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V.

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Nel dì susseguente, sul far della notte, il dottore passava di nuovo per Arta. Vide lume nelle camere di Massimina, entrò nell'albergo, e gli dissero che tutti i forestieri erano andati a far una gita a San Pietro, e che sola era rimasta colla sua cameriera la giovinetta. Pensò di salutarla, e salì. La camera dove solevano ricevere stava aperta, acceso il lume; ma niuno vi stava. S'assise sul piccolo sofà e attese. Passati alcuni minuti, si alzò, e si pose a camminar forte: l'uscio che metteva nella stanza di lei era semichiuso; suppose ch'ella vi fosse, e continuò a far rumore. Indarno. Gli venne allora in mente che le fosse venuto male, e senza più riflettere spalancò la porta. Non c'era anima viva. Sul tavolo vide la sua calzetta e penna e calamaio e un libricciuolo aperto su cui erasi scritto di recente. Il cuore gli batteva forte: ei faceva una male azione; ma suo malgrado gli occhi gli correvano su quella scrittura minuta e leggera. Ei lesse. Erano memorie vergate dalla fanciulla, erano segreti del suo cuore. Egli coonestava la sua indiscretezza coll'idea che, conoscendo a fondo l'animo di lei, avrebbe potuto forse giovarle. La prima pagina datava dai cinque di gennaio di quell'anno, e diceva così:

«........ Mi avevano regalato un bel mazzetto. — Quindici giorni dopo, mio padre, che voleva far aggiustare la stufa della sua camera, mandò un muratore sulla soffitta. Sgombravano macerie, e trovarono ivi nascosta una tazza con acqua limpida ed entrovi un fiorellino di geranio cannella. Chi aveva là portato quel fiore? Chi vel manteneva cangiandogli ogni giorno l'acqua? Una fanciulletta di dieci anni, che i miei genitori hanno raccolta per carità e che si educa nel servigio della casa, aveva rubato quella cannella dal mazzetto che mi era stato regalato. Confessò, e fu gravemente sgridata per aver osato metter le mani nei fiori della sua padrona. Me ne dolse.... e amai quella povera fanciulla, che certo deve aver l'animo gentile. Aveva rubato un fiore! e non dei più brillanti: v'erano dei garofani, delle camelie, ed ella scelse l'esile e pallido fiorellino della cannella. Non se ne adornò il seno, o i capegli, ma lo nascose in luogo sì remoto che non poteva neanche goderne, se non di rado, il profumo. A lei bastava il cangiargli ogni giorno l'acqua e compiacevasi di sapere che, nascosto a tutti, viveva per lei!.... Quando glielo tolsero, divenne rossa rossa e le si gonfiarono gli occhi. Avevano scoperto il suo secreto e troncata la misteriosa simpatia che la legava ad un fiore. Privo di chi lo curasse ei moriva in quel giorno, ed a lei venivano dissipati molti gentili pensieri, candida delizia della fanciulletta sua mente....»

Voltò in fretta due o tre fogli, e gli cadde l'occhio sulla seguente

«Memoria funebre.

»Povera Lugrezietta! Così all'udire la precoce tua perdita prorompono coloro che ti conoscevano. Quante delle compagne, che un dì teco scherzavano entro i recinti del chiostro, avran oggi così esclamato! Quelli che non ti conoscevano, allo spettacolo della tua bara, segnata di candida croce, avran chiesto il tuo nome, e all'udire che appena tocco il quarto lustro ti appassivi come un tardo bottoncino di rosa colto dalla bruma invernale, ti avran donato una lagrima di compassione. Povera Lugrezietta!... Volano i giorni, e ratta si dilegua l'orma leggera che tu stampasti nella vita. Breve tempo basterà a seppellire nell'oblio la tua memoria. Lo sconosciuto, che tra i monti del settentrione si commosse ai funerali dell'itala verginetta, forse ha già dimenticato il tuo nome: le tue compagne per pochi giorni ancora ridiranno la dolente istoria intrecciando false novelle alla tua verace sciagura; le antiche vergini, e il venerando nostro padre, egli che pietoso raccolse dalle tue pupille la prima lagrima del pentimento, per pochi giorni ancora ti raccomanderanno a Dio nelle loro preghiere, e quando il dì dei morti verrà a metterti nella lista di coloro che in quest'anno abbandonarono la vita, il tuo nome inscritto sulla nera scheda del coro ridesterà alla lor mente la tua sorte come una dimenticata arietta ci rammenta al riudirla le fuggite idee della fanciullezza. Da qui a dieci, da qui a vent'anni chi più ti ricorderà? Quella stessa madre sconsolata che corse a strignerti al seno per l'ultima volta, e spenta ti depose sul letto funebre, ti avrà allora già dimenticata.... o almeno i ridenti tuoi anni ch'ella vide svanire non le sembreranno più che un bel sogno il cui dileguarsi profondamente rammarica. Povera Lugrezietta! A questa voce di universale compianto io non mesco la mia. Compagna dei tuoi primi anni, conscia delle più segrete ambasce del tuo cuore, come potrei piangere quel sonno profondo che finalmente ti dà pace? Ma di tutte forse le tue amiche io più a lungo serberò la tua memoria. Piacemi la melanconia, è mio diletto la solitudine, ed ha per me voluttà il dolore delle tombe. Giovinetta, tu verrai spesso a farmi compagnia nei silenzi della notte, finchè un fatto simile al tuo me pure addormenti entro la terra dei sepolcri.»

