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IX.

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Oramai la maggior parte dei forastieri, che erano in Carnia per le acque, pensavano a partire, e la madre di Massimina riceveva ogni giorno visite, or dall'uno or dall'altro, che prima d'andarsene venivano a salutarla. Contenti quasi tutti di quell'aria balsamica e di quelle fonti veramente prodigiose, coll'aspetto della salute e colla loro allegria crescevano a lei il rammarico del poco o quasi nessuno profitto della sua povera figlietta. Fra gli altri, chi più le destava invidia, era un giovine di sedici anni venuto lì in Arta dopo di lei, e in sì miserabile stato, che il dottore credette prudenza consigliarlo a non voler neanche tentar quelle acque, che per la loro troppa efficacia potevano riescirgli fatali. Ma egli, a cui tutti i rimedi erano fino allora tornati vani, si ostinò alla prova di quest'ultimo, e contro ogni aspettazione cominciò a migliorare. Aveva racquistato il sonno e l'appetito, i suoi occhi impietriti s'erano svegliati, e quando prima di ripatriare venne a riverire la signora, le sue guance rifiorite promettevano in breve perfetta la guarigione. Quanta gioia per i suoi genitori nel rivederlo così mutato! Lo avevano mandato tra quei monti esile, moribondo, forse senza neanche speranza di riabbracciarlo, e tornava come una bella rosa rinfrescata dalla rugiada. Ella invece tra pochi giorni avrebbe ricondotta al padre la sua Massimina più pallida di prima, col dolore di non aver più nulla a tentare, e nella sola aspettazione di vederla soccombere. Infatti la fanciulla da alcuni giorni era tornata a tutti i suoi soliti patimenti. Stava quasi sempre chiusa in camera, e nel suo malinconico silenzio pareva dimandasse di partire per rivedere ancora una volta il suo paese, e morire tra le braccia de' suoi. L'aria della montagna aveva cominciato a farsi rigida e la mattina e la sera non permetteva più di uscire, senza molto riparo di vesti. Anche le acque diventate fredde piombavano sullo stomaco come una massa di pietra, e Massimina da due giorni ricusava di beverne. Allora la madre a malincuore, come chi si vede costretto a rinunziare a speranza lungamente vagheggiata, risolse di ritornarsene a casa. La sera, in presenza della fanciulla, ordinò al padrone dell'albergo una carrozza per portarsi in un villaggio vicino a far visita di congedo a una buona signora del paese, sua antica conoscenza, che, durante la loro dimora in Arta, era stata più volte a farle cortese compagnia. Parve che Massimina accogliesse con piacere questa gita; ma nel dimani mattina ella stava così male, aveva tanto tossito tutta la notte, era sì pallida ed abbattuta, che la madre non osò neppur proporle di accompagnarla. Col cuore raggruppato baciò in fronte la sua povera creatura, e si mise in carrozza quasi piangendo. Rimasta sola Massimina, si chiuse nella sua camera, aprì l'armadio e cominciò a cavarne vestiti, biancheria, libri e a tutto disporre per la partenza. Ma era così svogliata! Ogni qual tratto si sedeva, affisava languida languida il pavimento, e colle mani abbandonate in grembo stava lunga pezza come assorta in tristi pensieri. Poi di nuovo tornava in traccia or di quest'oggetto, or di quello, e li apparecchiava in fila sul letto, perchè la Marietta trovasse più facile l'allestire i bauli. Aprì la sua cassettina da lavoro, riordinava gomitoli, forbici, ditale, metteva a suo luogo quei mille nonnulla indispensabili alla donna, quando le venne tra le mani la busta delle sue gioie: sorrise d'averla