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Venerdì 30 maggio 2009

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Il Russo, il Coreano e il Giapponese


Il mattino di domenica 31 maggio ci svegliamo presto, liberiamo la stanza dell’hilton, salutiamo le “gentili” signore alla reception e carichiamo i pesantissimi bagagli in auto.

È fuori dalla portata umana stabilire un limite ai bagagli da portare. Poi però è fuori dalla portata umana anche trasportarli. Con ben due ore di ritardo sulla tabella di marcia, arriviamo al residence che sarebbe diventato la mia nuova casa per i prossimi tre mesi. Benvenuti all’Oakwood Long Beach Marina Residence! Alla reception mi consegnano tessera e chiave elettronica per il parcheggio e per la porta, salgo le scale, apro la porta della camera 202 e TA-DA!!!

Diamo un caloroso benvenuto al nuovo arrivato, Amos dalla Svizzera!


L’appartamento è vuoto, ma al centro della stanza c’è una catasta di bagagli (anch’essa regolarmente al di fuori della portata umana) e sulle mensole in bagno shampoo e dentifricio con sinistre etichette scritte in giapponese. Intuisco la compagnia. A due minuti dal residence troviamo un motel tranquillo e poco costoso per piazzare Andrea per due notti.

Il panorama non è granché, ma il prezzo è basso ed è attaccato al residence. La camera è più spaziosa di quello che ci si aspettava e il letto è gigante, un King size. Torniamo a LA, riportiamo l’auto e prendiamo uno shuttle per ritornare di nuovo al residence.

Andrea sosteneva che “Non ci sarà mica uno shuttle per tutto eh! Se no cacchio fai, chiami e gli dici portami qua e loro ti portano ESATTAMENTE dove gli chiedi?”. Io: “Certo man”. Devo ammettere però, che senza Andrea non sarei andato lontano, visto che dopo una settimana all’Hilton non riuscivo ancora a trovare la mia stanza, tanto che una sera ho passato tre minuti a cercare di aprire la camera 7039 invece della 7037.

Poi lui si è accorto e mi ha trascinato via prima che qualcuno aprisse.

Ritorniamo al residence, apriamo la porta e, TA-DA!!! Diamo un caloroso benvenuto al nuovo arrivato “Amos dalla Svizzera!”. Questa volta ad aspettarci non c’era soltanto una catasta di bagagli, ma anche i legittimi proprietari.

Il Russo: lui sì che è un soggetto. Si chiama Igor (tranquilli, se vi aspettavate Dimitri c’è anche lui, ma lo descrivo dopo) e ha 23 anni. “DA!”. Il suo inglese non è da Oxford, dunque parla a monosillabi. Difficile è capire i meccanismi con cui ragiona. Infatti, ancora non mi spiego perché appena conosciuti vuole farci mangiare a tutti i costi. Ci sbatte sul tavolo due ciotole di fragole, taglia un ananas a cubetti e ci porta del succo. Senza chiedere. “DA!”. Lava i piatti, sistema la cucina e pulisce il pavimento, e lo fa con manifesti sintomi da syndrome d’iperattività schizofrenica. “Andiamo in piscina? A giocare a pallavolo? Ping-pong?”. Il tutto nei primi quaranta minuti di conoscenza. Una brava persona ma una pioda assurda. “DA!” (per chi non l’avesse capito ogni due parole ci infila un “DA!” che vorrebbe dire “Sì” in russo...).

Il Coreano: si chiama Lee e mi ricorda un po’ Jin di Lost. Ha 28 anni ed è quello che è qua da più tempo, nove mesi, il che dovrebbe implicare una conoscenza dell’inglese perfetta.

È triste perché molti suoi compagni se ne sono andati e si sente solo. Ordinato ma di poche parole.

Il Giapponese: lui è un’altro soggetto. Si chiama Hiro, come quello di Heroes, e fa il DJ. Ha 23 anni anche se pare un sedicenne arrapato. Sempre contento e spensierato, salta scuola ogni due giorni.

Il Russo ci “invita” a cena. A dire il vero ci stressa per andare a mangiare e poiché Andrea ed io sono 24 ore quasi che non mangiamo ne approfittiamo. Ceniamo malamente al California Pizza Kitchen, una sorta di catena di ristoranti per famiglie in stile californiano, con il Russo che si lamenta visto che oltre a zuppa non mangia nulla, e la minestra che gli hanno servito, l’unica sul menù, è disgustosa. Torniamo all’hotel e sentiamo bussare alla porta. Apro e mi si presenta un tizio pallido con le guance rossicce e i capelli biondi. Entra come se fosse camera sua e mi chiede dove è Lee, sventolandomi delle birre con percepibile euforia alcolica. Non poteva che essere Il Germanico: quello con cui mi trovo meglio fino a ora.

Gentile, ultradisponibile ma mega, troppo festaiolo. Il suo nome è Patrik ma in America tutti lo chiamano “Petrik”. Viene da Amburgo ed è qua da due mesi.

Il Coreano sta già dormendo, allora il Germanico si gira verso di me e Andrea e ci chiede se ci vanno una o più birre. Accettiamo e si aggrega a noi anche il Russo, che porta una bottiglia di cognac.


Ma i russi non bevono Vodka?! Questo tipo è proprio strano. Dopo qualche birra e riflessione, ci raggiunge il nostro prossimo compagno, ovvero:

Il Belga: (se vi state chiedendo quale diavolo di miscuglio etnico ci fosse nel mio appartamento, beh, me lo sto chiedendo anch’io). Ha 18 anni, si chiama Jean Frivole ed è sicuramente il più spanato di tutti. Anche lui alloggiava al residence ma l’hanno buttato fuori qualche mese fa. “Troppa festa”, mi dice, e non ho dovuto aspettare molto per capire che cosa intendesse.

A fine serata io e Andrea ci dirigiamo verso il Sea Port Hotel, che al buio fa ancora più paura. Avete in mente quei motel sulla strada con insegna luminosa che si vedono nei film? Ecco, proprio uno di quelli sembrava. Controlliamo che tutto sia a posto e a parte che non c’è l’acqua calda, almeno il letto sembra non essere di legno. Il materasso intendo.


“Man, dopodomani torni in Svizzera e mi lasci qua con quell Russo? (Cambiando discorso rapidamente) Non hai tipo la netta sensazione che qualcuno potrebbe entrare da un momento all’altro e accoltellarti? Se ci pensi è una location perfetta!”.

“Vaf******* man!”.

“Buona notte man”.

L'Oscar di Cioccolata

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