Più innanzi così voltando le carte lo percossero queste altre parole:

«.... Padova.... Bassano.... Vicenza.... In altri tempi, o con quanto ardore avrei visitato queste belle città! Oggi il mio cuore chiuso aborre le loro allegrie, e rifugge dall'ammirarne i preziosi monumenti. Pochi passi lontana dal villaggio che fu cuna a Canova, io non l'ho ancora visitato.... Io che tante volte piansi all'aspetto dei capi d'opera dell'arti belle, dimani vedrò forse fredda ed insensibile questi marmi che il genio del grand'uomo animò? Non avrò più nel mio petto neppur una scintilla d'entusiasmo? Oppressa dalla sciagura l'anima mia è morta, i miei occhi disseccati non hanno più lacrime, sulle mie labbra non v'è più sorriso....»

Il giovane leggeva rapidissimo, avrebbe voluto nell'intuizione d'un minuto percorrer tutte quelle linee; tremava, ed era attento al minimo rumore. Fu più volte per desistere, ma la curiosità lo vinse, e dopo aver deposto il libretto e stato un attimo in orecchie, lo riprese: lo scartabellò tutto velocissimo e lesse quest'ultima pagina:

«Oggi appunto compiono quattr'anni. Questo breve spazio di tempo ha operato per me una grande rivoluzione. Ho cangiato paese, il modo di vivere, le persone che mi circondano, perfino il pensiero; anzi mi pare di non ritrovar più me stessa in me.... Avevo penato da principio ad assuefarmi alla vita del chiostro. Parlavano una lingua a me straniera; non c'era una creatura che mi amasse! Sognavo ogni notte i baci di mia madre, le carezze di mio padre, i giuochi e le corse gioite co' miei fratellini. Quell'aria così fredda, quel cielo sempre fosco, quei volti tutti sconosciuti mi agghiacciavano il cuore.... Un po' alla volta mi ci sono avvezza; amai la mia prigione, ed ora il più dolce de' miei piaceri è il rammemorare gli anni infantili ivi passati. — Oggi quattr'anni fu un giorno solenne. L'amica dell'anima mia, Beatrice, dedicavasi a Dio! Ci avevano vestite di bianco. E a molto tempo che noi aspettavamo con ansietà questo giorno, vi ci eravamo apparecchiate colla preghiera e col digiuno: vegliai tutta la notte, piansi e pregai.... Oh se oggi potessi ricordarmi tutti i pensieri di quella vigilia! — Il mio cuore non è più lo stesso. — Parmi ancora sentire la fredda brezza dell'alba e vederne il languido crepuscolo. Le campane sonavano a festa, la chiesa arredata come ne' dì solenni, tutte già alzate le monache, e noi liete correnti pe' chiostri bramose di rivedere finalmente la nostra amata Beatrice. Mi ricordo che mi tolsi all'allegria e prima della funzione mi ritirai sola in coro e pregai per essa.... Oh se io potessi sentire ancora l'affetto di quella preghiera! Era innocente l'anima mia, e la mia voce alzavasi a Dio come la fiamma della lampada perenne che arde dinanzi al suo altare, e mi pareva che fosse accetta. Venne il momento della funzione, tersi la faccia lagrimosa e andai ad unirmi alle altre alunne, che mi aspettavano per accompagnar la novizia. Dacchè aveva cominciato il suo anno di prova, noi non l'avevamo più riveduta. Ci avevano fatte inginocchiare in capitolo con un cereo acceso in mano di rimpetto ai banchi delle monache. I nostri occhi erano volti alla porta: si apre; credevamo fosse lei, era invece la Badessa coi veli rabbassati e tutta chiusa nel suo maestoso ammanto; ella venne a sedersi nella sua cattedra a destra dell'altare. Pochi minuti dopo guidata dalla maestra delle novizie e seguita da due fanciulline coronate di fiori, l'una delle quali portava una ghirlanda di spine, l'altra il Crocefisso, comparve la Bice. Era vestita da un magnifico abito di raso bianco, coi capelli leggiadramente annodati, sul cui nitido nero spiccavano molti brillanti e il prezioso diadema a cui era raccomandato il velo che le ombreggiava le spalle. Era pallida, e in atto modesto teneva chinate al petto le potenti pupille. S'inginocchiò sul damasco che avevano apparecchiato per lei, e dopo breve preghiera, si cominciò a disporre la processione. Portava la croce una giovane monachella che aveva professato l'anno innanzi; seguivano a due a due, colle mani incrociate sotto lo scapolare, le altre suore, ultime