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VIII.

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Cinque miglia più in su di Paluzza, dove comincia la terra tedesca e dove cessano le verdi montagne che fiancheggiano il canal di San Pietro, nel mezzo, come per confine, sta un monte di aspetto severo. Aspro e selvaggio ei sorge solitario: non un filo di erba, non un arbusto sulle dirupate sue spalle. La roccia, stagliata a perpendicolo, ha la forma di un muro che termina in tre orride punte, di cui la mezzana s'inalza fin nella regione delle nubi, ed è tanto inclinata sul dinanzi che par sia lì per piombare sul sottoposto villaggio. Là sopra, dietro quell'immane padiglione di pietra, avvi un laghetto la cui faccia tranquilla mantiensi sempre allo stesso livello. Le sue rive son coperte di freschissimo verde che fa in quell'altezza una serie di ridenti pratelli, seminati di fiori e di fraghe il cui delizioso profumo scende talora a consolare le valli circonvicine e il profondo torrente. Alla metà di questa rupe, dalla parte di mezzogiorno, s'apre una caverna in forma di O, da cui coll'impeto della folgore sgorga la But. Nè per siccità di cielo, nè per arsura di stagione giammai vien meno, ed è tanta la foga del suo scaturire, che per lungo tratto la vedi correre spumante e bianca come calce in bollitura, e chi su per le valanghe, che continuamente cadono scosse dal monte, s'inerpica a vederne dappresso la sorgente, sente sotto a' piedi il tremito della terra convulsa. Eppure l'ardito montanaro si serve di questo impetuoso torrente per esportare i legnami, e qui e colà lungo il suo letto vedi a tal uopo eretti degli edifizi. Spesso nelle piene ella li riversa, e l'uomo di nuovo li ricostruisce. Il piede delle montagne che fanno sponda è in più luoghi corroso, in più luoghi l'alveo scende ripido, ed è aspro di ciottoli smisurati e di cretaglie a cui d'intorno fan vortice le acque e sono continuo pericolo alle zattere che osano percorrere quella via. Nella piena del 1823, quando il Moscardo, ingrossato dall'immensa congerie di pietre che sfranavano dalla montagna di Silverio, ruppe dirimpetto a Cleulis e vuotò il lago che per dieci anni aveva coperto le campagne di Timao, oltre a molti altri guai, furono rovesciati il mulino e la sega che sorgevano a piedi di San Pietro, e lungo tempo la But corse in quella direzione sicchè ne risentirono danno anche le fonti salutari che nascono là dappresso. Or essa ha di nuovo ripreso l'antica sua via, e vedi asciutto il solco profondo che vi fece e dirupata la montagna che lì forma una ripida gradinata, il cui ultimo ciglio è gremito di giovani abeti, dietro il cupo verde de' quali, il sole della sera fa ridere un piano pratello che si stende in semicerchio e su cui basa a guisa di piramide il monte di Fiellis. Più volte Massimina, quando veniva a bere le acque e sedevasi sulla panca del fonte, guardava a quella ricca verdura. Oh s'ella avesse potuto salire colassù! ammirare da di là il bel paese che le stava d'intorno! Le pareva così fresca quell'erbetta, così soave quell'aria ch'ella vedea tremolare tra quelle frondi, ed il suo cuore appassito avea tanto bisogno di freschezza e di riposo! Se in quell'amena solitudine ell'avesse potuto passeggiare a bell'agio, sedersi e respirare e bevere di quell'atmosfera così nitida, forse i suoi polmoni si sarebbero esilarati, e scosso il peso che a guisa d'incubo da tre anni l'opprimeva. Ma ella si sentiva debole, malata: per venire sin lì avea messe in opera tutte le sue forze, non poteva neppur raccogliere tanto fiato da rispondere a chi la salutava; attraversare le ghiaie del torrente, arrampicarsi per quel dirupo era fatica che non osava, e indarno gliene mettevano vaghezza gli anni giovanili non ancora domati dalla sua tremenda malattia. Spesso, fitta in tal pensiero, ella stava le ore intere colla tazza in mano e cogli occhi in quel verde, e guardava con accorato desiderio, e non udiva i discorsi di chi le sedeva dappresso, e talvolta neppure la parola a lei diretta. Una mattina (era di domenica) alzossi prima del consueto e scese alla chiesa per udirvi la messa. Dopo questa doveva celebrare e predicare il Prevosto. La madre di Massimina desiderava fermarvisi, ma vedendo affollarsi la gente e temendo che a lei potesse nuocere, si levò. La giovinetta intese, le disse all'orecchio restasse, ch'ella intanto andava a far colazione, e fe' segno a Marietta che la seguisse. Bevette con piacere il suo caffè col latte; il sole splendeva limpido, neppur un filo di aria turbava il sereno di quella bellissima e tepida giornata: prese il suo ombrellino e s'avviò sola verso le fonti. Era più ilare del solito e camminò senza fatica tutto quel tratto di via. Stette buona pezza seduta sul margine del bacino, che a quell'ora era affatto solitario. Attinse l'acqua salutare proprio dove limpida come argento liquefatto zampilla dal terreno, bevette, e si rinfrescò con essa il volto e le mani. Godeva diguazzare, e cogliere i sassolini ch'ella copre di zolfo a guisa di candida peluria. Godeva seguire cogli occhi le mille giravolte del ruscelletto, e udirne il lene mormorío. I suoi pensieri erano lieti come la brezza leggera che vien giù colle acque della But, come l'effluvio che a lei mandavano i fiori de' circonvicini pratelli. Giù per la riva di Arta vide discendere alcun