sì, carissimo padre, che io sono vostro figlio Antonio.»—Che benchè avessi quella barbona lunga che gli passava i' ginocchio, fa un salto, abbraccia i' padre e lo bacia.—«Dimmi un po', Antonio, e i tuoi fratelli?»—«Eh, carissimo padre, abbiate da sapere che questo ignorante di ortolano era un mago. Sapete? me li fece vedere tutti e due squartati n'i' mezzo.»—«Ah poeri miei figli! poeri miei figli e poeri miei figli!»—«Badate, carissimo mio padre, non esistono più a i' mondo i miei fratelli, ma neppure esiste più i' mago. Tanto ho fatto, che l'ho fatto morire. Alò[8], guardie, servitori e tutti, prendete i' mio poero padre, mettetelo in un bagno e lavatelo da capo a piedi e levatigli tutta quella barbaccia che lui ha davanti. Rivestitelo da gran signore da capo a piedi. Mettetegli una bella croce da cavaliere e lo spadino a i' fianco. Ora è i' momento d'entrare a pranzo.»—Se ne vanno a mangiare e bere. I' giorno agli spassi, divertimenti e tutto. Tornati dallo spasseggio entrano n'i' suo real palazzo. Feste per un par di mesi. A tutti i poeri della sua città, diedono pane, vino e carne; e se ne stettero, e a me nulla mi dettero.[9]

NOTE

[1] Variante della fiaba precedente. La prova di antropofagia si ritrova specialmente nelle tre novelle siciliane citate: Lu Scavu, La manu pagana, Ohimè. Gli ostacoli che assicurano la fuga si ritroveranno in Le due Belle—Gioje della presente raccolta. Vedi.

[2] Specie d'imprecazione che il narratore manda al mago. Nota che mago qui deve valer quanto Orco. Già l'Orco in tutti i dialetti lombardi si chiama: El mago.

[3] Probabilmente dispotico.

[4] Equivale a quel che a Napoli si direbbe mettere il lucchetto. Ma veramente le toppe son di solito fatte in Toscana diversamente che in Napoli. Nel Napoletano d'ordinario la serratura ha due buchi, uno da ciascuna parte dell'uscio, e chi vuol chiudersi in camera, toglie la chiave dal buco esterno e la mette nello interno e dà poi la mandata. In Toscana invece le toppe per lo più hanno un buco solo dalla parte di fuori e chi vuol chiudersi in camera, con un piccolo ingegno ferma la stanghetta in guisa che dallo esterno non lo si può più mandare indietro neppure con la chiave. Questo ingegno appunto si chiama segreto.

[5] Più meglio, più peggio, son generalmente usati in tutti i dialetti italiani, e non ne manca esempli negli scrittori. G. B. Basile, Le avventurose disavventure, Att. I, sc. 1.

Che vita più peggior credo non sia

Del pescator, ch'ogni ora

Nel mobil flutto la sua vita arrischia.

[6] In Firenze, sul Ponte Vecchio, di qua e di là son tutte bottegucce d'orefici e giojellieri.

[7] Un contrassegno identico, che serve poi a distinguere il segnato dal suo Menecmo o Simillimo, si trova nella Cerva fatata, trattenimento primo della giornata nona del Pentamerone. Ed eran di moda simili trovati nelle commedie, quando le finivan presso che tutte con agnizioni. Dico il medesimo di quella voglia del granchio, per cui la principessa è riconosciuta dal padre.

[8] Alò, suvvia. Per fermo dal francese Allons.

[9] Non so resistere alla tentazione di appor qui una annotazioncella interpretativa, contra il mio proposito. In questa fiaba è contenuto un mito solare evidentemente. Il mago è l'inverno; Antonio è il sole; la Principessa è la terra che per opera del sole smette il lurido ammanto che ne copriva le bellezze. Tutti i particolari ritraggono di questo carattere, compresi i capelli d'oro d'Antonio e la voglia che allude a un segno del Zodiaco.

La novellaja fiorentina

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