le più vecchie; dietro ad esse la Badessa, indi noi accompagnate dalle nostre maestre. A misura che si svolgeva, la processione passava dinanzi al banco dove noi inginocchiate aspettavamo la nostra volta. Così Beatrice, quando mi passò dappresso, potè strignermi una mano, e susurrarmi un affettuoso: Prega per me! Mi balzava il cuore con una commozione che non ispero sentire più mai! Quando entrammo in coro, l'organo suonava devoto e alcune voci come di angeli cantavano il Veni Sponsa Christi. Ardevano tutte le lampade e numero infinito di ceri. La chiesa di fuori era piena di gente, ed alcuni curiosi si vedevano affollati alle grate delle finestre che si aprono ai lati dell'altare, e che in quel giorno erano senza cortina. Prendemmo il nostro posto, e la novizia s'inginocchiò nel mezzo del coro sul banco ivi apparecchiato per lei. Tutte le particolarità di quella funzione mi stanno ancora in mente come se vi avessi assistito pur ieri. Vedo la folla dei curiosi dar luogo al Prelato che col suo pastorale e con devote parole chiamava la giovinetta al suo cospetto; la vedo avanzarsi timida, odo la sua protesta, l'ho presente quando si toglieva dalle mani gli anelli e dal collo e dalla testa i brillanti, e calpestava tutti quei muliebri adornanenti; indi le tagliavano i capelli, le velavano il capo ed il mento, la cingevano d'una corona di spine, la vestivano di povera lana, le strignevano i fianchi con una fune; e mentre le monache intonavano un salmo di gioia, mi par ancora vederla tutta lieta correre a baciarle una per una. Ella aveva consumato un gran sacrifizio, e la sua fronte era serena, e da' suoi occhi come da limpido ruscello traspariva la contentezza della sua anima. Dedicavasi a Dio sul più bel fiore della giovanezza, voleva consumare tutta la sua vita nel tempio del Signore come il candido cereo che sull'altare gli arde in olocausto. Tal pensiero allora mi pareva bello e gentile. Sparirono quegli anni di preghiera e d'innocenza, altri palpiti commossero il mio povero cuore, imparai altri affetti.... Ragioni splendenti m'insegnarono a ridere di quel mio primo devoto desiderio; ma queste ragioni non han potuto svellermi dalla memoria quei giorni, e spesso, quando la mia anima geme oppressa dal dolore a cui la sorte mi ha condannata, vedo un coro di pudiche monachelle che salmeggiano nel crepuscolo mattutino: odo le monotone lor voci che in quella solitudine posatamente ripetono le divine parole che a Dio cantavano gl'inspirati profeti, e sento che in mezzo a loro potrei forse ancora aver pace!...»

Qualcuno saliva le scale.... Ei getta il libro, ed è in un attimo nell'altra camera seduto sul sofà e, tenendo il respiro, accompagnava coll'orecchio teso quella pedata, finchè udì crocchiare l'uscio in fondo al corridoio. Prese allora il cappello e giù in due salti nel cortile, e poi fuori in istrada. Stava per svoltare l'angolo, quando vede lungo il muricciuolo, che fa parapetto alla via, una figura di donna, e ravvisa la cameriera di Massimina.

— Siete voi, Marietta? e la vostra padrona? ei chiese quasi involontario.

— Zitto! È uscita, e devo aspettarla qui.

— A quest'ora? e dove?...

— In quel casale colaggiù. La poverina non mangia nulla: un po' di latte di capra è il meglio che appetisce: qui non ne hanno, ed ora che sono tutti fuori è andata sola a provvederlo in segreto per non far dispiacere ai padroni di casa.

— Non le dire di avermi incontrato — e tirò innanzi. La porta del casale era aperta e d'intorno al fuoco si vedevano tre fanciulli cenciosi, una povera donna e l'alta ed elegante figura di Massimina, che dritta in piedi tra quella squallida miseria pareva l'angiolo della consolazione. Il dottore, situato in modo da non essere scoperto, si fermò a guardare. Apparve un vecchio e con passi tremanti le portava un fiasco di latte. Ella lo prese, mise in mano a lui alcune monete ed uscì velocissima. Non vide il dottore che gli avesse dato, ma il vecchio cadeva inginocchioni piangendo e baciava la terra ch'ella aveva toccato coi piedi, e la donna e i fanciulli consolati pregavano per lei.

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