che di bruno; le parve persona che ivi dirigesse il passo, e come disturbata surse per isfuggirla. — Vi sono momenti nei quali si sta così bene soli! Si sente come un bisogno di abbandonarsi interamente all'aria e alla terra che ne circonda: i nostri pensieri, i nostri affetti ci corrono sulla faccia, e i più reconditi secreti dell'anima, come l'immagine nel vetro, vi si dipingono tanto nudi che lo sguardo anche di un caro sarebbe allora importuno. Massimina, quasi senza accorgersi, mosse verso il monte. Fosse il desiderio di sfuggire quell'incontro, o che il tepore della bella giornata e il bevere dell'acqua l'avessero rinfrancata, attraversò le ghiaie senza fatica, e saliva con coraggio il viottolo, e le pareva di averselo figurato assai più ripido di quel ch'era difatti. Giunse sul praticello, e nell'ombra degli abeti che gli fanno siepe sedette su di un sasso, e nascosta in quel verde contemplava la magnifica scena che le si apriva in cospetto. Piano, guardato da quel punto appariva evidentemente fabbricato su di un terreno d'alluvione. Dalle gole che s'internano tra la montagna del Cucco e quella che tutta sfranata gli sorge di rincontro e protende i grebbani della fronte come tanti denti di lupo, si precipita un'immensa congerie di materia calcare che forma i rialzi del villaggio, e abbasso con declivio più dolce la fertile campagna che si stende sino al torrente. Ivi la vegetazione è rigogliosa e l'occhio si posa volentieri su' rotondi e morbidi noci che qui e colà sorgono di mezzo ai seminati, e sul verde oscuro dei mille colossali abeti che a guisa di tende compariscono schierati sulla via di Paluzza e con bizzarra linea chiudono a settentrione il ridente dei campi. Massimina non poteva saziarsi di mirare, e l'orrido ossame del Cucco, che gigantesco s'inalza colle sue creste puntite sulle floride montagne del canale, le pareva una vecchia invidiosa che con occhio losco guardasse alla danza d'una compagnia di vergini. Intanto, la persona ch'ella aveva veduto scendere nel torrente, dalla riva di Arta giugneva alla fontana. Era una bionda contadina con sul dorso una gerla piena di bottiglie. La posò presso alla panca, poi cavatene alcune le sciacquava e le metteva in piedi sulle pietre del bacino. Vistasi sola, lasciò lì la gerla con tutte le bottiglie, e per la ghiaia si dirizzava quasi correndo al ponticello di Piano. Alla sega sotto il villaggio era in pronto una zattera, e Massimina distingueva benissimo cinque o sei uomini che si travagliavano per lanciarla, e udiva i colpi di martello e lo scassinare dei pali che le toglievano d'innanzi. Già erano montati due in punta, tre dietro, e coi remi ricurvi a guisa di falce stavano pronti per tenerla in mezzo e difenderla ed equilibrarla tra le rocce sporgenti e le cretaglie del ripido alveo. È liberata; vola come strale dall'arco giù per le acque rapidissime; vola, e i giovani han tutta abbandonata la persona sull'agile remo, e vedi le loro svelte figure delinearsi or sul verde dell'opposta riva, or sul bianco delle ghiaie. Giungono al ponte; a corpo morto si gettano boccone, passano, saltano in piedi e son di nuovo all'opra. Svoltavano uno degli angoli più pericolosi; per isfuggire un vortice che menava dritto in alcuni massi, le cui schiene acuminate sporgevano come punte di scure, tennero un po' troppo a mancina, e non videro una donna che lì proprio sotto la ripa stava lavando alcuni cenci. Era domenica, non immaginavano che fosse, ed ella, fidata nel dì festivo, non temeva le zattere. Quando se ne accorsero, non erano più in tempo di schivarla, e la pigliarono sotto colla gerla, col vassoio e con tutte le sue pezze. Quell'intoppo li portò di netto ad un'altra punta, il mezzo della zattera si sollevò, croccarono le travi, la furia della corrente terminò di squarciarla, e fatta in pezzi andò per lungo tratto battendo d'una riva nell'altra, finchè affatto disciolta correvano e travi e tavole come tante paglie per l'acqua. Giacomo fu il primo a salvarsi; spiccò un salto su d'un masso, e di là coll'aiuto del remo si lanciò sulle ghiaie. Due de' suoi compagni furono rotolati lunga pezza, finchè finalmente, arrampicandosi alle sponde, poterono anch'essi uscire; un altro diede colla fronte in un macigno, e disparve tingendo di sangue l'onda che lo travolse. Fu tratta viva a terra la donna, benchè mal concia da molte percosse; e l'ultimo, nel mezzo del fiume aggrappato ad un sasso, metteva tutta la sua forza per non cedere alle ondate, che gli si rompevano sul dorso. Gridavano: si tenesse fermo finchè potessero venirgli in aiuto; ma, o che le mani aggranchite più non reggessero allo sforzo, o che gli entrasse lusinga di poter solo salvarsi nuotando, si lasciò andare, e in un attimo fu gettato nello scoglio, e sfracellato. Al caso orribile alzarono un urlo i compagni, e Massimina spaventata, come se il suo accorrere avesse potuto aiutarli, scendeva in gran fretta, senza più ricordarsi della sua debile salute. Dall'altra parte, colle mani nei capegli e piangendo e gridando tornava di tutta corsa alla fontana anche la contadina che lì avea lasciato la gerla. Essa era in tale stato d'angoscia, che non s'accorse della signora, e inginocchiata sul fonte, mentre procacciava d'empiere i fiaschi, cogli occhi pieni di lagrime non vedeva che si facesse, e rompeva di continuo in questo singhiozzo:

— Oh Dio mio! Oh Dio mio!

— Quegl'infelici vi appartenevano? chiese Massimina.

— Oh no! diss'ella, cioè, sì signora.... Ah ch'egli s'è accoppato! L'han tratto fuori che non aveva più figura d'uomo. Vergine santissima! — e nascondeva il volto nelle mani.

Massimina piangeva con lei.

— Era festa quest'oggi! Dovevano rispettare la festa! Ah! che il cuore mel disse ieri sera quando venne a darmi l'ultimo addio. Ora: un d'essi accoppato.... quella donna rovinata.... ed egli? egli.... tutto perduto! — e tornava a chinar la fronte nelle palme.

— Or via poverina, non vi disperate così! e faceva di rialzarla, e quando l'ebbe seduta sulla panca, le s'assise dappresso, la teneva abbracciata, e piangevano insieme. Poi l'aiutò ad attignere e a collocare nella gerla le bottiglie, indi a caricarsene le spalle. Tornavano ad Arta, e strada facendo la fanciulla narrò alla pietosa signora tutti i particolari della disgrazia. Per dare un ultimo addio a Giacomo, alzatasi prima dell'alba, ella aveva pregato un'altra ragazza facesse per lei in quella mattina il servigio della casa, e in cambio era venuta ad attignere quei fiaschi per alcuni ammalati di Tolmezzo, e così vederlo partire. Poveretta! Fu spettatrice invece dell'orribile disastro che toglieva a lui due de' suoi compagni, tutto il suo avere, ed ogni speranza per sempre ad entrambi.

Ad Arta, Rosa immersa nell'angoscia continuò la lunga sua via, e Massimina commossa, conturbata entrò nell'albergo, salì le scale, si chiuse nella sua camera, e rifiutò di lasciarsi vedere per tutto il restante del giorno.

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