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VII.

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Pareva a Giacomo d'essersi tolta dal cuore una montagna di piombo, tanto il colloquio tenuto colla Rosa lo avea consolato. Lasciatala a Cedarzis, ei mosse verso casa con passo più celere. Trovò sua madre intenta al desinare; suo fratello e sua cognata non erano ancora ritornati da messa. Fu contento di trovar lei sola, e tosto le narrò ogni cosa. La buona donna, che si avrebbe cavato il sangue dalle vene per veder felici i suoi figli, cominciò a dargli coraggio, e a dolcemente rimproverarlo per non aver prima chiarito la faccenda; poichè, diceva essa, a quest'ora si sarebbe già ripiegato, e tu saresti fuori di pena. Intanto vennero anche gli altri, e insieme concertarono di ricorrere a compare Giovanni, il quale, nella speranza di far suo l'armento, avrebbe volentieri prestato il denaro. Giacomo poi si sarebbe affrettato di ritornare al mestiere, dove col suo assiduo lavoro poteva in breve coprir questo debito, indi ripatriare e sposarsi la Rosa. Così stabilito, desinarono lieti, e poscia il giovane cominciò subito a darsi le mani attorno. Fra la scelta e la compera del legname, l'approntare la zattera e due o tre corse fino a Paluzza per causa di compare Giovanni, che in quest'affare voleva camminare coi piè di piombo, il povero giovinotto consumò tutta la settimana, senza che gli restasse tempo di andar a vedere la Rosa. Questa lo aspettava ogni sera coll'impazienza propria degl'innamorati, e non vedendolo mai, cominciò ad immalinconire. Riandava tutte le parole del lor ultimo abboccamento, e ogni giorno più parevale intravedere il pensiero d'abbandonarla. A principio scacciava tale idea come una tentazione, si rimproverava d'ingratitudine. Quel povero giovane aveva tanto fatto per lei, che il sospettarlo così le pareva ingiustizia; ma un po' alla volta il mal umore offuscò tutte queste ragioni, ed ella trovavasi misera, afflitta, e assai più malata di quando giaceva. Sul tramonto, quando aveva spacciate le sue faccende, mettevasi a filare sulla porta della casetta. Guardava ansiosa verso Arta, una lieve speranza la rincorava; ma a misura che mancava la luce, ogni speranza svaniva. Traeva sempre più lenta le agugliate; le mani le cadevano, sentivasi serrare il cuore e finiva col ritrarsi a piangere nel suo povero letticciuolo. Venne finalmente il sabbato sera, e Giacomo, benchè fosse stanco per molte corse che aveva dovuto fare, capitò a Cedarzis a vedere di lei. La fanciulla lo accolse malinconica, per altro non si lagnò. Era venuto: ciò valeva per essa più di qualunque scusa, e quando ei le prese la mano e fisandola con affettuosa premura pareva ricercare il perchè di quella sua malinconia, ella gli aveva già ampiamente perdonato, e il racconto che fece degli impicci che lo avevano impedito di venire, non servì che ad accrescerle il rammarico d'averlo ingiustamente sospettato, sicchè procurava di compensarlo con più di affetto. Parlarono a lungo, il tempo volava per essi graditamente, e l'idea di doversi presto separare veniva addolcita dal proponimento di patire, e di affaticarsi l'uno per amore dell'altro. Disse Giacomo del come aveva aggiustate le sue faccende; disse ancora come a forza di reiterate corse e preghiere aveva ottenuto, che tra le molte zattere in quella settimana approntate fosse prima a partire la sua, e che perciò gli conveniva darle in quella sera l'ultimo addio, mentre nel dimani per tempo avrebbe dovuto trovarsi alla sega a lanciare il legname e a seguirlo....

— Dimani?... chiese Rosa, e restò come perturbata. Era domenica, e pareva a lei trista cosa profanare colla fatica il dì consecrato al Signore.

— Altrimenti avrei dovuto aspettare ancora molti giorni.... Gli è per grazia che vengono dimani al mulino....

— Ma non sarebbe stato possibile lunedì?

— Lunedì, martedì e tutta questa settimana saranno lanciate quelle che furono messe in pronto prima della mia, e niuno certamente vorrebbe cedermi la sua volta.

— Avete fatto gran fallo, diss'ella dopo alcuni minuti di silenzio, a non pensarvi prima. Questo vostro partire in giorno di festa io l'ho per cattivo augurio — e si mise di nuovo in malinconia.

— Ma non si lavora mica dimani. La zattera è già bella e apparecchiata, non v'è che a lanciarla, e prima potete credere bene che anderemo a messa. — Qui Rosa lasciò cadere una lacrima. Il povero giovane era mortificato, avrebbe voluto persuaderla, togliere quest'ubbia, rasserenarla: ma le parole non gli venivano. Una voce segreta nel profondo del cuore gli ripeteva invece ch'ella aveva pur troppo ragione. Intanto si faceva tardi, la luna era comparsa sull'alto della montagna di Cedarzis; si avvicinava il momento di separarsi, ed entrambi consumavano in silenzio i pochi minuti che loro restavano: eppure avevano ancora mille cose da dirsi. Ella stava appoggiata all'uno degli stipiti della porta col capo chino e quasi nascosto in seno, e colle mani teneva la cordella del grembiule e così soprappensiero l'andava facendo a piccole pieghine. Pareva la fiammella della candela di cera, quando sul primo accendersi arde così languida e debolina, che non sai se voglia mancare, o rompere il dubbioso silenzio e dar su rinvigorita e potente.

— Dunque?... diss'egli, ed allungò una mano come per prendere quella di Rosa. Gliela strinse la fanciulla e poi se la posò sul cuore, e

— Or via, rispondeva riscossa e rinfrancata, or via, non ci lasciamo così! — E qui tutti due esilarati tornarono a parlare del loro amore, finchè finalmente si venne all'addio.

— Mi vorrete dunque sempre bene? chies'ella per ultimo.

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