portata lì in Carnia, indi pensierosa tornò ad assidersi, e guardava la sua bella collana, gli orecchini, le smaniglie. Era ancora in semplice sottanino, e sulle spalle per ripararsi dal freddo aveva gettato una mantiglia color grigio perla che in altri tempi le avea servito per uscire dal ballo, e che ora disusata strapazzava per camera. Tornò col pensiero a quando per la prima volta, adorna di quelle gioie, ella lasciava la festa coperta da quella stessa mantiglia allora elegante. Col gomito posato sul tavolo velava colle dita bianchissime gli occhi semichiusi, e le sue labbra abbandonate ad un lieve sorriso, e la sua mesta fronte inchinata, da cui scendevano in vago disordine i lunghi capelli non ancora pettinati, le davano sembianza d'una delle Malinconie di Natale Schiavoni. Rifaceva colla memoria tutti i pensieri di quella sera. Sul primo fiore degli anni, elegantemente abbigliata, ella aveva danzato e sorriso: mille sguardi di ammirazione l'avevano dolcemente applaudita, s'era sentita bella, e il suo cuore di fanciulla aveva balzato di emozioni ignote in allora, ma così vive e soavi, che col solo ricordarsene ne sentiva ancora l'oscillazione. Quando assisa nel suo cocchio ella tornava a casa per la notte stellata, la sua anima piena di vita si slanciava nell'avvenire con più impeto di quello con cui i suoi giovani cavalli divoravano la via. Erano passati tre anni. Quante illusioni svanite in sì breve spazio di tempo! Oramai una alla volta l'erano morte in cuore tutte le speranze della giovanezza. A que' bei sogni dorati era successo il disinganno; pochi passi lontana dal sepolcro, ella quasi vi si gettava contenta per riposare dall'aspra via a cui la sorte l'avea condannata. Surse, e meccanicamente si cinse al collo i diamanti e poi serrò sui polsi i manigli: le andavano larghi. Alzò il braccio, e si guardava quella mano pallida e quasi trasparente che pareva di cera. Si affacciò allo specchio. Oh come cangiata! Le sembrava d'esser appena l'ombra di sè stessa. Si posò la destra sul cuore, e mentre ne contava i palpiti pensò: tra poco dormiremo! E s'immaginava d'esser distesa sul suo letto di morte, attorniata da' suoi cari, e di ordinare che le mettessero intorno quelle gioie a cui stavano legate tante memorie della sua vita passata, e pensava l'ultimo addio, e le lagrime della sua povera madre.... Ma già in questo mondo ella pativa troppo! e dinanzi al trono di Dio avrebbe tanto pregato per lei, che la si sarebbe finalmente racconsolata. E continuava colla mesta fantasia a figurarsi la pompa funebre, il canto freddo e posato dei sacerdoti, tanti volti sconosciuti, che sarebbero venuti a vederla, tanti di persone amate, e allora indifferenti.... e le passavano dinanzi tutte le fisonomie di cui si ricordava, e per caso anche quella della giovane contadina al cui dolore pochi giorni prima ella aveva tanto compatito. Pensò: Anch'essa così giovane e così infelice! Come lampo improvviso le si affacciò allora un'idea. Non avrebb'ella potuto rimediare alla disgrazia da cui era stata colpita? fare la felicità di due poveri sfortunati?.... assumere per essi le veci della Provvidenza?... per quei pochi giorni che ancora le restavano, privarsi d'una memoria anche cara, e donare ad altri quel bene ch'ella non potea più godere? Ah sì! Consolare quelle due afflitte creature, aprir loro i tesori dell'amore, vivere benedetta nella loro memoria, le parve in quel momento gioia tale da compensare le molte sue lacrime! Prese un foglio di carta, e scrisse rapidissima una letterina al dottore che diceva così:

«Mi preme di parlar con voi. Fatemi la cortesia di venir subito. — Massimina.»

Poi chiamò la Marietta, le diede il foglio, e le disse di tornar a vestirla e pettinarla. Il dottore appena l'ebbe in mano che ravvisò i caratteri, e l'aprì involontariamente agitato. Che mai poteva volere?... Prese il cappello, e fantasticando si mise sulla via di Arta. Arrivò all'albergo.

— La signorina vi aspetta nella sua camera, — gli disse Marietta tosto che lo vide, e gli fece balzare il cuore con un tremito di cui non sapeva rendersi conto. Trovò Massimina seduta sul sofà. Vestiva un semplice accappatoio a fondo bianco, chiuso con nodi rosati. Era assai sparuta, e in mezzo al suo visibile soffrire lo salutò con un lieto sorriso, e nella sua gratitudine gli rivolse uno sguardo pieno d'affetto, ma così puro e così giovanile, ch'ei non potè a meno di non paragonarla a un di que' freschi germogli, che sul finire d'ottobre mette talvolta il rosaio, la cui fragile e dilicata tessitura e il verde malaticcio ci richiamano con un mesto desiderio alla stagione che passa.

— Perdonate, dottore, diss'ella, se ho ardito disturbarvi. Ma voi mi sembrate così buono.... e mi avete inspirato tanta confidenza....

— Se fosse vero!... Se io potessi in qualche maniera esservi utile....

— Anzi voi solo.... E continuava con una specie di timidezza, che suo malgrado le colorava le guance.

— Ho approfittato di questo momento che la mamma è fuori....

Il dottore, che pieno delle sue idee era già assai innanzi, e credeva di capir la cose a mezz'aria, appressò la sedia, e fisandola con rispettoso affetto:

— Gli è un pezzo, disse, che io vi osservo.... Le mie cognizioni sono scarse, Madamigella, ma l'interesse che voi mi destate!... Se voi voleste accettarmi per vostro amico, e come a tale aprirmi il vostro cuore.... dirmi tutti i vostri patimenti.... Credete: il morale ha grande influenza sul fisico.... e io non sono di quelli che prescrivono di dimenticare. Vi sono dei dolori che l'anima non può dimenticare! e l'ostinarsi a chiuderli dentro di noi, lungi dall'esser rimedio, è rovina: giova invece confidarli all'amicizia, trovar chi sappia piangere con noi....

La povera fanciulla s'era fatta bianca bianca, teneva chinati gli occhi, e avrebbe voluto poter troncare un discorso ch'ella aveva bene involontariamente provocato, e che a guisa di ferro in piaga ancora aperta le rincrudiva il patire. Quando credette di poter parlare, senza che le sgorgassero le lacrime:

— Non si tratta di me, disse con un suono di voce che aveva del mesto e del rassegnato insieme. In quanto a me, credo già fissa la mia sorte, nè se anche il potessi, vorrei cangiarla.... Oh no, no! Io ho già compíta la mia carriera. L'arte vostra potrebbe forse restituirmi la vita.... ma, a che mi varrebbe senza le dolci illusioni che la fanno bella?

Scosse la testa, come se volesse scacciarne qualche pensiero, poi ricomponendosi:

— Vedete dottore, io vi ho chiamato qui, soggiunse, perchè mi aiutiate a procurarmi un piacere.... Un piacere che mi compensa dei mali che soffro.... — e titubando girava tra le mani la busta delle gioie. — Voi avete salvato la vita a una bella ragazza di questo paese, che io ho poi veduta l'altro giorno assai misera....

— La fidanzata, interruppe il dottore, di quel disgraziato che ha perduto domenica?...

— Sì, la Rosa. In quel giorno abbiamo fatto amicizia insieme. Queste gioie io non le porterò più.... Avevo pensato che me ne adornassero quando sarò morta, ma è meglio che servano alla felicità di quei due poveri giovani.... Pregheranno per me!....

— E vorreste?...

— Ch'essi godano quel bene che io non posso.

— Oh signora! sclamò il dottore, e nell'impeto della sua ammirazione allungava la mano per prendere una delle sue e baciargliela.

— Tenetemi il segreto, gli disse la fanciulla mettendogli in pugno la busta, e ricordatevi che vi siete profferto d'essermi amico!

E alzatasi si ritirava nella cameretta contigua.

L'indomani il dottore colla Rosa e con Giacomo tornava ad Arta per presentarli alla loro benefattrice. I due giovani erano fuori di sè per la gioia, e non vedevano l'ora di gettarsi a' piedi dell'angelo celeste, che senza conoscerli aveva loro fatto tanto bene. Giunsero all'albergo, chiesero di lei.... Era partita da due ore. Rivolti verso il Friuli piangevano e pregavano, e il Signore li avrà certamente ascoltati.

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